Il fact-checking di Meloni all’Assemblea di Confindustria

Abbiamo verificato 15 dichiarazioni fatte dalla presidente del Consiglio su vari temi, dal Pnrr all’economia
ANSA/VINCENZO LIVIERI
ANSA/VINCENZO LIVIERI
Il 18 settembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tenuto un discorso all’Assemblea generale di Confindustria, la principale organizzazione che rappresenta le industrie e le aziende di servizi in Italia.

Dall’andamento dell’economia ai numeri sul mercato del lavoro, passando per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), abbiamo verificato 15 dichiarazioni di Meloni. Vediamo come se l’è cavata.

La crescita del Pil nel 2023

«Nel 2023 l’Italia cresce più del doppio della media Ue e dell’Eurozona: l’Italia cresce del +0,9 per cento, con una media europea del +0,4»

Secondo Eurostat, nel 2023 – ossia l’anno scorso – il Prodotto interno lordo (Pil) dell’Italia è cresciuto dello 0,9 per cento rispetto al 2022, a fronte di una crescita media dei 27 Stati membri dell’Unione europea pari allo 0,4 per cento. Le percentuali citate da Meloni sono dunque corrette.

L’anno scorso 12 Paesi Ue su 27 hanno registrato comunque una crescita del Pil più alta di quella italiana. Tra questi Paesi c’è la Spagna (+2,5 per cento), mentre la Francia è cresciuta come l’Italia (+0,9 per cento).

Le previsioni per il 2024

«Per quest’anno la Commissione europea prevede che l’Italia cresca dello 0,9 per cento, una previsione più alta di quella prevista per l’Eurozona, di quella prevista per la Germania, di quella prevista per la Francia. Stiamo andando meglio degli altri»

Qui Meloni ha fatto riferimento alle previsioni di crescita pubblicate lo scorso maggio dalla Commissione europea. Secondo la Commissione Ue, quest’anno il Pil italiano crescerà dello 0,9 per cento rispetto al 2023, una percentuale più alta di quella di Francia (+0,7 per cento), Germania (+0,1 per cento) e della media dei Paesi che adottano l’euro come moneta unica (+0,8 per cento). La presidente del Consiglio non ha detto però che, secondo la Commissione Ue, 19 Stati membri cresceranno più dell’Italia, tra cui la Spagna (+2,1 per cento), e che la crescita media dei 27 Paesi Ue è più alta di quella italiana (+1 per cento). In più nel 2025 – ma qui si va ancora più in là nel tempo – la crescita italiana (+1,1 per cento) è prevista essere la seconda più bassa, davanti solo alla Germania. 

Come detto, le previsioni della Commissione europea sono uscite quattro mesi fa. Alcune previsioni, pubblicate più di recente da altre organizzazioni, sono leggermente diverse. Secondo le previsioni pubblicate a luglio dal Fondo monetario internazionale, quest’anno il Pil italiano salirà dello 0,9 per cento rispetto al 2023, una percentuale più alta della Germania (-0,2 per cento), ma più bassa della Francia (+1,1 per cento) e della Spagna (+2,5 per cento).

La crescita pre-pandemia

«Nel 2019, l’anno precedente al Covid, l’Italia registrava il peggiore risultato tra tutte le nazioni europee per andamento del Prodotto interno lordo. Cresceva dello 0,5 per cento, un quarto della media Ue, un terzo della media dell’Eurozona»

È corretto: secondo Eurostat, nel 2019 il Pil italiano è cresciuto dello 0,5 per cento rispetto al 2018, la percentuale di crescita più bassa tra i Paesi Ue. La crescita media di tutti i Paesi membri è stata dell’1,9 per cento, mentre quella dei Paesi dell’area euro dell’1,7 per cento.

L’andamento dello spread

«Lo spread è a un livello di circa 100 punti di base inferiore rispetto a quello dell’ottobre 2022»

Lo spread indica la differenza tra il rendimento dei Btp, ossia i titoli di Stato italiani con scadenza a dieci anni, e quello dei suoi corrispettivi tedeschi, i Bund. Di norma, un aumento dello spread è interpretato come un peggioramento della fiducia nei titoli di Stato italiani da parte degli investitori, mentre un calo dello spread è letto come un aumento della fiducia.

Il governo Meloni si è insediato il 22 ottobre 2022. All’epoca lo spread valeva 233 punti base: c’era una differenza del 2,33 per cento tra il rendimento dei titoli italiani e quello dei titoli tedeschi. Il 18 settembre, giorno del discorso di Meloni all’Assemblea di Confindustria, valeva circa 100 punti base in meno.
Grafico 1. Andamento dello spread dal 22 ottobre 2022 al 17 settembre 2024 – Fonte: Il Sole 24 Ore
Grafico 1. Andamento dello spread dal 22 ottobre 2022 al 17 settembre 2024 – Fonte: Il Sole 24 Ore

La crescita degli occupati

«I dati Istat di luglio ci dicono che abbiamo superato per la prima volta 24 milioni di lavoratori: mai così tanti italiani avevano lavorato dall’Unità d’Italia a oggi»

Questa dichiarazione è stata ripetuta varie volte dalla presidente del Consiglio nelle ultime settimane e l’abbiamo approfondita in un altro fact-checking. Secondo i dati Istat più aggiornati, a luglio gli occupati in Italia erano di poco sopra i 24 milioni, il numero più alto da gennaio 2004, ossia da quando esistono dati mensili sugli occupati confrontabili tra loro.

Negli anni e decenni seguenti non si era mai raggiunto un numero simile di occupati, anche se per vari motivi i confronti vanno fatti con cautela. In particolare, i criteri con cui Istat raccoglie i dati sugli occupati sono cambiati nel tempo.
Come mostra il grafico, comunque, la crescita degli occupati non è un fenomeno iniziato con l’attuale governo, ma è in corso da tempo: la risalita è partita nel 2021, durante il governo Draghi, ed è proseguita con il governo Meloni, che si è insediato il 22 ottobre 2022. 

I tassi di occupazione record

«Il tasso di occupazione generale ha raggiunto il 62,3 per cento, quello di occupazione femminile il 53,6 per cento»

Entrambe queste percentuali sono confermate dai dati Istat, relativi al mese di luglio e alla fascia di età tra i 15 e i 64 anni. Nonostante queste percentuali siano le più alte mai raggiunte, rimangono entrambe le più basse tra tutti i Paesi dell’Unione europea, che in media hanno registrato anche loro un aumento dei tassi di occupazione da quando è in carica il governo Meloni.

Il calo della disoccupazione

«Tendenza opposta è il tasso di disoccupazione che scende a luglio al 6,5 per cento, il più basso dal 2008. Dall’ottobre del 2022 si contano circa 750 mila occupati in più, 408 mila sono donne» 

Anche in questo caso i tre numeri citati da Meloni sono confermati da Istat. Come detto sopra, l’aumento del numero degli occupati segue la dinamica iniziata nel 2021, durante il precedente governo.

L’aumento degli occupati a tempo indeterminato

«Salgono gli occupati a tempo indeterminato, diminuiscono gli occupati a tempo determinato. Aumentano anche gli autonomi: 248 mila in più»

È vero: secondo Istat, luglio 2024 gli occupati a termine erano di meno rispetto a ottobre 2022, mentre gli occupati a tempo indeterminato sono cresciuti. Quando si è insediato il governo Meloni, il 16,4 per cento degli occupati dipendenti in Italia aveva un rapporto di lavoro a termine, percentuale scesa al 14,7 per cento a luglio 2024.

L’andamento delle retribuzioni

«Da ottobre 2023, dopo circa tre anni che perdevano potere d’acquisto, a causa di un aumento significativo del costo della vita, le retribuzioni hanno iniziato a recuperare terreno rispetto all’inflazione»

Con tutta probabilità, Meloni ha fatto riferimento a un dato contenuto nel nuovo “Rapporto annuale” di Istat, pubblicato lo scorso maggio. «Dopo un periodo di quasi tre anni, la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata, a ottobre 2023, a superare quella dei prezzi, grazie alla continua decelerazione dell’inflazione», ha scritto Istat. Ma la stessa Istat ha sottolineato nel suo rapporto: «In media di anno, tuttavia, la crescita salariale è risultata ancora inferiore a quella dell’inflazione». 

Secondo l’Istituto nazionale di statistica, l’anno scorso le retribuzioni contrattuali «sono aumentate del 2,9 per cento», in «rafforzamento rispetto al 2022», quando c’era stata una crescita del 1,1 per cento. In ogni caso, ha aggiunto Istat, «i prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9 per cento, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni». In parole semplici, negli ultimi mesi del 2023 c’è stato un miglioramento, ma non abbastanza per compensare la crescita dell’inflazione.

L’economia del Sud Italia

«Nel 2023 il Prodotto interno lordo del Mezzogiorno è cresciuto dell’1,3 per cento più della media nazionale. L’occupazione al Sud è aumentata in misura maggiore rispetto al resto d’Italia. Gli investimenti sono saliti del 50 per cento»

Qui la presidente del Consiglio è stata imprecisa. Secondo Istat, nel 2023 il Pil delle regioni del Mezzogiorno è aumentato dell’1,3 per cento rispetto al 2022, mentre l’aumento del Pil italiano – come abbiamo visto sopra – è stato dello 0,9 per cento. Quindi il Mezzogiorno è cresciuto più della media nazionale, ma non l’1,3 per cento in più. Gli occupati sono cresciuti al Sud del 2,5 per cento, a fronte di un +1,8 per cento di crescita media nazionale.

È vero poi che secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), nel 2023 gli investimenti in opere pubbliche al Sud sono cresciuti del 50,1 per cento rispetto all’anno prima. Ma su questa dinamica, ha scritto Svimez, ha «inciso significativamente il progressivo avanzamento degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e l’accelerazione della spesa dei fondi europei della coesione in fase di chiusura del ciclo di programmazione 2014-2020». Stiamo parlando dunque di risorse stanziate prima dell’insediamento del governo Meloni.

L’attuazione del Pnrr

«Noi siamo la prima nazione in termini di realizzazione del Pnrr nonostante abbiamo il piano più corposo d’Europa»

Questa dichiarazione di Meloni è scorretta, come abbiamo spiegato di recente nel fact-checking sul discorso della presidente del Consiglio a Cernobbio. 

In valori assoluti è vero che il Pnrr italiano è il piano più grande, visto che in totale vale oltre 194 miliardi di euro, una cifra pari al 9,3 per cento del Pil italiano. Da questa prospettiva, però, tre Paesi Ue hanno un Pnrr più “ricco” di quello italiano: Grecia, Croazia e Spagna.

Fino a oggi l’Italia ha raggiunto 232 traguardi e obiettivi sui 617 concordati con l’Ue: in valore assoluto questo è il numero più alto, ma qui è importante sottolineare che i 27 Paesi Ue hanno tutti concordato un numero diverso di traguardi e obiettivi. Se si guarda l’attuazione del piano da un’altra prospettiva, la classifica cambia. L’Italia ha raggiunto infatti il 37 per cento dei suoi traguardi e obiettivi: cinque Paesi hanno fatto meglio.
A oggi l’Ue ha erogato cinque rate su dieci all’Italia, lo stesso numero di quelle ricevute dalla Croazia, ma non tutti i piani si basano sull’erogazione di dieci rate. Per esempio la Francia ha ricevuto tre rate su cinque (il 60 per cento) ed è davanti all’Italia. Finora l’Italia ha ricevuto dall’Ue 113,5 miliardi di euro, il 58,4 per cento del valore totale del Pnrr. Ma anche in questo caso, in percentuale Francia e Danimarca hanno ricevuto più soldi dell’Italia.

La nomina di Fitto

«Ieri Raffaele Fitto è stato indicato come uno dei prossimi vicepresidenti esecutivi della nuova Commissione europea, con un portafogli che, tra Fondi di coesione e Pnrr, che, come sapete, è una delega in cooperazione con il commissario Dombrovskis, cuba oltre mille miliardi di euro»

Il 17 settembre Fitto è stato nominato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen commissario europeo per la Coesione e le Riforme, e vicepresidente esecutivo insieme ad altri cinque commissari. Insieme al commissario europeo all’Economia e alla Produttività Valdis Dombrovskis, Fitto dovrà occuparsi anche dei piani nazionali di ripresa e resilienza dei Paesi Ue, finanziati dalla Commissione Ue.

La cifra dei «mille miliardi di euro» citata da Meloni si ottiene sommando due numeri: da un lato, i fondi per le Politiche di coesione allocati dall’Ue per il periodo tra il 2021 e il 2027 ammontano a 392 miliardi di euro; dall’altro lato, i piani di ripresa e resilienza sono finanziati dal Recovery and Resilience Facility, un fondo che può contare su 648 miliardi di euro. Sommando queste due cifre si ottengono circa 1.040 miliardi di euro.

L’andamento dell’export

«Il Made in Italy conquista sempre nuovi mercati e ha portato l’Italia nel primo semestre del 2024 al quarto posto nella classifica mondiale dell’export, superando prima la Corea del Sud e poi il Giappone. Solo dieci anni fa eravamo al settimo posto»

Con tutta probabilità, la fonte della dichiarazione di Meloni è un articolo pubblicato il 25 agosto da Il Sole 24 Ore, scritto da Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison ed ex consigliere economico di Matteo Renzi quando era presidente del Consiglio. Secondo le stime di Fortis, tra gennaio e giugno 2024 le esportazioni italiane hanno raggiunto un valore pari a 316 miliardi di euro, quarto dato più alto al mondo, dietro a Cina, Stati Uniti e Germania, e davanti al Giappone, fermo a 312 miliardi di euro. 

Questi numeri però vanno letti con attenzione, per almeno due motivi. In primo luogo, quando si confrontano i dati delle esportazioni tra Paesi diversi, per poter fare paragoni diretti spesso si convertono i valori nella stessa valuta. In questo caso i valori in yen (la valuta giapponese) sono stati convertiti in euro. Ma se il tasso di cambio tra yen ed euro è cambiato negli ultimi mesi, questo può avere avuto un effetto sul confronto tra i due Paesi. E in effetti è quello che è avvenuto, con lo yen che ha perso valore nei confronti dell’euro. 

In secondo luogo, i numeri che abbiamo appena visto non ci dicono qual è stato l’andamento delle esportazioni italiane. Come ha sottolineato lo stesso Fortis nel suo articolo, nei primi sei mesi di quest’anno il valore delle esportazioni italiane è calato dell’1,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Secondo Istat, nella prima metà del 2024 c’è stato anche un calo in volumi delle esportazioni dell’Italia. Di questo calo Meloni non ne ha parlato durante l’Assemblea di Confindustria, anzi ha lasciato intendere che le esportazioni sono aumentate «conquistando sempre nuovi mercati».

Gli investimenti sull’intelligenza artificiale

«Penso alla scelta di investire un miliardo di euro, per cominciare, sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale»

La cifra di «un miliardo di euro» citata da Meloni è contenuta nel disegno di legge presentato dal governo in Parlamento che propone di introdurre alcune misure e nuove regolamentazioni sull’intelligenza artificiale. Nel testo, che è all’esame del Senato, c’è scritto che si autorizza l’acquisto di partecipazioni dirette o indirette – attraverso un fondo di Cassa depositi e prestiti – in piccole e medie imprese innovative e startup, con sede in Italia, attive in settori tecnologici come quello dell’intelligenza artificiale.

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