Il fact-checking dell’intervista di Berlusconi a Zona bianca

Dal lavoro alla sicurezza, abbiamo verificato nove affermazioni del leader di Forza Italia, ospite della trasmissione di Rete4
Pagella Politica
Il 28 luglio, ospite della trasmissione Zona bianca su Rete4, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ha commentato l’inizio della campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 25 settembre e, tra le altre cose, ha esposto alcuni punti del programma del suo partito. 

Dal lavoro alla sicurezza, passando per gli attacchi agli avversari politici, abbiamo verificato nove affermazioni fatte del leader di Forza Italia, che nella maggior parte dei casi è stato impreciso, commettendo anche diversi errori. 
Governi non votati dagli italiani?

«L’ultimo governo votato dagli italiani è stato il mio del 2008» (min. 6:40)

Questa affermazione è un cavallo di battaglia di Berlusconi, che in passato l’ha ripetuta più volte, a partire almeno dal 2014. Si tratta di un’affermazione in parte fuorviante, anche se parte da una considerazione corretta. L’Italia è infatti una Repubblica parlamentare, non presidenziale, e quindi gli elettori non scelgono il governo (né il presidente del Consiglio) tramite le elezioni, quanto il Parlamento. È poi il presidente della Repubblica a nominare il presidente del Consiglio, ovviamente tenendo conto del risultato delle elezioni, e il governo deve ricevere la fiducia del Parlamento.

Come abbiamo ricostruito tempo fa in una nostra analisi per l’agenzia di stampa Agi, l’equivoco riguardo ai “governi eletti” è stato facilitato da una modifica di come partiti e coalizioni si sono presentati alle urne e che è cominciata nel 2006. All’epoca, la legge elettorale in vigore era il cosiddetto Porcellum e prevedeva tra le altre cose che ciascuna coalizione indicasse il nome del proprio capo. In occasione delle elezioni politiche di quell’anno, Forza Italia inserì quindi nel proprio simbolo il nome del leader, scrivendo “Berlusconi presidente”. Gli elettori, in questo modo, furono rafforzati nella falsa convinzione che il loro voto determinasse la scelta del presidente del Consiglio. Due anni dopo, alle elezioni del 2008, sia il Popolo della Libertà che il Partito Democratico inserirono nei propri loghi il nome del leader – rispettivamente Berlusconi e Veltroni – con la dicitura “presidente”, ed effettivamente nel 2008 Berlusconi, vinte le elezioni, venne nominato presidente del Consiglio. Con il Rosatellum, la legge attualmente in vigore, l’obbligo di indicare il nome del capo della coalizione è venuto meno. 

Nel 2011 il quarto governo Berlusconi governo cadde e al suo posto venne nominato come presidente del Consiglio l’economista Mario Monti. Seppure non sia stata frutto di un’elezione, la nomina di Monti fu costituzionalmente legittima, in quanto l’incarico gli era stato conferito dal presidente della Repubblica, e il suo esecutivo ottenne la fiducia dal Parlamento.

Al netto di questo, è vero comunque che il governo Berlusconi del 2008 è in effetti l’ultimo in cui lo schieramento che uscì vincente dalle elezioni (in quel caso il centrodestra, formato da Popolo della Libertà, Lega Nord più altri partiti minori) formò poi un governo costituito da quelle stesse forze politiche. E dunque, in un certo senso, la coalizione “votata dagli elettori” espresse un governo formato soltanto da essa. 

Dopo il 2008 ciò di fatto non è più successo. Nel 2013, ad esempio, il leader del partito che alla Camera vinse il premio di maggioranza, cioè Pier Luigi Bersani (Pd), non divenne presidente del Consiglio in un governo formato solo dal centrosinistra. All’epoca, l’incarico di formare il governo fu affidato a Enrico Letta, un altro esponente del Pd, che creò un governo di «larghe intese» insieme al centrodestra. Nel 2014, l’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi (Pd) subentrò a Enrico Letta, sempre senza un passaggio elettorale, ma nel pieno rispetto del dettato costituzionale (e mantenendo un’alleanza con forze di centro e di centrodestra). 

Dopo le elezioni 2018, invece, venne nominato come presidente del Consiglio l’avvocato Giuseppe Conte, una figura di sintesi tra le posizioni del Movimento 5 stelle e quelle della Lega, i due principali partiti che sostenevano il suo governo: entrambe però non si erano presentate insieme alle elezioni. Nel 2019, invece, si è verificato un cambio di maggioranza, con la nascita del secondo governo Conte, appoggiato questa volta dal Movimento 5 stelle e dal Partito democratico, sostituito dall’esecutivo guidato da Mario Draghi, nel 2021.

Il presidente del Consiglio più longevo

«Sono ancora oggi il presidente del Consiglio che ha governato più a lungo, per quasi 10 anni» (min. 11:40)

Questa affermazione è vera. Dal 1948 a oggi in Italia si sono alternati 67 governi, guidati da 29 presidenti del Consiglio. Fra questi, Berlusconi ha presieduto quattro governi ed è stato presidente del Consiglio per 3.339 giorni, un totale di circa dieci anni (anche se non consecutivi), il più longevo di tutti. Il secondo più longevo è stato Giulio Andreotti (Democrazia cristiana), con sette governi presieduti e 2.678 giorni da presidente del Consiglio, mentre il terzo è stato Alcide De Gasperi (Dc), che è stato a capo di otto governi e presidente del Consiglio per 2.591 giorni.

I cambi di casacca di Calenda

«Calenda in cinque anni ha cambiato cinque volte partito» (min. 12:43)

Berlusconi si sbaglia. Carlo Calenda, attuale leader di Azione, è entrato ufficialmente in politica in occasione delle elezioni del 2013, in cui è stato candidato alla Camera con Scelta civica, il partito fondato dall’ex presidente del Consiglio Mario Monti, senza però essere eletto. A febbraio del 2015, Calenda ha lasciato Scelta civica. All’epoca, secondo alcuni quotidiani, Calenda era pronto a passare sin da subito nel Pd. In realtà, per i successivi tre anni l’ex esponente di Scelta civica non ha fatto parte di nessun partito, dato che la sua iscrizione ufficiale al Pd è avvenuta a marzo del 2018. Nell’agosto 2019, l’ex ministro dello Sviluppo economico ha poi abbandonato il partito in dissenso con la decisione del Pd di sostenere insieme al Movimento 5 stelle il secondo governo Conte. Tre mesi dopo, a novembre, Calenda ha fondato Azione, il partito di cui è attualmente il leader. 

In totale, dunque, dal 2013 a oggi, Calenda ha cambiato partito ufficialmente due volte: una volta per passare da Scelta civica al Partito democratico e una per passare dal Pd ad Azione. 

Il Movimento 5 stelle e le tasse

«Nel loro programma (del Movimento 5 stelle) c’era l’aumento delle tasse con una patrimoniale sulla casa, una patrimoniale sui risparmi, una tassa di successione al 45 per cento» (min. 19:00)

L’affermazione è falsa. Il Movimento 5 stelle si è presentato per due volte alle elezioni politiche, la prima nel 2013 e la seconda nel 2018, e una volta alle elezioni europee del 2019. In tutte e tre le occasioni, i rispettivi programmi (2013, 2018 e 2019) non prevedevano né un aumento delle tasse, né delle patrimoniali sulla casa e sui risparmi, né una tassa di successione al 45 per cento. Anzi: il programma elettorale del M5s del 2018 prevedeva la riduzione delle aliquote Irpef, l’azzeramento delle tasse per i redditi fino a 10 mila euro e una «manovra choc» per la riduzione del cuneo fiscale e dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, per le piccole e le medie imprese. 

Curiosità: non è la prima volta che il leader di Forza Italia ha fatto un’affermazione simile. Nel 2017, per esempio, aveva detto che «loro [il M5s] distruggerebbero l’Italia e il ceto medio con un’ondata di nuove tasse, dalla patrimoniale alle tasse sulla casa e con una imposta di successione fino al 45 per cento come in Francia». 

I successi calcistici

«Io ancora oggi sono il presidente di un club calcistico che ha vinto di più nella storia del calcio mondiale» (min. 11:00)

L’affermazione è falsa, come avevamo già approfondito in questo nostro fact-checking. Berlusconi è stato presidente del Milan dal 1986 al 2004, e poi dal 2006 al 2008, e con lui il Milan ha vinto sette scudetti di Serie A, una Coppa Italia, cinque Supercoppe italiane, cinque Champions League/Coppe dei campioni, cinque Supercoppe europee, due Coppe intercontinentali e una Coppa del mondo per club. In totale sono 26 trofei, che salgono a 29 se si considerano le due Supercoppe italiane e lo scudetto vinti dal Milan tra il 2008 e il 2017, quando Berlusconi era ancora proprietario del Milan (tra il 2012 e 2017 anche presidente onorario), guidato però dalla vicepresidenza vicaria di Adriano Galliani.

Quello di Berlusconi è un record a livello italiano, ma non a livello europeo e mondiale. Infatti, numeri alla mano, almeno cinque presidenti hanno vinto più trofei di Berlusconi. Si tratta di Jorge Nuno Pinto da Costa, dal 1982 presidente del Porto, che ha vinto in totale 63 trofei, dello sceicco della Giordania Majed Al-Adwan, già presidente della società calcistica Al-Faisaly, con sede nella capitale Amman (47 trofei), di Mohamed Saleh Selim, già presidente dell’Al-Ahly, squadra del Cairo, in Egitto (32 trofei), di Santiago Bernabeu, ex presidente della squadra spagnola del Real Madrid (31 trofei) e di Florentino Perez, attuale presidente del Real Madrid (27 trofei).

Italiani al lavoro

«In Italia sono soltanto quattro italiani su dieci che lavorano, in Europa cinque su dieci, negli Stati Uniti sei su dieci» (min. 1:20)

In questo caso Berlusconi è impreciso. In base ai dati più aggiornati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nel 2021 in Italia il tasso di occupazione – cioè la percentuale di persone che lavorano nella fascia d’età tra i 15 e i 64 anni – era del 58,3 per cento, nell’Unione europea del 68,3 per cento e negli Stati Uniti del 69,4 per cento. 

Se si considera invece la percentuale di lavoratori sul totale della popolazione, i dati riportati dal presidente di Forza Italia sono corretti per quanto riguardo l’Italia, mentre sono approssimativi per l’Unione europea e gli Stati Uniti. Secondo l’Ocse, nel 2021 in Italia le persone occupate erano circa 22,5 milioni su una popolazione di circa 59,2 milioni: il 38 per cento, un valore vicino al 40 per cento citato da Berlusconi. Nell’Ue invece erano occupati circa 198,2 milioni di cittadini su un totale di 447 milioni, il 44,3 per cento (e non il 50 per cento), mentre negli Stati Uniti erano occupate 152,6 milioni di persone su circa 332 milioni: il 46 per cento (e non il 60 per cento).

L’uso di internet e dei social network

«Un recente studio ha indicato nel 63 per cento degli italiani quelli che si formano la loro opinione su internet, sui social network» (min. 29:00)

In questo caso non è chiaro a quale «studio» faccia riferimento il leader di Forza Italia. Un dato simile a quello citato da Berlusconi si può ritrovare nel 47° rapporto sulla situazione sociale del Paese pubblicato a dicembre del 2013 dal Censis, un istituto di ricerca socioeconomica fondato nel 1964. Secondo questa ricerca – non proprio «recente», come invece ha dichiarato Berlusconi –, nel 2013 gli italiani che utilizzavano internet erano il 63,5 per cento della popolazione, un dato leggermente più alto di quello citato dal leader di Forza Italia. Questo non significa comunque che tutte queste persone sviluppino necessariamente «la loro opinione su internet, sui social network», come ha sostenuto Berlusconi, che probabilmente ha fatto un po’ di confusione.

E la radio?

«L’incremento dell’ascolto della radio in questi anni è stato superiore al 40 per cento» (min. 30:00)

Il dato citato dal leader di Forza Italia è sbagliato. In base ai dati più recenti del Tavolo Editori Radio, una società formata da tutte le emittenti radiofoniche italiane e che monitora l’andamento degli ascolti, e raccolti da Confindustria, nel 2021 gli ascoltatori giornalieri – ossia coloro che hanno ascoltato per almeno un quarto d’ora una stazione radio nell’arco di una giornata – sono stati in media circa 33,9 milioni. Per quanto riguarda gli ultimi anni, nel 2019 erano circa 34,9 milioni (+2,9 per cento rispetto al 2021), nel 2018 erano circa 34,7 milioni (+2,4 per cento rispetto al 2021), mentre nel 2017 erano circa 33,5 milioni (-1,2 per cento rispetto al 2021). In sostanza, dati alla mano, il numero degli ascoltatori della radio negli ultimi anni sembra essersi mantenuto più o meno stabile.

I furti in Italia

«Su 800 furti, se ne consumano tre al giorno, sono solo il 16 per cento quelli per cui vengono trovati i colpevoli» (min. 42:30)

In questo caso è probabile che il leader di Forza Italia abbia fatto confusione partendo da una vecchia statistica. Qualche anno fa Berlusconi aveva citato la stessa cifra, «800», riferendosi però al numero medio di furti in casa – dunque una categoria assai specifica – che avvenivano ogni giorno in Italia. In quel caso, il dato citato era sostanzialmente corretto: secondo i dati dell’Istat, due anni prima, nel 2014, i furti in abitazione nel nostro Paese erano stati in totale 255 mila e 886, circa 701 al giorno. 

Negli ultimi anni, i furti in casa sono comunque calati rispetto al 2014. Per esempio, secondo i dati del rapporto sulla criminalità dell’Istat pubblicato nel 2020, i furti in abitazione nel 2018 sono stati 191 mila e 374, circa 524 al giorno. Ovviamente il dato aumenta se si contano anche le altre tipologie di furto, che non riguardano le case, come per esempio i furti negli esercizi commerciali. In generale, nel 2018 i furti sono stati complessivamente 584 mila e 207, circa 1.600 al giorno.

Anche per quanto riguarda gli autori dei furti Berlusconi cita probabilmente un dato scorretto. Complessivamente, nel 2018 i furti di cui sono stati scoperti i presunti colpevoli sono stati 35.337, poco più del 6 per cento del totale, un dato decisamente più basso rispetto a quello citato dal leader di Forza Italia. La percentuale si abbassa ulteriormente se si considerano i soli furti in casa. In questo caso, i furti di cui sono stati individuati i presunti autori (almeno nello stesso anno) sono stati 5.935, il 3,1 per cento del totale.

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