Il fact-checking del question time di Meloni al Senato

Abbiamo verificato otto dichiarazioni della presidente del Consiglio, che ha commesso alcuni errori
ANSA/ETTORE FERRARI
ANSA/ETTORE FERRARI
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Giovedì 23 novembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha partecipato a un question time al Senato dove ha risposto a nove domande dei partiti della maggioranza e dell’opposizione. Sono stati trattati vari temi, dagli incentivi all’occupazione all’economia, passando per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), i progetti contro il dissesto idrogeologico e la nuova legge di Bilancio per il 2024.

Abbiamo sottoposto al fact-checking otto dichiarazioni di Meloni, che non ha sempre detto la verità.

I record sull’occupazione

«Da ottobre 2022 a oggi si è infatti registrata una serie di record occupazionali: record del tasso di occupazione, record di occupati e occupati permanenti, […] record di occupazione femminile in termini assoluti, e di tasso di occupazione»

È vero: i numeri sul mondo del lavoro sono positivi. Secondo i dati Istat più aggiornati, a settembre 2023 in Italia c’erano quasi 23,7 milioni di occupati, il numero più alto da quando abbiamo a disposizione le serie storiche mensili. Le donne occupate erano quasi 10 milioni, anche in questo caso il dato più alto. Gli occupati a tempo indeterminato erano oltre 15,6 milioni e il tasso di occupazione era pari al 61,7 per cento, altri due record. Il tasso di disoccupazione era pari al 7,4 per cento, una percentuale che non si vedeva dal 2009 (già comunque registrata nel mese di giugno 2023).

Come abbiamo spiegato in altri fact-checking, il miglioramento dei dati sull’occupazione non è però iniziato con il governo Meloni, ma è in atto da tempo, almeno dall’inizio del 2021. Già durante il governo Draghi, in vari mesi erano stati raggiunti primati, poi aumentati ancora durante il governo Meloni.

L’andamento dello spread

 «Lo spread è ai minimi da molto tempo»

Lo spread è un indicatore con cui in Italia si fa generalmente riferimento alla differenza tra il rendimento dei Btp, ossia i titoli di Stato italiani con scadenza a 10 anni, e quello dei suoi corrispettivi tedeschi, i Bund. Semplificando un po’, un aumento dello spread è di norma interpretato come un peggioramento della fiducia nei titoli di Stato italiani da parte degli investitori, mentre un calo dello spread è letto come un aumento di fiducia.

Il 23 novembre il valore dello spread era intorno ai 175 punti base, ossia una differenza dell’1,75 per cento tra il rendimento dei titoli italiani e quelli tedeschi. Negli ultimi sei mesi sono stati raggiunti valori più bassi: per esempio a metà giugno lo spread era sceso sotto la soglia dei 160 punti base.
Grafico 1. L’andamento dello spread da quanto è entrato in carica il governo Melone – Fonte: Il Sole 24 Ore
Grafico 1. L’andamento dello spread da quanto è entrato in carica il governo Melone – Fonte: Il Sole 24 Ore
Lo spread non è costantemente calato da quando c’è il governo Meloni, ma ha avuto un andamento altalenante, come mostra il Grafico 1. Durante i primi mesi del governo Draghi lo spread era invece andato sotto quota 100 punti base per poi iniziare una costante risalita. Il record dello spread in Italia si è registrato tra l’autunno e l’inverno del 2011, dopo le dimissioni del quarto governo Berlusconi e l’entrata in carica del governo tecnico di Mario Monti. All’epoca lo spread superò i 500 punti base, avvicinandosi ai 600.

Meloni voleva uscire dall’euro

«Non mi ricordo di aver detto che bisognava uscire dall’euro»

Qui Meloni ha la memoria corta: più volte in passato la leader di Fratelli d’Italia ha detto che il nostro Paese doveva uscire dall’euro, abbandonando questa proposta negli anni recenti. 

Fratelli d’Italia è nato alla fine del 2012 come partito dichiaratamente «euroscettico». Il suo programma per le elezioni europee del 2014 chiedeva lo «scioglimento concordato dell’eurozona», ossia dell’insieme dei Paesi che utilizzano l’euro come moneta unica. Durante quella campagna elettorale la stessa Meloni aveva dichiarato durante un comizio elettorale che l’Italia avrebbe dovuto dire «chiaramente» all’Europa: «Noi vogliamo uscire dall’euro: e se pensate che questo sia un problema per l’euro, allora convinceteci a rimanere». In quel periodo la leader di Fratelli d’Italia aveva scritto vari post sui social network contro la moneta unica.
Nel programma per le elezioni europee del 2019 la proposta di uscire dall’euro è stata poi sostituita da Fratelli d’Italia con la richiesta di «misure compensative» per i Paesi svantaggiati dall’introduzione della moneta unica.

Le previsioni sulla crescita

«La Commissione europea prevede per l’Italia una crescita nel 2023 dello 0,7 per cento, superiore alla media europea»

È vero: secondo la Commissione europea quest’anno il Prodotto interno lordo (Pil) italiano crescerà dello 0,7 per cento rispetto all’anno scorso. La media della crescita dei 27 Paesi dell’Unione europea sarà pari allo 0,6 per cento, così come quella dei 20 Paesi che hanno l’euro. Tredici Paesi cresceranno quest’anno più dell’Italia, tra cui Spagna e Francia.

Durante il question time Meloni ha però omesso di dire una cosa: secondo la Commissione Ue nel 2024 l’Italia crescerà dello 0,9 per cento rispetto a quest’anno, contro una media europea dell’1,3 per cento e dell’1,2 per cento dei Paesi dell’area euro. Solo l’economia della Svezia è prevista andare peggio di quella italiana, con un calo del Pil dello 0,2 per cento, mentre Germania e Finlandia sono previste crescere quasi come il nostro Paese (+0,8 per cento).

Le previsioni sull’inflazione

«L’inflazione, secondo la Commissione europea, in Italia nel 2023 e nel 2024 sarà inferiore alla media europea»

Secondo le previsioni della Commissione Ue, quest’anno l’inflazione sarà più alta del 6,1 per cento rispetto al 2022: questa percentuale è più bassa dell’aumento del 6,5 per cento stimato in media per tutta l’Ue, ma è più alta del +5,6 per cento che in media registreranno i Paesi dell’area euro, quelli che adottano la stessa moneta dell’Italia.

Nel 2024 si stima che l’inflazione in Italia aumenterà del 2,7 per cento, percentuale più bassa sia dell’aumento medio europeo (3,5 per cento) sia dell’aumento medio dei Paesi dell’area euro (3,2 per cento).

Come ha riconosciuto lo stesso governo Meloni, il rallentamento dell’aumento dei prezzi registrato negli ultimi mesi è merito soprattutto del calo dei prezzi dei beni energetici, e anche dell’aumento dei tassi di interesse della Banca centrale europea, e non di particolari misure introdotte dal governo. 

I ritardi sul Pnrr ci sono

«Sul Pnrr […] non c’è alcun ritardo»

Come abbiamo spiegato in varie analisi, e come monitoriamo ogni due settimane nella nostra newsletter dedicata al Pnrr, non è vero che nell’ultimo anno non ci sono stati ritardi nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). 

Il governo ha chiesto alla Commissione europea l’erogazione dei 19 miliardi di euro della terza rata alla fine dello scorso anno, dicendo che gli obiettivi fissati per il secondo semestre del 2022 erano stati tutti raggiunti. Dopo mesi di trattative con l’Ue, la terza rata è stata erogata il 9 ottobre, oltre nove mesi dopo, ma mezzo miliardo di euro è stato spostato sull’erogazione della quarta rata, quella da 16 miliardi di euro legata al raggiungimento degli obiettivi fissati per i primi sei mesi del 2023. La quarta rata è stata chiesta dall’Italia a settembre e ora è in fase di valutazione da parte dell’Ue.

Tra gli investimenti che hanno accumulato ritardi, iniziati già con il governo Draghi, c’è quello per la realizzazione dei nuovi asili nido. Nella sua proposta di revisione del Pnrr, inviata alla Commissione Ue ad agosto, il governo ha detto che stanzierà ulteriori 900 milioni di euro per raggiungere gli impegni presi con l’Ue. Nella stessa proposta il governo ha dichiarato che entro il 2026 non potranno essere portate a termine nove misure, per un valore pari a quasi 16 miliardi di euro: il piano dell’esecutivo è quello di definanziare questi interventi dal Pnrr e di finanziarli con altri fondi, al momento non ancora decisi ufficialmente. Sulla proposta di revisione del Pnrr stanno infatti procedendo le trattative con l’autorità europea.

Nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) il governo ha anche ammesso che, come già avvenuto con il governo Draghi, l’Italia sta spendendo meno soldi del previsto tra quelli erogati per il piano. Le nuove previsioni di spesa, in attesa della fine delle trattative sulla proposta di revisione del Pnrr, saranno pubblicate nel Documento di economia e finanza (Def) del 2024.

Il taglio del cuneo fiscale

«Per le famiglie, si prevede una riduzione dei contributi a carico dei lavoratori dipendenti con redditi fino a 35 mila euro, misura che vale in media circa 100 euro in più al mese in busta paga»

Qui Meloni esagera e al tempo stesso è fuorviante.

Il disegno di legge di Bilancio per il 2024, che deve essere ancora approvato dal Parlamento, propone di rinnovare solo per un anno il taglio del cuneo fiscale già in vigore temporaneamente in questi mesi. Da luglio di quest’anno, infatti, i contributi previdenziali a carico dei lavoratori sono stati ridotti di 7 punti percentuali per i dipendenti con una retribuzione annua fino a 25 mila euro e di 6 punti percentuali per quelli che guadagnano fino a 35 mila euro (nei primi sei mesi dell’anno questa riduzione era pari rispettivamente a 2 e 3 punti percentuali, poi aumentati). In concreto il rinnovo del taglio del cuneo fiscale non si tradurrà in soldi in più in busta paga rispetto a quelli già ricevuti adesso, ma nella riconferma di questi aumenti

Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici italiani, il rinnovo del taglio del cuneo fiscale porterà un beneficio pari in media a 695 euro per beneficiario: dunque quasi 60 euro al mese, non 100 euro, in più in busta paga rispetto allo scenario senza il rinnovo del taglio.

Le risorse contro il dissesto idrogeologico

«Continuiamo a lavorare anche in tema di messa in sicurezza del territorio. Lei sa che vi sono soprattutto risorse del Pnrr, disponibili e salvaguardate»

Il Pnrr ha destinato 2,5 miliardi di euro in «misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico». A inizio agosto il governo Meloni ha proposto alla Commissione Ue di definanziare quasi 1,3 miliardi di euro perché, a detta sua, sarebbe impossibile usarli entro il 2026, anno di scadenza del Pnrr. Nella sua proposta di revisione del piano, su cui si attende la valutazione finale delle autorità europee, il governo ha scritto che erano «in corso approfondimenti istruttori finalizzati a destinare le risorse liberate alla ricostruzione dei territori dell’Emilia-Romagna colpiti dai recenti eventi alluvionali». 

Il governo ha anche più volte promesso che gli interventi non più finanziati dal Pnrr saranno coperti con altri fondi, su cui però non ci sono ancora certezze. Per esempio di recente, nella relazione sullo stato di attuazione del Pnrr nel primo semestre 2023, la Corte dei Conti ha scritto che sui progetti definanziati «si pone un problema di individuazione di finanziamenti, allo stato non ancora puntualmente definiti». «Un processo non semplice, anche alla luce delle nuove regole sulla spesa che si delineano con il ridisegno del patto europeo e che non sembrano, allo stato, favorire aumenti di spesa, anche di investimento,  se finanziata con risorse nazionali», ha commentato la Corte dei Conti.

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