Il nuovo taglio dell’IRPEF è un “regalo ai più ricchi”?

Lo sostengono alcuni partiti all’opposizione, criticando la legge di Bilancio. Abbiamo verificato che cosa dicono i numeri 
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Il 6 novembre diversi esponenti dei partiti all’opposizione hanno criticato il governo Meloni e il nuovo taglio dell’IRPEF previsto dal disegno di legge di Bilancio per il 2026.

«I dati ISTAT in audizione sulla legge di Bilancio confermano ciò che denunciamo da settimane: il taglio dell’IRPEF del governo Meloni è un regalo ai più ricchi», ha dichiarato il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli. La stessa dichiarazione è stata fatta, tra gli altri, dal capogruppo del Partito Democratico al Senato Francesco Boccia.

Durante un’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha difeso la manovra, dicendo che l’obiettivo del governo è «tutelare i contribuenti con redditi medi». 

Ma come stanno davvero le cose? La nuova legge di Bilancio e il taglio dell’IRPEF avvantaggiano davvero i più ricchi? Facciamo un po’ di chiarezza: da un lato la misura favorisce soprattutto i redditi medi e medio-alti, dall’altro si inserisce in una politica fiscale che negli ultimi anni ha sostenuto anche i redditi medio-bassi.

Il taglio dell’IRPEF

Il disegno di legge di Bilancio per il 2026 – ora all’esame del Senato – propone di ridurre dal 35 al 33 per cento la seconda aliquota dell’IRPEF, ossia la principale imposta che i contribuenti pagano sui loro redditi. 

Attualmente ci sono tre aliquote IRPEF: per i redditi fino a 28 mila euro l’aliquota è del 23 per cento; per i redditi tra 28 mila e 50 mila euro è del 35 per cento; e per i redditi superiori a 50 mila euro è del 43 per cento. Attenzione però: se, per esempio, un contribuente ha un reddito di 40 mila euro, non significa che calcola il 35 per cento di IRPEF su tutto il reddito. Le aliquote si applicano solo alla parte del reddito che rientra in ciascun scaglione. Proprio per questo motivo, queste aliquote sono chiamate “aliquote marginali legali”: sono aliquote che si applicano solo alla parte di reddito che supera una determinata soglia, ossia al margine superiore di ciascuno scaglione. Riprendendo l’esempio di un reddito di 40 mila euro: si paga il 23 per cento di IRPEF sulla parte di reddito fino a 28 mila euro, e il 35 per cento sui restanti 12 mila euro.

Detta altrimenti, l’IRPEF funziona con aliquote progressive: significa che i redditi più bassi vengono tassati con percentuali minori e quelli più alti con percentuali maggiori. Ridurre un’aliquota vuol dire, in pratica, alleggerire un po’ la tassazione per chi si trova in quella fascia di reddito.

Nel dettaglio, il disegno di legge di Bilancio per il 2026 abbassa di due punti – dal 35 al 33 per cento – la seconda aliquota, generando un risparmio massimo di 440 euro all’anno per i contribuenti. Chi ha un reddito superiore ai 200 mila euro, però, non potrà beneficiare di questa riduzione, perché la legge prevede un meccanismo che “sterilizza” il vantaggio, cioè lo annulla attraverso una correzione sulle detrazioni fiscali. 

Per lo Stato, il taglio della seconda aliquota dell’IRPEF comporterà minori entrate – e quindi un costo – per circa 2,9 miliardi di euro nel 2026 e circa 3 miliardi di euro l’anno nel 2027 e nel 2028.

I calcoli dell’ISTAT

Il 6 novembre sono stati ascoltati in audizione sul disegno di legge di Bilancio l’ISTAT, che è l’istituto nazionale di statistica, e l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici. Entrambi hanno stimato quali saranno le conseguenze del taglio della seconda aliquota dell’IRPEF e chi ne beneficerà di più. E proprio dalle loro audizioni sono nate le dichiarazioni critiche dei partiti all’opposizione.

Partiamo dall’ISTAT. Secondo le stime presentate in audizione, il taglio della seconda aliquota dell’IRPEF riguarderebbe poco più di 14 milioni di contribuenti, con un beneficio medio annuo di circa 230 euro a testa. Le famiglie che ne trarrebbero vantaggio sarebbero circa 11 milioni, con un beneficio medio di circa 276 euro.

Non tutte le famiglie però riceverebbero lo stesso vantaggio. Per capire meglio chi guadagna di più e chi di meno dal taglio della seconda aliquota, l’ISTAT ha ordinato le famiglie italiane in base al loro “reddito disponibile equivalente”, cioè il reddito complessivo corretto per tenere conto del numero dei componenti e delle loro esigenze economiche. In questo modo si possono confrontare, per esempio, una famiglia con un solo percettore di reddito e una con due percettori, o nuclei con figli a carico e senza figli.

Una volta calcolato il reddito disponibile equivalente, l’ISTAT ha diviso le famiglie in cinque gruppi di uguale numerosità, detti “quinti” o “quintili”. Ogni quinto rappresenta il 20 per cento delle famiglie italiane, dal quinto più povero (il primo) al quinto più ricco (il quinto). L’obiettivo di questa suddivisione è capire come si distribuisce il beneficio fiscale lungo la scala dei redditi, cioè chi riceve la parte più grande del taglio dell’IRPEF.

Da questa analisi emerge che oltre l’85 per cento delle risorse complessive messe in campo con la misura finirebbe ai due quinti «più ricchi» della popolazione. In concreto, più del 90 per cento delle famiglie del quinto più ricco (cioè quelle con i redditi più alti) trarrebbe un vantaggio dal taglio dell’IRPEF, così come circa due terzi delle famiglie del penultimo quinto, quello appena sotto. Al contrario, la maggior parte delle famiglie con redditi medio-bassi resterebbe esclusa o riceverebbe benefici più limitati (Tabella 1).
Tabella 1. Gli effetti del taglio dell’IRPEF sulle famiglie beneficiarie, suddivise per quinti di reddito – Fonte: ISTAT
Tabella 1. Gli effetti del taglio dell’IRPEF sulle famiglie beneficiarie, suddivise per quinti di reddito – Fonte: ISTAT
Anche i guadagni medi variano sensibilmente: si passa da 102 euro all’anno per le famiglie del primo quinto (quelle più povere) a 411 euro per quelle dell’ultimo quinto (le più ricche). L’ISTAT ha sottolineato comunque che, in proporzione, il beneficio è contenuto per tutti i gruppi: anche per i redditi più alti, l’aumento del reddito familiare disponibile resterebbe inferiore all’1 per cento, e la variazione percentuale è simile tra i diversi quinti di reddito.

In audizione, anche Banca d’Italia è arrivata a una conclusione simile, scrivendo: La riduzione dell’aliquota dell’IRPEF per il secondo scaglione di reddito favorisce i nuclei dei due quinti più alti della distribuzione, ma con una variazione percentualmente modesta del reddito disponibile».
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Le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio

Un lavoro simile è stato fatto dall’UPB, che usa un modello di simulazione diverso dall’ISTAT. Secondo i calcoli dell’UPB, la riduzione di due punti della seconda aliquota dell’IRPEF riguarderà circa 13 milioni di contribuenti, con un minor gettito complessivo stimato in 2,7 miliardi di euro, una cifra leggermente inferiore a quella stimata dal governo. 

L’UPB ha spiegato che solo poco più del 30 per cento dei contribuenti italiani dichiara redditi superiori a 28 mila euro, cioè si trova nella fascia in cui inizia ad applicarsi la seconda aliquota. Questo significa che la misura non interessa la maggioranza dei contribuenti, ma si concentra sui redditi medio-alti. Inoltre, poiché il vantaggio fiscale cresce all’aumentare del reddito, circa la metà delle risorse destinate al taglio dell’IRPEF andrà all’8 per cento dei contribuenti più ricchi, quelli che guadagnano più di 48 mila euro l’anno.

L’UPB ha poi analizzato gli effetti della misura per categoria di reddito prevalente, cioè la tipologia di reddito principale percepita dal contribuente (per esempio da lavoro dipendente, autonomo o da pensione). In altre parole, ogni contribuente è stato classificato in base alla fonte da cui deriva la parte più consistente del proprio reddito (Grafico 1).
Grafico 1. Distribuzione dei benefici del taglio dell’IRPEF, suddivisi per categorie di contribuenti – Fonte: UPB
Grafico 1. Distribuzione dei benefici del taglio dell’IRPEF, suddivisi per categorie di contribuenti – Fonte: UPB
Quasi tutti i dirigenti (il 96 per cento) beneficeranno del taglio, seguiti dagli impiegati (il 53 per cento) e dai lavoratori autonomi (il 37 per cento). Tra i pensionati la quota scende al 27 per cento, mentre tra gli operai si ferma al 16 per cento.

Anche l’entità del vantaggio varia molto: i dirigenti sono i più avvantaggiati, con un beneficio medio annuo di 408 euro, vicino al massimo teorico di 440 euro previsto dalla riforma. Gli impiegati e i lavoratori autonomi ricevono in media poco più di 120 euro, i pensionati circa 55 euro e gli operai 23 euro.

Se si guarda a come il beneficio totale si distribuisce tra le categorie, gli impiegati ottengono la quota del beneficio sul totale più grande, pari al 39,7 per cento del totale, seguiti da pensionati (27,6 per cento), autonomi (13,4 per cento), operai (10,3 per cento) e dirigenti (5,5 per cento). Questa apparente discrepanza – dirigenti con il vantaggio medio più alto ma una quota complessiva più bassa – si spiega perché i dirigenti sono pochi rispetto ai lavoratori totali.

In proporzione al reddito, la riduzione dell’aliquota media – cioè la percentuale effettiva d’imposta pagata sull’intero reddito, calcolata tenendo conto di tutti gli scaglioni e delle detrazioni – è comunque limitata: varia tra lo 0,1 per cento per gli operai e lo 0,4 per cento per impiegati e autonomi, mentre per i dirigenti si ferma allo 0,3 per cento, perché il loro reddito complessivo è più elevato. 

In parole semplici, il taglio dell’aliquota riduce di poco la pressione fiscale per tutti, ma in misura crescente al crescere del reddito: chi guadagna di più ottiene un risparmio maggiore in valore assoluto, ma comunque modesto rispetto al proprio reddito complessivo.

L’UPB ha anche rilevato che il meccanismo pensato per compensare il vantaggio per i redditi oltre i 200 mila euro funzionerà solo in parte, e quindi una parte dei contribuenti oltre quella soglia beneficerà del taglio dell’IRPEF.

Tiriamo le somme

Ricapitolando: sia l’ISTAT sia l’Ufficio parlamentare di bilancio concordano sul fatto che il taglio della seconda aliquota dell’IRPEF favorisce soprattutto i contribuenti con redditi medio-alti. Ma i sostenitori della riforma, come Giorgetti, hanno almeno tre argomenti per dire che sia esagerato parlare di un «regalo ai più ricchi».

Il primo è che i redditi molto alti, sopra i 200 mila euro, sono in parte esclusi dal beneficio grazie al meccanismo di compensazione sulle detrazioni, che riduce o annulla il vantaggio. In pratica, il taglio dell’aliquota finisce per favorire soprattutto il ceto medio e medio-alto.

Anche la Corte dei Conti ha riconosciuto che il governo, con la riduzione dell’aliquota IRPEF, punta a sostenere il «ceto medio» e a recuperare parte del potere d’acquisto eroso dall’inflazione. La stessa Corte, però, ha ribadito che circa il 44 per cento delle risorse del taglio andrà a contribuenti con redditi tra 50 e 200 mila euro, cioè nelle fasce medio-alte, e una parte di chi supera i 200 mila euro continuerà comunque a ottenere il risparmio massimo di 440 euro.

Il secondo argomento dei sostenitori del nuovo taglio dell’IRPEF è che, se si guarda non solo a questa legge di Bilancio ma alle precedenti approvate dal governo Meloni, il quadro cambia. Secondo lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio, e anche la Banca d’Italia, negli ultimi anni gli interventi fiscali del governo, come il taglio del cuneo fiscale, hanno nel complesso favorito soprattutto le fasce di reddito basse e medie, compensando gli effetti del cosiddetto fiscal drag (in italiano “drenaggio fiscale”). Il fiscal drag si verifica quando, a causa dell’inflazione, i redditi nominali aumentano determinando così un aumento dell’imposizione perché nel contempo la struttura dell’imposta non si è modificata. In questo senso, il nuovo taglio dell’IRPEF può essere visto come un correttivo parziale a vantaggio del ceto medio, più che come un vero regalo ai ricchi.

Infine, il terzo argomento riguarda il linguaggio usato nel dibattito politico: il termine “ricco”, infatti, è vago e relativo. Nelle statistiche ufficiali, il gruppo definito come “più ricco” include anche molte famiglie che appartengono al ceto medio o medio-alto, non necessariamente a quello più benestante. Nel dibattito politico, quindi, espressioni come “regalo ai ricchi” finiscono spesso per indicare contribuenti che sostengono gran parte del gettito IRPEF e che, con il nuovo taglio, recuperano in parte l’aumento del prelievo dovuto all’inflazione.

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