Il fact-checking degli “appunti di Giorgia” – Episodio 2

Dal bonus cultura alla crescita del Pil, passando per l’evasione e l’estensione dell flat tax, abbiamo verificato 11 dichiarazioni della presidente del Consiglio
Pagella Politica
Il 12 dicembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato sui social un nuovo video della sua rubrica “Gli appunti di Giorgia”, dove la leader di Fratelli d’Italia racconta quanto fatto finora dal suo governo.

Dal bonus cultura alla crescita del Pil, passando per l’evasione fiscale e l’estensione della flat tax, abbiamo verificato 11 dichiarazioni della presidente del Consiglio, che in alcuni casi è stata precisa, mentre in altri imprecisa e fuorviante.

Il rinnovo di “decontribuzione Sud”

«L’Unione europea ha autorizzato la proroga a tutto il 2023 di “decontribuzione Sud”» (min. 2:23)

È vero. Con una decisione del 6 dicembre, la Commissione europea ha approvato la proroga per altri 12 mesi della cosiddetta “decontribuzione Sud”, uno sgravio fiscale per le imprese dell’Italia meridionale che sono state colpite dall’aumento dei costi energetici e delle materie prime in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. La notizia è stata comunicata attraverso una nota dal Ministero del Lavoro, che ha inoltrato la richiesta alla Commissione Ue: il provvedimento risale all’agosto 2020 e istituisce agevolazioni fino al 2029, ma solo previa autorizzazione della Commissione Ue. Nello specifico, l’agevolazione per il 2023 prevede un esonero contributivo del 30 per cento sui lavoratori dipendenti per i datori di lavoro privati con sede in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

La promozione delle carni e dei vini italiani

«A livello europeo siamo riusciti a vincere la battaglia per non mettere il vino e la carne tra gli alimenti e i prodotti considerati nocivi per la salute» (min. 3:00)

La notizia è stata anticipata il 9 dicembre dal ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida e ripresa poi da vari giornali nel corso del fine settimana. Il riferimento è alle nuove norme, valide per il 2023, per la promozione dei prodotti agricoli nell’Unione europea, attualmente in fase di discussione. Inizialmente, la proposta della Commissione europea prevedeva di penalizzare prodotti come il vino, gli insaccati o la carne rossa per l’ottenimento di possibili finanziamenti, in quanto considerati non particolarmente salutari. La proposta è però stata bocciata il 28 ottobre e ora, secondo quanto riportato da Lollobrigida, sarebbe stato trovato un nuovo accordo più favorevole a queste tipologie alimentari.

Si tratta però di anticipazioni e nulla è ancora ufficiale: il nuovo programma che stabilisce regole e criteri per ottenere i finanziamenti europei non è ancora stato approvato, né pubblicato sul sito degli organi competenti. Nel 2022 l’Ue ha stanziato quasi 186 milioni di euro per la promozione dei prodotti agricoli.

L’infrastruttura energetica tra Italia e Tunisia

«È stato sbloccato il contributo di oltre 300 milioni che consente di connettere con un’infrastruttura strategica l’Italia e la Tunisia sul piano energetico» (min. 3:21)

L’affermazione è corretta ed è stata diffusa, tra gli altri, l’8 dicembre dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. In particolare, il progetto in questione prevede la costruzione di un nuovo elettrodotto sottomarino, chiamato Elmed, che collegherà l’Italia alla Tunisia. L’opera sarà realizzata dalle società di energia elettrica Terna, per quanto riguarda l’Italia, e Steg, per la Tunisia. 

Come spiega il comunicato rilasciato da Terna, il progetto costerà complessivamente 850 milioni di euro, di cui oltre 300 milioni verranno forniti dall’Ue tramite la Connecting Europe Facility (Cef), un fondo destinato allo sviluppo di progetti che mirano a potenziare le infrastrutture energetiche comunitarie.

La crescita del Pil italiano

«L’economia italiana, negli ultimi tre mesi, è cresciuta più di quella francese, di quella tedesca e di quella spagnola» (min. 3:56)

Secondo i dati Eurostat più aggiornati, pubblicati il 7 dicembre, nel terzo trimestre del 2022, ossia tra luglio e settembre di quest’anno (quando c’era ancora il governo Draghi), il Prodotto interno lordo italiano è cresciuto dello 0,5 per cento rispetto ai tre mesi precedenti, una percentuale più alta di quella di Germania (0,4 per cento), Francia (0,2 per cento) e Spagna (0,2 per cento). Rispetto allo stesso trimestre del 2021, il Pil italiano è cresciuto del 2,6 per cento, percentuale più alta di quella francese (1 per cento) e tedesca (1,3 per cento), ma più bassa di quella spagnola (3,8 per cento).

Il rapporto di Meloni con i giornalisti

«In sette settimane di governo ho fatto circa sei punti stampa […]. Rispondo mediamente a più domande di quelle alle quali rispondevano i miei predecessori» (min. 5:58)

Qui la leader di Fratelli d’Italia si è difesa dalle accuse di alcuni giornalisti, secondo cui non sarebbe disposta a rispondere alle loro domande. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Il governo Meloni è entrato in carica il 22 ottobre: fino al 4 dicembre, ossia «in sette settimane», la presidente del Consiglio ha tenuto cinque conferenze stampa e tre punti stampa. Lo scorso 30 novembre abbiamo pubblicato un approfondimento in cui abbiamo spiegato che nella conferenza stampa di presentazione del disegno di legge di Bilancio per il 2023, tenutasi il 22 novembre, Meloni e altri membri del governo hanno risposto a 15 domande, più di quelle a cui avevano risposto i predecessori Mario Draghi e Giuseppe Conte nelle due conferenze stampa sulla manovra economica nel 2021 e nel 2020.

Il rapporto tra un presidente del Consiglio e i giornalisti non si esaurisce però nelle domande in conferenza stampa. Come ha sottolineato a Pagella Politica il giornalista della Stampa Ilario Lombardo, in quattro conferenze stampa su cinque Meloni ha detto di avere «un impegno» e che «per questo motivo poteva prendere poche domande», senza avvisare i giornalisti in anticipo. Lombardo ha anche aggiunto che il confronto con i precedenti presidenti del Consiglio è «incompleto, perché c’è un altro elemento di cui va tenuto conto nel sistema dei rapporti tra la stampa e Palazzo Chigi. Nel caso di Conte e di Draghi, ci sono tutta una serie di contorni importanti e di momenti di rapporto con la stampa. Per esempio, Conte, a margine delle conferenze stampa, si confrontava con le agenzie e quasi sempre faceva colloqui con i quotidiani». Con il cambio di governo, «Draghi ha stabilito un confronto frontale tradizionale con i giornalisti – ha aggiunto Lombardo – nelle conferenza stampa. È vero che per un mese e mezzo non ha fatto conferenze stampa, ma quando ha iniziato, Draghi ha sempre trovato un equilibrio tra l’introduzione degli argomenti della conferenza stampa, poi sottoponendosi alle domande».

Il dibattito sul bonus cultura

«I 500 euro del “bonus cultura”, al compimento dei 18 anni, vengono riconosciuti a tutti, indipendentemente dal reddito» (min. 8:25)

Meloni ha ragione. Il bonus cultura, chiamato anche “18app”, è un buono da 500 euro destinato ai neodiciottenni, da utilizzare per l’acquisto di beni culturali, come i libri, e per la partecipazione a eventi culturali, come mostre e concerti. Per accedere al buono non ci sono limiti di reddito: al momento, basta aver compiuto 18 anni nel 2021, essere residenti in Italia o avere un regolare permesso di soggiorno. 

La presidente del Consiglio ha annunciato che il governo è al lavoro per introdurre limiti di reddito per la fruizione del bonus cultura.

La lettera della Bce sul tetto al contante

«La Banca centrale europea (Bce) dice al governo italiano, nel 2019: “Attenzione a continuare ad abbassare il denaro contante e a costringere così a pagare per forza con la moneta elettronica”» (min. 11:32)

Nel video, Meloni ha letto alcuni passaggi di una lettera inviata il 13 dicembre 2019 da Yves Mersch, all’epoca vicepresidente del Consiglio di Vigilanza della Bce, agli allora presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, e al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. In breve, la lettera conteneva sette rilievi critici alla decisione del secondo governo Conte, quello sostenuto da Movimento 5 stelle e Partito democratico, di abbassare a mille euro il tetto al contante nel 2022 (soglia poi spostata al 2023, che ora il governo Meloni vuole portare a 5 mila euro).

Nonostante le perplessità, la Bce riconosceva che porre un limite al contante è possibile per gli Stati membri dell’Ue, ribadendo la necessità di ponderare bene i limiti introdotti. La lettera della Bce, in ogni caso, non bocciava la misura del secondo governo Conte, né chiedeva all’esecutivo di ritirarla.

I costi dei pagamenti elettronici

«La moneta elettronica, a differenza del denaro contante, ha un problema di commissioni, essendo una moneta privata, e un servizio offerto» (min. 11:48)

Qui la presidente del Consiglio ha difeso il disegno di legge di Bilancio, che ha proposto (art. 69) di eliminare l’obbligo per i commercianti di accettare i pagamenti elettronici per qualsiasi importo, fissando l’obbligo solo per i pagamenti dai 60 euro in su (negli scorsi giorni Meloni ha anticipato che questa cifra potrebbe essere abbassata). Questa dichiarazione va divisa in due parti. 

Innanzitutto, è vero che quando si effettua un pagamento con le carte di credito o il bancomat, i commercianti sono tenuti a pagare delle commissioni sulla transazione, che variano in base alla banca o alla società di pagamenti che si sceglie come fornitrice del servizio. Ma anche l’uso del contante, a differenza di quanto lascia intendere Meloni, ha i suoi costi. «Per gli esercenti in generale, e soprattutto per alcune categorie merceologiche, l’uso massivo delle carte per i pagamenti di basso importo o degli altri strumenti elettronici – spiega uno studio del 2020 della Banca d’Italia – potrebbe rendere più conveniente l’attività di impresa e ridurre i rischi derivanti dalla gestione del contante». Lo stesso studio ha infatti sottolineato che «il contante può essere percepito quale mezzo di pagamento più economico da imprese ed esercenti se commisurato alla singola transazione (0,19 euro) tenuto anche conto che questi operatori non sostengono del tutto i costi direttamente imputabili al contante». «Tuttavia, se commisurato in percentuale del valore della transazione, il costo privato del contante (1,10 per cento) risulta il più elevato a causa dei maggiori oneri (variabili) legati alla sicurezza (es: furti, trasporto valori, assicurazioni)», hanno evidenziato i ricercatori della Banca d’Italia.

Il secondo punto della dichiarazione di Meloni riguarda la natura dei pagamenti con carte, che secondo la presidente del Consiglio usano una «moneta privata», ossia quella elettronica. «È vero che avere un saldo di conto corrente è un credito nei confronti della nostra banca e non un credito nei confronti della banca centrale. In questo senso la moneta bancaria, ossia il saldo di conto corrente, è una moneta privata, perché è emessa da un privato, che ha comunque superato una serie di regolamentazioni e autorizzazioni», ha spiegato a Pagella Politica Andrea Terzi, professore di Economia e finanza alla Franklin University di Lugano, in Svizzera. «Ma nel momento in cui io faccio un pagamento, quindi uso il saldo, e il pagamento va a buon fine, a quel punto il pagamento ricevuto ha valore di corso legale», allo stesso modo in cui lo hanno le banconote e le monete. Ricordiamo che il concetto di “corso legale” fa riferimento all’impossibilità di rifiutare una moneta per estinguere un debito, per esempio per l’acquisto di un bene o di un servizio.

L’errore (ripetuto) sui dati dell’evasione

«Quando nel 2010 c’era ancora un tetto al contante a 5 mila euro, è stato negli ultimi dieci anni l’anno in cui l’evasione fiscale è stata più bassa» (min. 13:04)

Qui Meloni ha ripetuto lo stesso errore già commesso durante il primo video della rubrica “Gli appunti di Giorgia”. A sostegno di questa tesi, la presidente del Consiglio aveva mostrato un grafico realizzato da Unimpresa secondo cui nel 2010, quando il tetto al contante era a 5 mila euro, l’evasione fiscale stimata in Italia aveva avuto un valore pari a circa 83 miliardi di euro, il dato più basso registrato fino al 2019. 

Il grafico in questione, così come la dichiarazione di Meloni, è però impreciso e fuorviante. Da un lato, il dato sull’evasione del 2010 è parziale, perché non tiene conto dell’evasione di alcune imposte e di quella dei contributi previdenziali, calcolati invece nelle stime degli anni seguenti. Dall’altro lato, ha poco senso valutare l’efficacia del tetto al contante nel contrasto dell’evasione comparando i valori annuali dell’evasione con quelli dei limiti all’uso del contante. 

Per valutare il contributo del tetto al contante, servono studi scientifici. Come hanno spiegato nelle audizioni sul disegno di legge di Bilancio per il 2023 la Banca d’Italia, la Corte dei Conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio, alcuni studi hanno mostrato che in Italia il tetto al contante può contribuire a ridurre il fenomeno dell’economia sommersa e dell’evasione.

Il tetto al contante nell’Ue

«L’Europa ha deciso di fissare il tetto ai pagamenti in contanti a 10 mila euro, il doppio di quanto è stato previsto dal governo italiano» (min. 13:33)

Qui Meloni è imprecisa e fuorviante, rilanciando una dichiarazione fatta di recente anche dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. Il 7 dicembre il Consiglio dell’Unione europea ha dato il suo parere positivo ad alcune proposte legislative della Commissione europea in materia di antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo. Tra le altre cose, il Consiglio dell’Ue si è detto d’accordo a introdurre nei 27 Stati membri un tetto all’uso del contante pari a 10 mila euro. A oggi, infatti, la maggior parte degli Stati membri ha un limite all’utilizzo del contante, ma altri Paesi, come Germania e Austria, ne sono sprovvisti. Questa misura non è però ancora entrata in vigore: ora il Consiglio è pronto ad avviare negoziati con il Parlamento europeo per concordare una versione definitiva dei testi.

Inoltre, l’annuncio del Consiglio dell’Ue non porterà i futuri 5 mila euro di tetto al contante italiani a 10 mila euro. Le norme in discussione in sede europea prevedono infatti che se uno Stato membro ha un limite al tetto al contante inferiore ai 10 mila euro, quel limite dovrà rimanere in vigore.

L’estensione della flat tax

«Si sostiene la tesi che estendendo la flat tax per le partite Iva fino a un fatturato di 85 mila euro, di fatto, faremmo pagare alle partite Iva molte meno di tasse di quante ne pagano i lavoratori dipendenti. Voglio dire che questo è falso» (min. 14:58)

Il disegno di legge di Bilancio contiene l’estensione del regime forfetario al 15 per cento (quello che la Lega chiama impropriamente “flat tax”) alle partite Iva con ricavi fino a 85 mila euro, alzando la soglia attuale fissata a 65 mila euro. Per difendere questo provvedimento, nel video Meloni ha ripreso le argomentazioni utilizzate da Eutekne, un’organizzazione che si occupa di fare informazione e formazione per i commercialisti, secondo cui i lavoratori dipendenti hanno alcuni vantaggi dal punto di vista fiscale rispetto ai lavoratori autonomi. Per esempio, è vero che i dipendenti possono godere del trattamento di fine rapporto e gli autonomi no, e che hanno i periodi di ferie e di malattia retribuiti, a differenza degli autonomi.

Almeno tre organismi indipendenti, durante le audizioni in Parlamento sul disegno di legge di Bilancio, hanno sollevato critiche verso il provvedimento proposto dal governo. Stiamo parlando della Banca d’Italia, della Corte dei Conti e dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Secondo la Banca d’Italia, per esempio, l’ampliamento del regime forfetario «restringe ulteriormente l’ambito di applicazione della progressività nel nostro sistema di imposizione personale sui redditi, che come noto è garantita dall’Irpef», ossia l’imposta sui redditi delle persone fisiche. Il principio della progressività, sancito dalla Costituzione, stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Il rischio, evidenziato dalla Banca d’Italia, è che i lavoratori dipendenti e gli autonomi, «con la stessa capacità contributiva», siano trattati «in modo ingiustificatamente dissimile». Non solo: l’estensione del regime forfetario potrebbe addirittura «incentivare l’evasione», non dichiarando i ricavi che superano la soglia oltre la quale non varrebbe più l’aliquota unica al 15 per cento.

«Dal punto di vista della struttura del prelievo sui redditi, si indebolisce così ulteriormente il ruolo dell’Irpef e se ne accentua la specialità sui redditi di lavoro dipendente e di pensione», ha dichiarato in merito la Corte dei Conti.

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