I record del governo sul coronavirus… che non lo erano

Ansa
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Una strategia spesso usata dalla maggioranza e dal governo per difendere la loro gestione dell’emergenza coronavirus è stata quella di confrontare l’Italia con gli altri Stati europei e del mondo, rivendicando successi e primati del nostro Paese.

Dai dati economici a quelli sui tamponi, negli ultimi mesi Pagella Politica ha evidenziato però molte dichiarazioni sbagliate o fuorvianti, in cui chi governa il Paese ha cercato di mettere l’Italia al primo posto in diverse speciali classifiche, senza però il supporto dei fatti.

Conte e gli errori sui successi economici

Partiamo dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte che, durante le sue conferenze stampa, ha spesso paragonato misure e risultati del nostro Paese con quelli degli altri grandi Stati europei.

Per esempio, lo scorso 18 ottobre – presentando un nuovo Dpcm – Conte ha detto che nel terzo trimestre del 2020 la ripresa economica dell’Italia, rispetto ai tre mesi precedenti, sarà migliore di quella di Francia, Spagna e Germania.

Le prime stime ufficiali e più precise sull’andamento del Pil tra luglio e settembre 2020 usciranno solo ai primi di novembre ma, come abbiamo spiegato nel nostro fact-checking del discorso di Conte, ad oggi è probabile che Francia e Spagna possano fare meglio di noi. La crescita in Germania sarà più bassa degli altri in quel trimestre, anche perché la sua economia è stata meno colpita dall’emergenza sanitaria nel precedente.

Già a inizio agosto il presidente del Consiglio aveva commesso un errore simile, dicendo all’epoca che «per alcuni aspetti» la ripresa dell’economia italiana era «migliore» di quella di Germania, Francia e Spagna. Avevamo verificato che cosa dicevano tre tra i principali indicatori economici – su Pil, produzione industriale e mercato del lavoro – ed era emerso che Conte esagerava.

Infine, un’altra imprecisione commessa dal presidente del Consiglio nel confronto internazionale era arrivata a giugno, a margine degli Stati generali organizzati a Villa Pamphily a Roma. In quell’occasione Conte aveva dichiarato che «a differenza di altri governi» l’Italia non consentiva i licenziamenti, mentre in altri Paesi c’era «già tantissima disoccupazione».

La dichiarazione del presidente del Consiglio – che si era meritato un “Nì” – era però imprecisa e fuorviante. Durante la prima fase più critica dell’emergenza diversi Paesi avevano infatti introdotto misure per estendere la cassa integrazione e contrastare l’aumento dei licenziamenti (solo Italia e Spagna avevano però introdotto una forma di blocco dei licenziamenti), mentre non era vero che nel nostro Paese non ci fossero state ricadute negative sul mercato del lavoro.

Il minor aumento della disoccupazione in Italia era infatti dovuto soprattutto al forte aumento degli inattivi, ossia delle persone senza occupazione, che non cercavano un posto di lavoro.

Il non-record sui tamponi

Un altro tema di vanto dei nostri governanti – a torto – sono stati i tamponi molecolari, fondamentali nella gestione e nel controllo dell’epidemia.

A metà maggio – durante la fine della prima ondata – il ministro degli Affari regionali e per le Autonomie Francesco Boccia (Pd) aveva sostenuto che l’Italia fosse il Paese al mondo che aveva fatto più tamponi di tutti. Questo primato italiano non era però supportato dai fatti e alla dichiarazione di Boccia avevamo dato il verdetto di “Pinocchio andante”.

In base ai dati di quel periodo, infatti, il nostro Paese era quarto per numero assoluto di tamponi fatti, dietro a Stati Uniti, Russia e Germania. Ma l’Italia non entrava nemmeno nelle prime venti posizioni, superata anche da Paesi europei come Spagna, Portogallo, Belgio e Danimarca, se si guardava invece al rapporto tra tamponi fatti e popolazione.

Pochi giorni dopo la dichiarazione di Boccia, anche il presidente del Consiglio Conte aveva commesso un errore simile, durante un’informativa alla Camera dei deputati. Anche secondo Conte, il nostro Paese era «al primo posto per numero di tamponi per abitanti», una cosa però, come abbiamo visto, del tutto falsa.

Ad oggi è vero che l’Italia ha notevolmente aumentato la propria capacità di testing rispetto a quella di mesi fa, ma secondo i dati raccolti da Our World in Data Paesi come Francia e Regno Unito – solo per citarne due – stanno facendo più test di noi (Grafico 1).
Grafico 1. Tamponi ogni mille abitanti in Europa – Fonte: Our World in Data
Grafico 1. Tamponi ogni mille abitanti in Europa – Fonte: Our World in Data

Il primato rivendicato dalla ministra De Micheli

Di recente la strategia retorica di confrontare l’Italia con il resto del mondo è stata utilizzata anche dalla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli (Pd), ospite a Otto e mezzo su La7 lo scorso 23 ottobre.

Secondo De Micheli, oltre all’Italia, in Europa e nel mondo non esisterebbe un altro Paese che «ad ognuna delle attività, dal parrucchiere al ristoratore, dal negozio di abbigliamento fino alla grande industria che produce motori, fino al trasporto pubblico locale, ha dato prescrizioni puntuali di comportamento alle persone, alle aziende e ai lavoratori».

Come abbiamo sottolineato nel nostro fact-checking su questa dichiarazione, verificare quali sono le regole nei quasi 200 Paesi del mondo sarebbe un compito pressoché impossibile. Per questo motivo, ci siamo concentrati sugli altri quattro grandi Paesi europei – Spagna, Francia, Regno Unito e Germania – che per popolazione, economia e andamento del contagio sono in condizioni simili alle nostre.

Con l’aiuto dei nostri colleghi fact-checker internazionali, abbiamo verificato che la ministra De Micheli esagera, e non di poco: tutti e quattro i Paesi, con le loro peculiarità, hanno introdotto prescrizioni specifiche per ogni attività economica.

Le critiche di Renzi

Infine, vediamo un esempio curioso, che riguarda l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e leader di Italia Viva, uno dei partiti che sostengono il governo Conte II.

Dall’inizio dell’epidemia Renzi non ha spesso risparmiato critiche al suo stesso governo, utilizzando – per così dire – all’inverso la strategia retorica del confronto internazionale (una tecnica usata in particolare dall’opposizione, per esempio dal segretario della Lega Matteo Salvini, a proposito delle mascherine a scuola, o dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, a proposito della prima proroga dello stato d’emergenza).

Verso fine aprile, in una delle sue newsletter personali, Renzi aveva scritto che mentre «i grandi Paesi europei si dividono tra chi riapre le scuole ad aprile e chi le riapre a maggio», il governo italiano non aveva ancora preso una posizione chiara in merito. All’epoca anche l’ex presidente del Consiglio si era meritato un “Pinocchio andante”.

In Spagna e nel Regno Unito, come in Italia, non esisteva infatti una data di riapertura delle scuole. In Francia era stata annunciata una riapertura non obbligatoria per l’11 maggio, ma per gradi e non per tutti gli studenti. In Germania invece – il grande Paese Ue in quel momento meno colpito per numero di vittime – alcune classi stavano già tornando sui banchi di scuola, mentre una riapertura progressiva era in programma per l’inizio di maggio.

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