Tutti vogliono cambiare la legge elettorale

In Italia si parla spesso della possibilità di modificare il meccanismo con cui i voti degli elettori assegnano i seggi in Parlamento. Dalla legge elettorale però dipende tutto il modo di intendere la politica e i partiti
Ansa
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Quasi come fosse un appuntamento fisso, nel nostro Paese ogni legislatura ha il suo momento in cui si torna a parlare della possibilità di cambiare la legge elettorale, ossia del sistema di regole con cui vengono assegnati i seggi in Parlamento in base ai voti degli elettori. Da qualche giorno infatti i partiti che sostengono il governo Meloni hanno iniziato a discutere delle eventuali modifiche da apportare all’attuale sistema con cui si è votato nel 2018 e nel 2022. 

In Italia la legge elettorale attualmente in vigore è il cosiddetto Rosatellum, dal nome di Ettore Rosato (oggi vicesegretario di Azione), uno dei principali sostenitori del testo quando è stato approvato. È un sistema elettorale misto fatto al 63 per cento da un sistema proporzionale senza preferenze e al 37 per cento da un sistema uninominale. Il Rosatellum però è una legge elettorale con diversi problemi e dai risultati imprevedibili, che in questi anni è stata criticata da più parti politiche. 

Ma quali altri sistemi elettorali si potrebbero adottare?

Il sistema proporzionale

Il sistema proporzionale è il più semplice di tutti ed è quello che l’Italia ha avuto in vigore tra il 1946 e il 1993, quando poi fu sostituito dal Mattarellum, un sistema misto tra proporzionale e maggioritario che prendeva il nome dal suo relatore, l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’idea alla base del proporzionale è che il numero di seggi in Parlamento è uguale al numero di voti presi alle elezioni. 

È un sistema che garantisce un’elevata rappresentatività perché anche i partiti minori riescono a entrare in Parlamento, ma allo stesso tempo favorisce la frammentazione parlamentare. Per questo motivo anche gli Stati che lo adottano introducono delle soglie di sbarramento per impedire che i partiti più piccoli possano entrare in Parlamento. L’Italia, ad esempio, ha una soglia del 4 per cento alle elezioni europee che hanno fatto in modo che l’anno scorso dieci partiti non siano entrati al Parlamento europeo e che il 12 per cento dei voti sia andato perso.

Allo stesso tempo, dividere il territorio nazionale in molti collegi plurinominali aiuta i partiti più grandi, mentre stabilire pochi collegi elettorali, di maggiori dimensioni, favorisce le liste più piccole. Se ad esempio la Lombardia e il Piemonte fossero insieme in un unico collegio plurinominale che dà 15 seggi, un partito al 7 per cento otterrebbe un seggio (il 7 per cento di 15 darebbe 1,05 seggi). Ma se invece fossero in due collegi diversi, con la Lombardia che assegna 10 seggi e il Piemonte 5, lo stesso partito al 7 per cento in entrambe le regioni non otterrebbe nessun seggio in quanto non arriverebbe alla cifra piena: il 7 per cento gli darebbe 0,7 seggi in Lombardia e 0,35 seggi in Piemonte, ma avrebbe bisogno di arrivare rispettivamente al 10 e al 20 per cento per un seggio nelle due regioni. Questo è solo un caso particolare e che non tiene conto dei risultati delle altre liste candidate, che potrebbero modificare l’assegnazione dei seggi: è chiaro però che in un sistema proporzionale la rappresentatività è molto influenzata dal modo in cui vengono scelti i collegi elettorali.

Il sistema uninominale

Al contrario, nel sistema uninominale il numero dei collegi è fisso, perché dipende dal numero di parlamentari che devono essere eletti. Nell’uninominale infatti si divide il territorio nazionale in base al numero di parlamentari e ogni collegio elegge un solo rappresentante, cioè il candidato che ottiene il maggior numero di voti, anche senza raggiungere la maggioranza assoluta.

Il sistema uninominale storicamente tende a fornire maggioranze stabili ai governi garantendo la maggioranza al partito che vince le elezioni. Ma va considerato che non c’è certezza che questo avvenga e che molto dipende da come è distribuito il consenso a livello territoriale e alla distanza tra i partiti. Ad esempio, se ci fossero solo due partiti con percentuali di voto intorno al 50 per cento a livello nazionale e uno dei due avesse un voto in più in ogni collegio, questo partito avrebbe il 100 per cento dei seggi mentre l’altro, comunque sostenuto da circa la metà degli elettori, non avrebbe nessun seggio. Allo stesso tempo però, se ci fosse un partito molto radicato in una determinata area, anche con pochi voti a livello nazionale potrebbe avere un alto numero di seggi.

Questo sistema è usato nel Regno Unito e tradizionalmente nei Paesi anglosassoni, dove viene chiamato first-past-the-post, ma ci sono altri Paesi che ne usano delle varianti come la Francia. Alle elezioni legislative francesi si usa un sistema uninominale a doppio turno che può dare forti maggioranze o produrre situazioni di ingovernabilità come alle ultime elezioni. Nel Regno Unito invece ha garantito al Partito Laburista il 63 per cento dei seggi con solo il 34 per cento dei voti. 

Tra i vantaggi del sistema uninominale c’è il forte legame che si instaura tra l’elettore e il rappresentante eletto. Visto che ogni voto serve a eleggere un preciso parlamentare, quel politico è percepito come il rappresentante specifico di quel territorio, aumentando la sua responsabilità verso gli elettori del collegio, che valuteranno se rieleggerlo o meno alla fine del mandato. Questo fa sì anche che il parlamentare possa essere più indipendente dal proprio partito, perché non è solo lo schieramento a essersi guadagnato i voti, ma il candidato in prima persona. Lo svantaggio più grande è ovviamente la scarsa proporzionalità e il rischio di avere risultati elettorali molto distorsivi rispetto alla situazione politica del Paese. 

I sistemi misti proporzionale-maggioritario

Oltre all’Italia, ci sono Paesi che hanno adottato dei sistemi misti con varie peculiarità. Ad esempio, in Germania gli elettori hanno a disposizione due voti: con il primo eleggono direttamente il proprio rappresentante nel collegio uninominale, mentre con il secondo votano per una lista in modo proporzionale. La composizione finale del Bundestag, il Parlamento tedesco, viene determinata dalla percentuale ottenuta dai partiti con il secondo voto (quello proporzionale). I seggi vinti nei collegi uninominali vengono poi integrati con quelli delle liste proporzionali per garantire che ogni partito abbia una rappresentanza complessiva corrispondente alla sua quota di voti. In questo modo c’è un sistema proporzionale con soglia di sbarramento, ma anche il collegamento tra elettore ed eletto.

In Giappone invece il 60 per cento dei seggi è assegnato con un sistema uninominale e il 40 per cento a livello proporzionale in undici grandi circoscrizioni plurinominali. Si tratta di un sistema che in parte assomiglia al Mattarellum che è stato in vigore in Italia tra il 1993 e il 2005. Altri sistemi misti sono presenti in Paesi come Nuova Zelanda, Corea del Sud e Messico.

Il ranked choice voting, la via di mezzo?

Il Ranked Choice Voting (RCV), o sistema di voto alternativo, è un tentativo di superare alcune criticità del first-past-the-post, cioè il sistema uninominale secco o maggioritario secco, cercando di migliorare la rappresentatività senza rinunciare completamente ai vantaggi del sistema uninominale. Esistono diverse implementazioni del RCV, ma le due principali sono il “voto alternativo istantaneo” (Instant Runoff Voting) e il “voto singolo trasferibile” (Single Transferable Vote).

Con il voto alternativo istantaneo gli elettori classificano i candidati in ordine di preferenza (primo, secondo, terzo, ecc.). Poi si contano i voti di prima preferenza. Se un candidato ottiene la maggioranza assoluta, è eletto. Altrimenti, si elimina il candidato con meno voti di prima preferenza, e i voti espressi per lui vengono ridistribuiti agli altri candidati, in base alla seconda preferenza indicata dagli elettori. Questo processo continua fino a quando un candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti rimanenti.

Il voto singolo trasferibile invece è organizzato in modo da avere circoscrizioni con più candidati eletti e prevede che gli elettori classifichino i candidati. Quando un candidato raggiunge la quota necessaria per essere eletto, i voti in eccesso vengono distribuiti agli altri candidati secondo le preferenze successive espresse dagli elettori. Il processo continua fino a quando tutti i seggi della circoscrizione sono stati assegnati, creando di fatto una forma di rappresentanza proporzionale che mantiene un forte legame tra eletti e territorio. Questo sistema si usa ad esempio in Irlanda per l’elezione del Parlamento.

È un sistema decisamente più macchinoso e complesso da capire rispetto a un semplice proporzionale o uninominale, ma è un sistema che mira a garantire che il vincitore abbia il sostegno della maggioranza degli elettori, anche se non al primo conteggio. Il vincitore deve ottenere il consenso della maggioranza, anche attraverso le preferenze successive espresse dagli elettori. Inoltre, evita che alcuni voti vadano sprecati perché anche se il candidato espresso da un elettore con la prima preferenza non vince, il voto viene comunque usato per contare le seconde preferenze e via così. Questo sistema incentiva anche ad avere campagne meno polarizzanti in quanto l’obiettivo di ogni candidato diventa sia di convincere i suoi sostenitori sia di non inimicarsi gli altri in modo che possano indicarlo come seconda o terza preferenza. Per funzionare però è richiesta una preparazione maggiore da parte degli elettori, che devono stilare una lista dei candidati in base al loro orientamento politico.

Il Ranked Choice Voting nella versione del voto alternativo istantaneo viene usato dal 1918 in Australia per l’elezione della Camera dei Rappresentanti e in questi decenni ha assicurato una certa stabilità politica e una riduzione significativa dei “voti sprecati”, con oltre l’80 per cento delle preferenze che contribuiscono effettivamente all’elezione di un candidato. Negli Stati Uniti, il RCV ha guadagnato popolarità negli ultimi anni. In Maine è stato adottato nel 2018 e ha portato a un aumento dell’affluenza e una riduzione delle campagne negative, la stessa cosa si è vista anche in Alaska.
Esempio di come funziona una scheda con il RCV -  Fonte: Alaska division of elections.
Esempio di come funziona una scheda con il RCV - Fonte: Alaska division of elections.

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