Cosa c’è di vero, e cosa no, nel dibattito sulle spese militari

Dagli impegni con la Nato agli aumenti dei governi Conte, ecco cinque risposte alle domande che circolano di più in questi giorni
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Nel pomeriggio del 29 marzo il presidente del Consiglio Mario Draghi ha incontrato il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte per cercare un punto d’incontro sull’opposizione di Conte all’aumento delle spese militari italiane, sostenuto invece dalla maggioranza dei partiti che supportano il governo. Dopo l’incontro, Draghi si è recato al Quirinale, per riferire della situazione al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il rischio è che su questo tema possa aprirsi una crisi di governo, eventualità però esclusa nella serata del 29 marzo dallo stesso Conte, ospite a DiMartedì su La7.

Nelle ultime settimane ci siamo occupati in diversi fact-checking e approfondimenti del dibattito sull’aumento delle spese militari, su cui circolano molti numeri e affermazioni di politici di tutto lo schieramento parlamentare. Qui abbiamo risposto brevemente a cinque domande, rimandando per maggiori approfondimenti alla lettura dei nostri articoli.

È vero che l’aumento delle spese militari “ce lo chiede la Nato”?

La risposta è sì, anche se stiamo parlando di un impegno politico, non vincolante, preso anni fa dai membri dell’alleanza militare. 

Nel 2006, per la prima volta nella Nato si è parlato della necessità che i vari Paesi membri portassero al 2 per cento del Pil le loro spese militari, obiettivo poi formalmente confermato nel 2014, quando il presidente del Consiglio era Matteo Renzi. In quell’anno si era concordato che l’aumento delle spese militari dovesse essere fatto nei successivi dieci anni, dunque entro il 2024. 

Secondo i dati più aggiornati, attualmente l’Italia spende in difesa poco più dell’1,4 per cento del Pil, ossia oltre 25 miliardi di euro l’anno.

È vero che Conte ha sempre confermato gli impegni con la Nato?

La risposta è sì, e più precisamente nel 2018 e nel 2019. In due incontri della Nato, l’allora presidente del Consiglio – nominato poi ad agosto 2021 leader del M5s – aveva confermato l’impegno italiano a portare le spese militari al 2 per cento del Pil. 

Lo stesso Conte, ospite a DiMartedì su La7 il 29 marzo, ha ribadito (min. 1:50) di non aver mai messo in discussione gli impegni con la Nato, quando era a capo del governo italiano. Secondo il leader del M5s, però, la crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19 avrebbe messo in discussione gli impegni presi con la Nato, precedenti al 2020.

Secondo i suoi critici, invece, questionare l’aumento delle spese militari rischia di minare la credibilità internazionale dell’Italia nei confronti proprio della Nato. 

In ogni caso, in base ai dati più recenti, circa un terzo dei Paesi dell’alleanza militare avrebbe raggiunto lo scorso anno la soglia del 2 per cento. Per l’Italia, un obiettivo di questo tipo, significherebbe aggiungere circa 13 miliardi di euro rispetto a quanto speso attualmente.

È vero che Conte ha aumentato le spese militari?

La risposta è sì. Conte è diventato presidente del Consiglio una prima volta a giugno 2018 e una seconda volta a settembre 2019, venendo poi sostituito a febbraio 2021 da Draghi. Tra il 2018 e il 2021 le spese militari in Italia sono aumentate, con una crescita annua in valori assoluti non di molto superiore rispetto a quella registrata dal 2015 in poi. 

È vero che l’Ue spende in difesa tre volte quanto spende la Russia?

La risposta è nì: dipende da quale indicatore si prende in considerazione. Se mettiamo insieme la spesa militare di tutti e 27 i Paesi dell’Unione europea, otteniamo una cifra pari a quasi 233 miliardi di dollari, una cifra oltre tre volte superiore ai 62 miliardi di dollari spesi dalla Russia.

Se guardiamo al Pil, però, tutta l’Ue spende in difesa circa l’1,6 per cento del proprio Pil, mentre la Russia il 4,3 per cento.

È vero che con l’aumento delle spese militari si potrebbero assumere centinaia di migliaia di medici, insegnanti e infermieri?

A livello teorico, la risposta è sì, anche se si tratta di conti molto spannometrici. Secondo il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, con i 13 miliardi di euro di spese militari in più l’Italia potrebbe assumere «200 mila insegnanti (quelli che mancano), 100 mila infermieri (quelli che mancano) e 15 mila medici (quelli che mancano)».

A grandi linee, questi calcoli stanno in piedi, anche se sulle carenze delle varie professioni citate ci sono diverse stime in circolazione.

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