Il 18 ottobre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto una conferenza stampa per presentare le misure di contrasto alla pandemia previste da un nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm).
Abbiamo sottoposto quattro affermazioni di Conte al nostro fact-checking. Ecco che cosa ne è emerso.
La crescita economica nel terzo trimestre
«Il terzo trimestre che si è appena concluso segnala una ripresa vigorosa, a beneficio del nostro Paese, migliore di quella francese, tedesca, spagnola»
La diffusione dei dati sull’andamento del Pil nel terzo trimestre a livello europeo è prevista con numeri provvisori per il 13 novembre e con numeri definitivi per l’8 dicembre. Ad oggi abbiamo a disposizione da un lato una generica previsione contenuta in un allegato dell’Istat alla Nota di aggiornamento del Def (Nadef), che sembra dare un qualche conforto alle parole di Conte, e dall’altro le stime di banche centrali e analisti, che invece dimostrano che Conte sbaglia. Partiamo dalla prima.
La previsione della Nadef
Nell’allegato alla Nadef curato dall’Istat si legge che «le previsioni per i prossimi mesi per l’area euro (…) evidenziano un deciso rimbalzo congiunturale del Pil nel terzo trimestre (+8,2%) cui seguirebbe una fase di crescita moderata (+2,2% e +1,5% rispettivamente nel quarto e nel primo del 2021). In questo quadro l’economia italiana ha mostrato delle peculiarità che potrebbero indicare una ripresa più incisiva rispetto ai principali paesi europei».
Questa previsione però non trova conforto, riguardo in particolare al terzo trimestre 2020, nelle stime diffuse dalle banche centrali dei principali Paesi, con l’eccezione della Germania.
Le previsioni delle banche centrali e analisti
Il rimbalzo del Pil italiano nel terzo trimestre 2020 previsto dalla Banca d’Italia, come vedremo, è migliore di quello tedesco, peggiore di quello francese e peggiore anche di quello spagnolo.
Bisogna però anche considerare le diverse situazioni “di partenza” di questi Stati. Nel secondo trimestre del 2020 – quello in cui la prima ondata dell’epidemia di Covid-19 ha fatto sentire maggiormente le sue conseguenze negative sull’economia, a causa dei diffusi lockdown – il Pil tedesco era quello calato meno (-11,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019) tra i grandi Paesi europei, mentre quello di Francia (-18,9 per cento) e Spagna (-22,1 per cento) era calato di più di quello italiano (-17,7 per cento). Quindi gli “effetti rimbalzo” prevedibili nei vari Paesi sono in partenza già diversi.
Andiamo comunque a vedere i dati contenuti nelle varie previsioni relative al terzo quarto del 2020.
Italia
Nel bollettino della Banca d’Italia n.4, di ottobre 2020, si legge che «in Italia nel terzo trimestre il ritorno alla crescita è stato verosimilmente più sostenuto di quanto prefigurato in luglio».
In particolare, prosegue il bollettino di Palazzo Koch, «secondo nostre valutazioni, anche grazie alle misure di stimolo, l’incremento del prodotto potrebbe essere stato intorno al 12 per cento».
Questa cifra, del 12 per cento, sembra inoltre coerente con la previsione della Nadef, secondo cui il dato del terzo trimestre sarà migliore di quanto non avesse previsto la precedente stima contenuta nel Def (+9,6 per cento).
Francia
Secondo quanto si legge sul sito della Banque de France, il rimbalzo del Pil atteso per il terzo trimestre del 2020 è stimato intorno al 16 per cento. Un dato dunque significativamente superiore a quello italiano.
Spagna
Secondo le proiezioni macroeconomiche del Banco de España, realizzate a metà settembre, nel terzo trimestre il Pil spagnolo potrebbe crescere tra il 13 per cento, nel caso vengano attuate misure di contenimento dell’epidemia particolarmente severe, e il 16,6 per cento in uno scenario meno drammatico.
In entrambi i casi il dato è superiore a quello previsto per l’Italia da Bankitalia.
Germania
Per quanto riguarda la Germania non abbiamo trovato previsioni dettagliate da parte della banca centrale tedesca. Sul sito del Ministero dell’Economia si legge solo che grazie alla ripresa nei settori dei servizi e dell’industria «il terzo trimestre vedrà una potente risalita del Pil».
Delle stime sono però state fornite da alcuni osservatori economici. Ad esempio gli analisti dell’Icis (Independent Commodity Intelligence Services), riportano una stima di crescita del Pil tedesco nel terzo quarto del 2020 pari al 6,6 per cento. Un dato significativamente inferiore rispetto a quello previsto per l’Italia da Palazzo Koch.
L’aumento del personale sanitario
«Abbiamo aumentato il personale sanitario di 34 mila unità, abbiamo più che raddoppiato i posti in terapia intensiva e sub-intensiva»
Quando il presidente del Consiglio dice che il governo «ha aumentato il personale sanitario di 34mila unità» fa probabilmente riferimento alla legge di Bilancio per il 2021. Secondo quanto prescritto dall’articolo 81 della Costituzione, «le camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo». Le tempistiche devono rispettare le regole definite a livello europeo: l’esecutivo deve presentare entro il 20 ottobre la manovra alle camere, e queste devono deliberare sul testo definitivo entro il 31 dicembre. Il disegno di legge per il 2021,approvato dal Consiglio dei ministri il 18 ottobre, sta quindi per essere trasmesso e poi esaminato dalla Camera e dal Senato. L’articolato non è ancora stato pubblicato.
Nel comunicato stampa rilasciato in occasione dell’approvazione del Consiglio dei ministri vengono però elencati i punti principali del provvedimento. Per la sanità, leggiamo che «vengono stanziati circa 4 miliardi di euro» per diverse misure, fra le quali «la conferma anche per l’anno 2021 di 30.000 fra medici e infermieri assunti a tempo determinato per il periodo emergenziale». La cifra sarebbe di poco più bassa rispetto a quella citata da Conte, di 34 mila unità.
La questione delle terapie intensive è invece controversa. Come abbiamo spiegato di recente, il 16 luglio il Senato ha definitivamente convertito in legge il decreto “Rilancio” (n. 34 del 19 maggio 2020), con cui sono stati stanziati oltre 1,4 miliardi di euro per potenziare, tra le altre cose, i numeri dei posti letto in terapia intensiva (con un aumento di 3.500 posti rispetto alla dotazione pre-epidemia) e sub-intensiva (+4.225, di cui il 50 per cento convertibili in intensiva).
Se si sommano i 3.500 posti di intensiva in più con la metà dei 4.225 di sub-intensiva, convertibili in intensiva, e le circa 5.200 unità pre-epidemia, si ottiene un numero pari a circa 11 mila posti letto, una cifra pari al doppio del numero a disposizione prima di marzo scorso.
Questo aumento previsto però ad oggi non si è ancora verificato. Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, per quanto lo stanziamento sia stato fatto, infatti, al 9 ottobre i posti letto in terapia intensiva operativi – e quindi già pronti – erano quasi 6.500, in aumento di circa 1.300 unità rispetto al periodo pre-epidemia. Conte è dunque impreciso nel dare per acquisito un aumento che nei fatti ancora non si è verificato.
Il 19 ottobre, in una lettera al quotidiano Domani, il commissario straordinario all’emergenza Covid Domenico Arcuri ha poi garantito che «i posti letto nelle terapie intensive, non appena le Regioni attiveranno gli altri 1.660 ventilatori da tempo ricevuti dalla mia Struttura, saranno 8.288, ovvero il 95 per cento degli 8.679 previsti dal piano di implementazione degli ospedali Covid». L’affermazione , lo specifichiamo, è riferita esclusivamente ai posti in terapia intensiva, 3.500 previsti dal decreto “Rilancio” e 5.200 già operativi prima della pandemia (non, quindi, anche ai posti in sub-intensiva convertibili). Il numero in ogni caso potrà essere verificato in concreto nei prossimi giorni, quando e se i posti in terapia intensiva citata da Arcuri saranno davvero disponibili negli ospedali.
Mascherine a scuola
«Siamo tra i pochi Paesi al mondo a distribuire gratuitamente ogni santo giorno una mascherina chirurgica per ogni studente»
Non abbiamo avuto modo di verificare la situazione in tutti i circa 200 Paesi del mondo ma, come avevamo controllato in passato, possiamo ritenere la dichiarazione di Conte sulle mascherine nelle scuole sostanzialmente vera in relazione all’Europa. Grazie all’aiuto dei nostri colleghi fact-checker europei abbiamo infatti verificato che solo in Italia e in Grecia le mascherine vengono quotidianamente distribuite nelle scuole e fornite dallo Stato centrale.
In Spagna e Francia la distribuzione gratuita non c’è, ma nel primo caso il governo ha cercato di aiutare chi vive in difficoltà economiche, esempio seguito anche da alcuni dipartimenti francesi.
Germania e Regno Unito sono poi i due grandi Paesi europei dove, finora, gli obblighi sull’uso delle mascherine a scuola sono stati meno severi. Nel primo caso, le disposizioni sulla distribuzione dei dispositivi possono variare da Stato federale a Stato federale (Länder), ma la tendenza generale è che studenti e insegnanti debbano procurarsi mascherine e gel da soli; nel Regno Unito vale un discorso simile, anche se le linee guida del governo impongono alle scuole di dotare di mascherine chi abbia difficoltà a procurarsele.
In definitiva, l’Italia non è l’unico Paese in Europa a distribuire le mascherine nelle scuole, ma è senza dubbio uno dei pochi che lo fa gratuitamente per tutti e cercando di garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale che gli studenti abbiano accesso ai materiali necessari per contrastare la diffusione del virus.
Gli aiuti del Mes
«I soldi del Mes sono dei prestiti, non possono finanziare spese aggiuntive. Si possono coprire spese già fatte, in cambio di un risparmio di interessi. Questo vuol dire che i soldi se li dobbiamo restituire vanno a incrementare il debito pubblico. Quindi dovrò intervenire, se prendiamo i soldi del Mes, con nuove tasse o tagli di spesa. Perché il deficit, il debito pubblico, lo dobbiamo tenere sotto controllo. […] Anche il vantaggio in termini di interessi diventa adesso molto contenuto»
Qui il presidente del Consiglio Conte, parlando del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), ha mischiato informazioni corrette a informazioni ambigue o imprecise. Nel dibattito pubblico si fa genericamente riferimento al termine Mes, ma nel caso dei fondi da destinare alla sanità si parla di uno strumento specifico, il Pandemic Crisis Support. Vediamo la differenza e come possono essere utilizzati.
Il Mes, come abbiamo scritto in passato, è nato ufficialmente nel 2012 – sulla scorta di alcuni precedenti – per rispondere alla crisi dei debiti sovrani che aveva colpito diversi Stati europei.
Il Mes può contare su una serie di strumenti tramite cui presta denaro agli Stati che ne fanno richiesta. La novità è un singolo nuovo strumento che è stato introdotto a seguito dell’epidemia di nuovo coronavirus: il Pandemic crisis support.
Come funziona questo nuovo strumento? Fino alla fine del 2022, gli Stati membri del Mes – che sono quelli membri dell’area euro –potranno chiedere un prestito fino al 2 per cento del loro Pil del 2019 da utilizzare in spese sanitarie dirette e indirette legate all’emergenza coronavirus, che saranno monitorate dalla Commissione Ue. Per l’Italia stiamo parlando di una cifra massima tra i 35 e i 36 miliardi di euro.
Ad oggi il vincolo della spesa a misure legate alla sanità è di fatto l’unica condizioneper accedere al Pandemic Crisis Support, anche se, come abbiamo spiegato in passato, non sono ancora stati adottati atti giuridicamente vincolanti per eliminare del tutto la possibilità che al prestito del Mes poi seguano delle condizioni, come ad esempio la richiesta di fare riforme specifiche.
Non è chiaro che cosa intenda il presidente Conte con l’espressione «spese aggiuntive». Ciò che è certo è che, nella bozza di piano con cui i Paesi possono chiedere il prestito, non c’è alcun riferimento all’obbligo che la linea di credito debba coprire solo «spese già fatte», quindi già messe a bilancio prima dell’attivazione della linea di credito.
Nel testo si specifica solo che i prestiti debbano riguardare i costi di «cura e prevenzione finalizzati a permettere al sistema sanitario di rispondere con efficacia alla pandemia da Covid-19». Il documento parla poi di spese sanitarie «dirette e indirette» relative al 2020 e 2021.
Il presidente Conte dice invece un’ovvietà quando afferma che «i soldi, se li dobbiamo restituire, vanno a incrementare il debito pubblico». Trattandosi di un prestito, non c’è dubbio che vada restituito. Ma questo non vale solo per il Mes ma per ogni forma di prestito preso per finanziare la spesa pubblica in deficit, inclusa ad esempio l’emissione di titoli del debito pubblico italiano.
Come spiega l’Osservatorio conti pubblici dell’Università Cattolica, se le entrate (principalmente le imposte) sono inferiori alle uscite (il pagamento degli stipendi della pubblica amministrazione, delle pensioni, ecc…), lo Stato ha un deficit da finanziare. Come? «Lo Stato può chiedere prestiti a enti terzi (investitori, risparmiatori, fondi pensione, banche) e dunque indebitarsi», riassume l’Osservatorio conti pubblici. Questo avviene per lo più collocando titoli di Stato sul mercato: anche questo è infatti un prestito, gli investitori decidono di prestare le proprie risorse per un determinato periodo di tempo e lo Stato dovrà poi restituire il capitale inizialmente prestato con gli interessi.
La frase del presidente del Consiglio «dovrò intervenire, se prendiamo i soldi del Mes, con nuove tasse o tagli di spesa» è applicabile più in generale a ogni aumento del deficit. Per contenere la differenza fra entrate e uscite un governo può infatti mettere in atto varie politiche, fra cui interventi sulla tassazione o riduzione della spesa pubblica.
Di fronte all’emergenza sanitaria – va però specificato – il governo ha già aumentato di 100 miliardi l’indebitamento nell’anno in corso: 20 miliardi di deficit aggiuntivo per il decreto “Cura Italia”, 55 per il decreto “Rilancio” e da ultimo altri 25 per il decreto “Agosto”.
In risposta alla pandemia, difficilmente si può dire che la priorità del governo sia stata quella di «tenere sotto controllo il debito pubblico». La valutazione è quindi da incentrare sul «vantaggio in termini di interesse», secondo il presidente Conte ormai «molto contenuto».
Come abbiamo già spiegato in passato, è vero che i prestiti del Pandemic crisis support del Mes, in termini di tassi di interesse, sono molto vantaggiosi, specialmente per i Paesi che spendono di più per finanziarsi sui mercati vendendo i loro titoli di Stato. Secondo i calcoli pubblicati dallo stesso Mes a fine luglio scorso, un Paese che chiede di accedere al Pandemic Crisis Support affronterebbe un costo negativo, del -0,26 per cento per un prestito a 7 anni, e del -0,12 per cento per un prestito a 10 anni. In pratica, un Paese riceverebbe dal Mes più soldi di quelli che dovrebbe restituirgli.
Negli ultimi mesi però la vantaggiosità del Mes è cambiata, dal momento che gli interessi dei titoli di Stato italiani sono molto calati, tra le altre cose anche per effetto delle misure messe in campo dalla Banca centrale europea (Bce) e sull’arrivo – ad oggi ancora in alto mare – del Next generation Eu, un fondo europeo da 750 miliardi per la ripresa.
A giugno, quando i titoli di Stato italiani a 10 anni avevano tassi di interesse intorno all’1,7 per cento, il governo stimava un risparmio sul costo del debito con l’accesso al Mes di circa 500 milioni di euro l’anno. Nelle ultime settimane, i tassi di interesse sui Btp a 10 anni italiani sono scesi intorno allo 0,8 per cento, segno che il risparmio ottenibile dal Mes si sarebbe di fatto più che dimezzato.
Diversi analisti però contestano un confronto così spannometrico, dal momento che le condizioni legate ai prestiti del Mes sono ben diverse rispetto a quelle legate all’emissione di titoli di Stato.
Il presidente Giuseppe Conte ha comunque ragione a dire che al momento il Pandemic crisis support del Mes offre, «in termini di interessi» un vantaggio «contenuto», anche se rimangono dubbi sulle possibili reazioni negative dei mercati.
In conclusione
Il 18 ottobre, in conferenza stampa, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha illustrato una serie di nuove misure previste per contenere la gestione dell’emergenza coronavirus.
Abbiamo verificato quattro dichiarazioni verificabili dette da Conte in quell’occasione.
La prima sulla ripresa economica italiana non è corretta. La diffusione dei dati sull’andamento del Pil nel terzo trimestre a livello europeo è prevista con numeri provvisori per il 13 novembre e con numeri definitivi per l’8 dicembre. Ad oggi abbiamo a disposizione solo delle stime e, in base a quelle più precise fornite dalle banche centrali, non è vero che il dato italiano sia migliore di quello francese e spagnolo.
Per quanto verificabile, Conte riporta, sulle assunzioni in ambito sanitario, una cifra vicina a quelle previste nella legge di Bilancio per il 2021. Il presidente del Consiglio parla di «34 mila unità», il comunicato di Palazzo Chigi sulla manovra appena approvata riferisce di «30 mila fra medici e infermieri assunti a tempo determinato per il periodo emergenziale». Si tratta in ogni caso di previsioni contenute in una legge ancora da approvare e dunque lontane dall’essere realizzate.
Sui numeri delle terapie intensive, il presidente del Consiglio cita correttamente l’aumento previsto dal decreto “Rilancio”, che ha raddoppiato il numero dei posti letti in terapia intensiva e sub-intensiva disponibili in Italia fino all’anno scorso, portandoli a quota 11 mila. L’allestimento di questi posti letto è però ancora in corso d’opera. Al 9 ottobre 2020 solo 6.500 risultavano regolarmente operativi.
Parlando del Mes, Conte ha invece mischiato informazioni corrette e informazioni imprecise. Le linee di credito del Pandemic Crisis Support – un nuovo strumento introdotto dal Meccanismo europeo di stabilità quest’anno – mettono a disposizione dell’Italia prestiti a tassi agevolati da utilizzare esclusivamente per le spese sanitarie. Al pari di altri prestiti presi per finanziare il deficit pubblico, questi soldi andranno restituiti. È vero, però, che al momento il vantaggio in termine di interessi offerto dal Mes si è ridotto negli ultimi mesi, visto il calo dei titoli di interesse sul debito pubblico italiano.
Da ultimo, in base alla nostra verifica sui maggiori Paesi europei, il presidente del Consiglio ha poi ragione quando dice che siamo fra i pochi Paesi a distribuire ogni giorno, nelle scuole, mascherine gratuite per gli studenti. Oltre all’Italia, ci risulta che solo in Grecia questi materiali vengono forniti dallo Stato centrale.
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