Il fact-checking della conferenza stampa di fine anno di Giorgia Meloni

Dal Pnrr alla legge di Bilancio, passando per le spese militari e l’evasione fiscale, abbiamo verificato dieci dichiarazioni della presidente del Consiglio
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Nella mattinata di giovedì 29 dicembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tenuto la tradizionale conferenza stampa di fine anno, organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in collaborazione con l’Associazione della Stampa parlamentare.

Dalla legge di Bilancio al Pnrr, passando per le spese militari e l’evasione fiscale, abbiamo verificato dieci dichiarazioni della presidente del Consiglio, che ha commesso alcuni errori.

I tempi per l’approvazione della legge di Bilancio

«La manovra è stata approvata con un giorno di anticipo rispetto a quanto avvenuto negli ultimi due anni»

Meloni ha ragione. La legge di Bilancio per il 2023 è stata approvata definitivamente dal Senato nella mattinata del 29 dicembre, mentre sia nel 2020 che nel 2021 la legge di Bilancio era stata approvata il 30 dicembre. Il governo Meloni ha presentato la legge di Bilancio in Parlamento il 29 novembre 2022, mentre nel 2020 e nel 2021 il testo era stato trasmesso rispettivamente il 18 novembre e l’11 novembre. Il governo Meloni ha posto la questione di fiducia sulla legge di Bilancio sia alla Camera che al Senato. La stessa scelta era stata fatta nel 2020 dal secondo governo Conte e nel 2021 dal governo Draghi.

Il livello dei contagi di Covid-19

«In Italia, finora, l’incidenza della Covid-19 era in calo»

L’affermazione è corretta. Secondo il rapporto del Ministero della Salute, aggiornato al 18 dicembre, nel nostro Paese si sta confermando «il trend in diminuzione dell’incidenza di nuovi casi» di Covid-19. Nella settimana tra il 12 e il 18 dicembre, sono stati individuati nel nostro Paese 270 contagi ogni 100 mila abitanti, in calo rispetto ai 322 della settimana precedente (5-11 dicembre), ai 372 del periodo 28 novembre-4 dicembre e ai 375 delle due settimane precedenti.

L’eredità di Draghi sul Pnrr

«Quando noi siamo arrivati al governo, di questi 55 obiettivi ne erano stati conseguiti 25»

Al momento, resta ancora molto difficile monitorare lo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), a causa della scarsa trasparenza delle istituzioni. Il 28 dicembre il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto ha annunciato che il governo ha raggiunto i 55 obiettivi fissati entro la fine del 2022 dall’Italia con l’Unione europea per poter chiedere i 19 miliardi di euro della terza rata del piano. 

Il governo Meloni si è insediato il 22 ottobre. Due giorni prima, Il Sole 24 Ore ha spiegato, in un’analisi, che il governo Draghi aveva lasciato in eredità 21 obiettivi sui 55 fissati per fine dicembre già raggiunti e 11 «vicinissimi» al traguardo. Altri 21 erano in linea con i piani, mentre due più in ritardo.

Il condono fiscale in legge di Bilancio

«I condoni non ci sono nella nostra legge di Bilancio»

Non è vero: qui Meloni sbaglia. La legge di Bilancio contiene la cosiddetta “tregua fiscale”, che raccoglie alcuni provvedimenti come lo stralcio automatico delle cartelle esattoriali fino a mille euro, relative al periodo 2000-2015, e la possibilità di ripagare tutto il dovuto al fisco, con uno sconto però sulle sanzioni e gli interessi.

Secondo l’enciclopedia Treccani, un condono fiscale è un «provvedimento legislativo che prevede un’amnistia fiscale e ha lo scopo di agevolare i contribuenti che vogliano risolvere pendenze in materia tributaria». Nella letteratura scientifica internazionale, il “condono” (in inglese tax amnesty) è definito come «l’opportunità data ai contribuenti di saldare un debito con il fisco, inclusi gli interessi e le more, pagandone solo una parte».  

In base ai dettagli visti sopra, la tregua fiscale rientra a tutti gli effetti in questa categoria, perché da un lato cancella automaticamente i debiti di alcuni contribuenti con il fisco, dall’altro lato fa sì pagare il dovuto, ma con uno sconto sulle maggiorazioni.

Le scarcerazioni dei mafiosi per la Covid-19

«La morale da chi, oggi all’opposizione, ma quando era al governo ha liberato i boss mafiosi al 41-bis con la scusa del contagio da Covid […], non me la faccio fare»

Qui il riferimento di Meloni è, tra gli altri, al presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, che è stato presidente del Consiglio di due governi, tra il 1° giugno 2018 e il 13 febbraio 2021. Come abbiamo spiegato in un articolo ad aprile 2020, durante il primo lockdown, il secondo governo Conte ha approvato un decreto per favorire il ricorso alla detenzione domiciliare per una serie di detenuti. Tra questi, però, non rientravano le persone condannate per reati particolarmente gravi, tra cui quelli di stampo mafioso. 

A maggio 2020, però, alcuni boss erano stati effettivamente scarcerati: questo è successo non a causa della norma approvata da Conte, ma grazie a normative precedenti alla pandemia che autorizzano i magistrati, in caso di emergenza sanitaria, a mandare ai domiciliari i condannati e gli indagati, indipendentemente dal reato commesso, se c’è un grave pericolo per la loro salute.  

Il governo Conte era poi intervenuto, stabilendo che nel corso della pandemia di Covid-19 i magistrati avrebbero dovuto rivalutare la situazione delle persone scarcerate a cadenza regolare, con la possibilità di revocare i domiciliari se la situazione sanitaria fosse migliorata, oppure se fosse possibile proseguire la detenzione in strutture idonee a far scontare la pena ai criminali in questione, senza compromettere i loro diritti costituzionali. In seguito a questa decisione, alcuni boss mafiosi a cui inizialmente erano stati concessi i domiciliari sono tornati in carcere.

L’aumento delle spese militari

«Il governo di Giuseppe Conte aumentò di 3 miliardi le spese militari dell’Italia»

La stima di Meloni è sostanzialmente corretta, come abbiamo spiegato in un fact-checking dello scorso marzo. Quando è stato presidente del Consiglio, Conte ha aumentato le spese militari e ha confermato l’impegno (non vincolante) preso con la Nato di portare le spese militari al 2 per cento del Pil.

Le discriminazioni della flat tax

«L’estensione della tassa piatta per le partite Iva con fatturato fino a 85 mila euro non discrimina i lavoratori dipendenti»

Almeno tre organismi indipendenti, durante le audizioni in Parlamento sul disegno di legge di Bilancio, hanno sollevato critiche verso il provvedimento difeso da Meloni. Stiamo parlando della Banca d’Italia, della Corte dei Conti e dell’Ufficio parlamentare di bilancio

Secondo la Banca d’Italia, per esempio, l’ampliamento del regime forfetario «restringe ulteriormente l’ambito di applicazione della progressività nel nostro sistema di imposizione personale sui redditi, che come noto è garantita dall’Irpef», ossia l’imposta sui redditi delle persone fisiche. Il principio della progressività, sancito dalla Costituzione, stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Il rischio, evidenziato dalla Banca d’Italia, è che i lavoratori dipendenti e gli autonomi, «con la stessa capacità contributiva», siano trattati «in modo ingiustificatamente dissimile». Non solo: l’estensione del regime forfetario potrebbe addirittura «incentivare l’evasione», non dichiarando i ricavi che superano la soglia oltre la quale non varrebbe più l’aliquota unica al 15 per cento.

«Dal punto di vista della struttura del prelievo sui redditi, si indebolisce così ulteriormente il ruolo dell’Irpef e se ne accentua la specialità sui redditi di lavoro dipendente e di pensione», ha dichiarato in merito la Corte dei Conti.

Chi ha chiesto aiuto al Mes

«Dopo la Grecia, il Mes non è stato attivato da nessuno»

Questa dichiarazione rischia di essere fuorviante. Da quando esiste, il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) ha dato sostegno economico prima alla Spagna, poi a Cipro e alla Grecia. Prima ancora, la Grecia aveva ricevuto prestiti dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf), il predecessore del Mes, così come il Portogallo e l’Irlanda.

La crescita dell’economia italiana

«L’economia italiana nell’ultimo trimestre è cresciuta più di quella tedesca, di quella francese e di quella spagnola»

Secondo i dati Eurostat più aggiornati, pubblicati il 7 dicembre, nel terzo trimestre del 2022, ossia tra luglio e settembre di quest’anno (quando c’era ancora il governo Draghi), il Prodotto interno lordo italiano è cresciuto dello 0,5 per cento rispetto ai tre mesi precedenti, una percentuale più alta di quella di Germania (0,4 per cento), Francia (0,2 per cento) e Spagna (0,2 per cento). Rispetto allo stesso trimestre del 2021, il Pil italiano è cresciuto del 2,6 per cento, percentuale più alta di quella francese (1 per cento) e tedesca (1,3 per cento), ma più bassa di quella spagnola (3,8 per cento).

Tetto al contante ed evasione

«Negli ultimi dieci anni quando c’è stata meno evasione fiscale è quando c’era il tetto al contante a 5 mila euro»

Qui Meloni ha ripetuto lo stesso errore già commesso durante il primo video della rubrica “Gli appunti di Giorgia”. A sostegno di questa tesi, la presidente del Consiglio aveva mostrato un grafico realizzato da Unimpresa secondo cui nel 2010, quando il tetto al contante era a 5 mila euro, l’evasione fiscale stimata in Italia aveva avuto un valore pari a circa 83 miliardi di euro, il dato più basso registrato fino al 2019. 

Il grafico in questione, così come la dichiarazione di Meloni, è però impreciso e fuorviante. Da un lato, il dato sull’evasione del 2010 è parziale, perché non tiene conto dell’evasione di alcune imposte e di quella dei contributi previdenziali, calcolati invece nelle stime degli anni seguenti. Dall’altro lato, ha poco senso valutare l’efficacia del tetto al contante nel contrasto dell’evasione comparando i valori annuali dell’evasione con quelli dei limiti all’uso del contante. 

Per valutare il contributo del tetto al contante servono studi scientifici. Come hanno spiegato nelle audizioni sul disegno di legge di Bilancio per il 2023 la Banca d’Italia, la Corte dei Conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio, alcuni studi hanno mostrato che in Italia il tetto al contante può contribuire a ridurre il fenomeno dell’economia sommersa e dell’evasione.

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