Il 21 aprile, durante la sua partecipazione a Fuori dal coro di Mario Giordano su Rete4, il leader della Lega Matteo Salvini ha scritto su Twitter che «grazie al decreto “Cura Italia”» rischiano di uscire dal carcere «mafiosi» come «Nitto Santapaola, Pippo Calò, Leoluca Bagarella».

Un messaggio simile è stato trasmesso dall’ex ministro dell’Interno in un video pubblicato lo stesso giorno su Facebook, dicendo che «con la scusa del virus il governo sta facendo uscire i mafiosi di galera».

Alle critiche di Salvini ha subito risposto il Movimento 5 stelle, che sulla sua pagina Facebook ha scritto: «Mafiosi fuori per decreto? Un’altra menzogna di Salvini»

«La verità è che nel “Cura Italia” non c’è nulla di tutto quello che va raccontando la Lega», ha aggiunto il post sul profilo Facebook del M5s. «Al contrario: la norma esclude i domiciliari per i detenuti in carcere per reati di mafia».

Secondo il partito di maggioranza, «i condannati che sono andati ai domiciliari in questi giorni di emergenza sanitaria lo hanno fatto in base alle decisioni dei giudici di sorveglianza sulla base di valutazioni che nulla hanno a che fare con il decreto Cura Italia».

Chi ha ragione tra Salvini e il M5s? Il decreto “Cura Italia” fa davvero uscire i mafiosi dal carcere? Abbiamo verificato.

Che cosa prevede il decreto “Cura Italia”

Vista l’attuale emergenza coronavirus e il sovraffollamento delle carceri italiane, il decreto “Cura Italia” – la cui conversione in legge è stata approvata dal Senato il 9 aprile scorso e ora è all’esame della Cameraha richiamato (art. 123), modificando in parte, alcune disposizioni in materia di detenzione domiciliare già in vigore dal 2010.

Nello specifico, il “Cura Italia” ha ribadito che – come previsto dalla legge n. 199 del novembre 2010 e successive modificazioni – i detenuti che devono scontare una pena non superiore a 18 mesi possono farlo nelle proprie abitazioni, controllati a distanza con i braccialetti elettronici, dal 17 marzo 2020 al 30 giugno 2020. Questa disposizione vale anche per chi ha ricevuto una pena superiore all’anno e mezzo, ma che deve scontare ancora al massimo 18 mesi di detenzione in carcere.

Rispetto alla legge del 2010, le novità del “Cura Italia” sono sostanzialmente due, entrambe pensate per velocizzare il procedimento di esame delle domande presentate dai detenuti per l’esecuzione della pena presso il loro domicilio.

In primo luogo, rispetto a prima, ora un istituto penitenziario non deve più fornire al magistrato di sorveglianza (che ha il compito di vigilare sulle carceri) un rapporto sulla condotta tenuta da un detenuto durante la detenzione, ma deve indicare l’eventuale luogo esterno di detenzione.

Questa scelta – spiega la Relazione illustrativa del decreto – è stata presa dal governo per «non gravare, in questo momento di estrema complicazione, l’amministrazione penitenziaria di compiti e attività onerosi», che in concreto hanno l’effetto di allungare i tempi.

In secondo luogo, con il “Cura Italia” sono stati modificati alcuni requisiti che impedivano a un detenuto di poter usufruire delle disposizioni di detenzione domiciliare. Prima, per esempio, non potevano accedere alle misure quei detenuti per cui c’era la «concreta possibilità» di fuga o di commettere altri reati. Il “Cura Italia” ha tolto queste limitazioni.

Nello specifico, possono beneficiare di queste nuove regole tutti i detenuti o ci sono delle limitazioni?

Quali detenuti beneficiano del “Cura Italia”

Non tutte le categorie di condannati possono sfruttare le nuove regole introdotte dal “Cura Italia”.

Dai beneficiari della misura, sempre in base a quanto già prevedeva la normativa del 2010, sono esclusi, tra gli altri, i cosiddetti “delinquenti abituali” (ossia quelli che sono stati condannati per più volte e a pene di più anni); quelli sottoposti al regime di sorveglianza particolare (perché minacciano la sicurezza degli altri detenuti); e quelli condannati per una serie di reati considerati gravi (i cosiddetti “reati ostativi”).

Chi rientra in quest’ultima categoria dei reati ostativi? Da un lato, rientrano i condannati per maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 del codice di procedura penale) e i condannati per atti persecutori (art. 612-bis c.p.p.)

Dall’altro lato, sono compresi i condannati per una serie di reati indicati dall’articolo 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, tra cui ci sono anche quelli per associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.p., una fattispecie dell’associazione per delinquere) o di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.p.).

Secondo i dati della “Relazione tecnica” del decreto, si stima che fino al 30 giugno 2020 – limite temporale delle disposizioni del “Cura Italia” – saranno installati 3 mila braccialetti elettronici che, sommati ai 5.200 attualmente attivi, porteranno a 8.200 dispositivi impiegati.

Ricapitolando: non è vero che con il “Cura Italia” i detenuti per reati legati alla mafia – in base anche a regole che già vigevano prima – possono godere delle nuove norme di detenzione domiciliare.

Allora di che cosa sta parlando Salvini?

Che cosa è successo in questi giorni

È probabile che il riferimento sia ai contenuti di una recente inchiesta giornalistica.

Il 22 aprile il settimanale L’Espresso ha pubblicato un articolo di Lirio Abbate in cui si spiega che il giorno prima «il giudice di sorveglianza del tribunale di Milano ha concesso gli arresti domiciliari al capomafia di Palermo Francesco Bonura», 78 anni e sottoposto al regime dell’articolo 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario (il cosiddetto “carcere duro”).

Secondo quando riportato da L’Espresso, questa decisione è stata giustificata dal giudice di sorveglianza del tribunale di Milano per «motivi di salute» ed escludendo il pericolo di fuga.

L’articolo sostiene anche che il 21 marzo 2020 il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha inviato una circolare ai direttori delle carceri italiane «in cui li invita a “comunicare con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza”, il nominativo del detenuto, suggerendo la scarcerazione, se rientra fra le nove patologie indicate dai sanitari dell’amministrazione penitenziaria, ed inoltre, tutti i detenuti che superano i 70 anni».

Secondo l’Espresso, «con questa caratteristica sono 74 i boss che oggi sono al 41 bis»: fra i nomi che potrebbero approfittare di queste nuove disposizioni ci sono anche quelli citati da Salvini, ossia Benedetto (detto “Nitto”) Santapaola, Pippo Calò e Leoluca Bagarella.

Come riportano fonti stampa, però, il Dap ha pubblicato un comunicato in cui smentisce questa ricostruzione, dicendo di non aver «diramato alcuna disposizione a proposito dei detenuti appartenenti al circuito di alta sicurezza o, addirittura, sottoposti al regime previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario».

Secondo il Dap, la circolare invitava a compiere «un semplice monitoraggio con informazioni per i magistrati sul numero di detenuti in determinate condizioni di salute e di età, comprensive delle eventuali relazioni inerenti la pericolosità dei soggetti, che non ha, né mai potrebbe avere, alcun automatismo in termini di scarcerazioni».

«Le valutazioni della magistratura sullo stato di salute di quei detenuti e la loro compatibilità con la detenzione – ha aggiunto ancora il Dap – avviene ovviamente in totale autonomia e indipendenza rispetto al lavoro dell’amministrazione penitenziaria».

Questa versione è stata confermata anche dai legali di Francesco Bonura, Giovanni Di Benedetto e Flavia Sinatra, che hanno spiegato come il loro assistito debba ancora scontare 9 mesi di pena (sui circa 19 totali) e sia malato di un cancro al colon, per il quale è stato in passato sottoposto a un’«operazione di urgenza» e a «cicli di chemioterapia». Secondo i legali, il peggioramento delle condizioni di Bonura, unito all’attuale emergenza coronavirus, giustificherebbe così la scelta del giudice di sorveglianza del tribunale di Milano.

«Del tutto errato è altresì il riferimento al recente decreto cosiddetto “Cura Italia” che non si applica al caso di specie e che non ha nulla a che vedere con il differimento pena disposto per comprovate ragioni di salute e sulla base della previgente normativa», hanno aggiunto i legali di Bonura.

Dal mondo della magistratura sono però arrivate critiche alla scelta di concedere i domiciliari al boss mafioso.

«Una ulteriore grave offesa alla memoria delle vittime e all’impegno quotidiano di tanti umili servitori dello Stato», ha detto il 21 aprile all’Adnkronos il magistrato Antonino Di Matteo, componente del Consiglio superiore di magistratura. «Lo Stato sembra aver dimenticato e archiviato per sempre la stagione delle stragi e della trattativa stato- mafia».

Pagella Politica ha contattato il Dipartimento di amministrazione penitenziaria per avere un commento sulla vicenda in questione e per avere la circolare del 21 marzo (non pubblicamente disponibile), ma siamo ancora in attesa di una risposta.

Alcuni esponenti del Partito democratico hanno chiesto un’«immediata convocazione della Commissione antimafia», mentre il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato che il suo dicastero farà «tutte le verifiche e gli accertamenti del caso».

In conclusione

Secondo Matteo Salvini, «grazie al decreto “Cura Italia”» rischiano di uscire dal carcere «mafiosi» come «Nitto Santapaola, Pippo Calò, Leoluca Bagarella». In risposta, il Movimento 5 stelle ha detto che questa è una «menzogna». Chi ha ragione?

Vista l’attuale emergenza coronavirus, è vero che il decreto “Cura Italia” ha previsto delle novità in tema di detenzione domiciliare, introducendo alcune modifiche a una legge del 2010. Ma abbiamo verificato e tra i beneficiari di queste misure, però, sono esclusi i condannati per reati legati alla mafia, al contrario di quello che dice il leader della Lega.

I nomi citati da Salvini sono invece stati indicati anche da un articolo dell’Espresso, secondo cui, in base a una circolare del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) inviata ai direttori delle carceri italiane lo scorso 21 marzo, una serie di condannati per mafia potrebbe uscire dal carcere perché anziani e malati.

L’articolo del settimanale spiega anche che il giudice di sorveglianza del tribunale di Milano ha concesso i domiciliari al boss Francesco Bonura per «motivi di salute», e vista l’attuale emergenza coronavirus. Questa versione è stata confermata dai legali di Bonura, che hanno però chiarito come la scelta non c’entri con la circolare o il “Cura Italia”.

Lo stesso Dap ha poi smentito l’interpretazione della circolare data dall’Espresso, dicendo che il documento – inviato un mese fa – ha invitato i direttori a compiere un «semplice monitoraggio», senza «alcun automatismo in termini di scarcerazioni», e che le valutazioni dei magistrati continuano ad avvenire in «autonomia».