È vero che il governo ha tagliato i soldi dal Pnrr contro la crisi climatica?

Abbiamo fatto un po’ di chiarezza sull’accusa mossa dai partiti all’opposizione contro l’esecutivo
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Da giorni vari esponenti dei partiti all’opposizione stanno accusando il governo Meloni di aver tagliato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) una parte dei fondi contro l’emergenza climatica. Tra gli altri, questa accusa è stata fatta dalla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, dal segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni e dal segretario di Azione Carlo Calenda

«Con un tempismo davvero incredibile il governo sceglie di cancellare quasi 16 miliardi di euro in progetti del Pnrr che sarebbero serviti proprio a fronteggiare il dissesto idrogeologico, a mettere in sicurezza il territorio, a fare prevenzione rispetto ai rischi legati a eventi meteorologici estremi», ha dichiarato Schlein il 1° agosto in aula alla Camera. 

Che cosa c’è di vero in questa accusa, che il governo ha respinto? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza.

La proposta di revisione del Pnrr

Il 27 luglio il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia) ha presentato in una conferenza stampa la proposta del governo per modificare il Pnrr. La revisione del piano era stata promessa dalla coalizione di centrodestra nel programma elettorale in vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Il 1° agosto la Camera e il Senato hanno approvato due risoluzioni per dare il via libera al governo di inviare la proposta di revisione del Pnrr alla Commissione europea. 

Il regolamento che ha istituito il Recovery and Resilience Facility, il fondo europeo che finanzia il Pnrr, stabilisce infatti all’articolo 21 che un Paese Ue può inviare alla Commissione europea una proposta di modifica del proprio Piano nazionale di ripresa e resilienza qualora dimostri che il piano non può più essere realizzato, in tutto o in parte, a causa di «circostanze oggettive». Tra queste circostanze rientrano per esempio gli aumenti dei costi delle materie prime, cresciuti parecchio dall’anno scorso con l’inizio della guerra in Ucraina. Le autorità europee potranno prendersi fino a tre mesi di tempo per valutare la richiesta ufficiale di modifica al piano, durante i quali si confronteranno con l’Italia proponendo eventuali aggiustamenti alle richieste di modifica, prima di esprimere la propria decisione finale. I tempi dunque non saranno brevi.

All’inizio dello scorso marzo è poi entrato in vigore il regolamento che ha istituito il REPowerEU, un programma con cui l’Ue ha deciso di finanziare gli Stati membri per accelerare il percorso di indipendenza energetica dalla Russia e per sostenere investimenti in ambito energetico. Questi nuovi finanziamenti possono essere richiesti dai Paesi Ue presentando alle autorità europee un’integrazione, e dunque una modifica, dei loro Pnrr. 

Ricapitolando: sulla base di queste due premesse poggia la proposta di modifica del Pnrr fatta dal governo Meloni. Ribadiamo che questa è, appunto, una proposta: non è ancora stata approvata definitivamente visto che manca la valutazione finale della Commissione Ue.

Le modifiche al Pnrr

Le proposte di modifica delle misure contenute nel Pnrr si dividono in tre tipologie. 

Il primo tipo di modifica è di carattere più formale e riguarda soprattutto i meccanismi di verifica del raggiungimento delle scadenze fissate con l’Ue. Un esempio: con il Pnrr l’Italia ha preso l’impegno di ridurre l’evasione fiscale del 5 per cento nel 2023 rispetto al 2019 e del 15 per cento nel 2024. Secondo il governo, al momento le imprese italiane sono colpite da una «crisi di liquidità» e per questo gli obiettivi sull’evasione fiscale andrebbero rivisti al ribasso, senza però indicare di quanto (il nuovo obiettivo dovrà essere indicato con precisione nella proposta ufficiale che sarà inviata alla Commissione Ue). 

La seconda tipologia di modifiche riguarda la riprogrammazione delle misure finanziate dal Pnrr che, secondo le valutazioni fatte dal governo, hanno incontrato – o con tutta probabilità incontreranno in futuro – difficoltà nella loro attuazione. Un esempio: per quanto riguarda la sanità, dei 1.350 interventi per la realizzazione delle cosiddette “case della comunità”, ossia nuove strutture sanitarie territoriali, si propone di finanziarne 936 con il Pnrr, una rimodulazione dovuta all’aumento dei costi dell’investimento e dei tempi di attuazione.

Infine c’è una terza tipologia di modifiche, quella su cui si è concentrato di più il dibattito politico negli ultimi giorni. Il governo ha infatti annunciato di voler «definanziare», ossia di voler togliere dai finanziamenti del Pnrr, nove misure che hanno finora riscontrato «rilevanti criticità», per un valore totale pari a quasi 16 miliardi di euro. In pratica il governo ha detto: siamo sicuri di non riuscire a portare a termine questi investimenti entro il 2026, anno di scadenza del Pnrr, per cui è meglio destinare questi soldi ad altro e finanziare queste misure con altri fondi (su questo punto ci torneremo meglio tra poco).

Le nove misure definanziate sono state descritte nel dettaglio da una relazione pubblicata il 31 luglio dal Servizio studi della Camera e del Senato. Vediamole nello specifico.
Tabella 1. Le nove misure del Pnrr di cui il governo ha proposto il definanziamento
Tabella 1. Le nove misure del Pnrr di cui il governo ha proposto il definanziamento

Le misure definanziate

Il governo ha proposto di definanziare integralmente 6 miliardi di euro destinati dal piano agli «interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni». Qui dentro rientrano interventi variegati, di piccola e media portata, progettati per la prevenzione e la mitigazione dei danni connessi al rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza dei centri abitati.

Quasi 6 miliardi di euro di definanziamenti riguardano, da un lato, gli investimenti nella «rigenerazione urbana» (3,3 miliardi), pensati per ridurre le situazioni di emarginazione e di degrado sociale e migliorare la qualità del decoro urbano e del contesto sociale e ambientale, e dall’altro lato gli investimenti per i Piani urbani integrati (2,5 miliardi). Questi piani, tra le altre cose, hanno l’obiettivo di valorizzare le grandi aree urbane degradate, con la creazione di nuovi servizi a disposizione della cittadinanza. Il governo ha proposto di riutilizzare questi 6 miliardi di euro a favore di misure, all’interno dei progetti del REPowerEU, per il contrasto della povertà energetica e la riqualificazione energetica del patrimonio pubblico. Più nello specifico la proposta del governo è destinare 4 miliardi di euro a un nuovo ecobonus, ossia incentivi fiscali per promuovere l’efficientamento energetico delle abitazioni. A differenza di quanto avvenuto con il Superbonus, però, questa misura sarà destinata solo alle famiglie a basso reddito.

Circa 1,3 miliardi di euro di risorse definanziate, di competenza del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, fanno riferimento a misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrologico. Questi 1,3 miliardi sono una parte dei 2,5 miliardi di euro destinati nel complesso dal Pnrr agli interventi contro il dissesto idrogeologico. Il rapporto del Servizio studi della Camera e del Senato spiega che sono in corso valutazioni per destinare questa voce di spesa definanziata a interventi di sostegno per le zone dell’Emilia-Romagna colpite dalle alluvioni. 

Il governo ha poi proposto di ridurre di un miliardo di euro gli investimenti nell’utilizzo dell’idrogeno nei cosiddetti “settori hard-to-abate”, come quello dei trasporti pesanti. Un altro miliardo di euro riguarda invece il definanziamento integrale di due misure: il potenziamento dei servizi e delle infrastrutture di comunità per le aree interne (724 milioni) e la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni). Infine si è proposto di togliere dal Pnrr 675 milioni di euro dagli investimenti per la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici galleggianti, e di ridurre di 110 milioni di euro le risorse destinate a piantare oltre 6 milioni di alberi entro il 2024 (obiettivo che negli scorsi mesi ha dimostrato di essere di fatto quasi impossibile da raggiungere).  

Ricapitolando: non tutte le misure del Pnrr di cui è stato proposto il definziamento fanno riferimento a interventi contro il dissesto idrogeologico e i rischi legati agli eventi climatici estremi, come invece ha dichiarato Schlein alla Camera. 

Vanno poi chiarite due cose. In primo luogo il governo ha deciso di reindirizzare parte delle risorse tolte dal Pnrr al programma REPowerEU, che come abbiamo visto ha a che fare con l’energia e dunque con l’ambiente. In totale gli investimenti di questo programma, proposti dal governo italiano alla Commissione Ue, hanno un valore complessivo intorno ai 19 miliardi di euro. Questi soldi finanzieranno, per esempio, progetti per rendere più resilienti le reti energetiche ai cambiamenti climatici, per potenziare la ricerca nell’idrogeno, per incentivare la transizione ecologica delle aziende e per potenziare i gasdotti (scelta molto contestata da Europa Verde). Si può contestare la scelta politica di reindirizzare una parte delle risorse del Pnrr ad altre voci di spesa, ma queste nuove voci hanno comunque un collegamento con la questione ambientale.

In secondo luogo il governo ha comunque promesso che finanzierà lo stesso le misure definanziate dal Pnrr facendo ricorso ad altre risorse. Qui le cose si fanno però meno chiare.

Il problema dei fondi

Intervenendo in aula alla Camera, il 1° agosto il ministro Fitto ha dichiarato: «Noi non stiamo dicendo quello che spesso ascolto, ossia che revochiamo il finanziamento» delle nove misure del Pnrr elencate sopra, che hanno un valore complessivo di quasi 16 miliardi di euro. «Se noi revocassimo il finanziamento per interventi che in molti casi sono oggetto di obbligazioni giuridicamente vincolanti, non solo saremmo degli irresponsabili, ma non avremmo capito nulla di quello di cui stiamo parlando. Quindi, è bene che su questo si dicano le cose con chiarezza», ha aggiunto Fitto. «Gli interventi previsti all’interno del Pnrr vanno avanti regolarmente, non c’è nessuna interruzione rispetto a tutto ciò che è previsto». Ma come sarà coperta allora la spesa delle nove misure definanziate? 

Su questo punto ha sollevato alcuni dubbi la già citata relazione del Servizio studi di Camera e Senato. Innanzitutto la relazione ha sottolineato che «ai definanziamenti devono aggiungersi tutte le rimodulazioni finanziarie di investimenti» presenti nella proposta di modifica del Pnrr fatta dal governo. In secondo luogo, cosa più importante, la relazione spiega che il governo non ha specificato «quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso i quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate dal Pnrr». Stabilire dove il governo prenderà i soldi per coprire le misure definanziate è necessario, spiega la relazione, principalmente per due motivi: da un lato ci sono progetti già stati avviati che prevedevano il finanziamento proprio con le misure definanziate; dall’altro lato bisogna verificare se le voci alternative di copertura a cui vuole attingere il governo possono contare davvero sulle risorse necessarie a questo scopo.

Al momento sono tre le ipotesi – dunque di certo non c’è ancora nulla –  sulle possibili fonti di finanziamento da cui potrebbe attingere il governo. La prima è il “Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr”, finanziato con oltre 30 miliardi di euro di risorse nazionali (per intenderci non sono prestiti o sovvenzioni a fondo perduto fatte dall’Ue all’Italia). Creato dal governo Draghi per supportare l’attuazione del Pnrr, il fondo complementare ha incontrato vari ritardi nella sua attuazione e il governo Meloni ha deciso negli scorsi mesi di mettere mano anche alle sue voci di spesa. La seconda fonte sono i fondi strutturali europei, come il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e il Fondo sociale europeo (Fes). Stiamo parlando di fondi europei, destinati all’Italia con la programmazione per gli anni tra il 2021 e 2027, con l’obiettivo di ridurre i divari territoriali. La terza fonte è il Fondo per lo sviluppo e la coesione, con le risorse nazionali che affiancano l’attuazione dei fondi europei.

Ricapitolando: il governo intende portare a termine le nove misure definanziate dal Pnrr allungando le scadenze per la loro attuazione e utilizzando altre fonti di finanziamento. Ma al momento questa resta una promessa, che vedremo nei prossimi mesi se sarà mantenuta oppure no.

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