Fratoianni fa confusione sul calo dei salari e sulle colpe del governo

Il segretario di Sinistra Italiana mescola dati non confrontabili e ne ricava conclusioni fuorvianti
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Il 25 novembre il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha rilanciato sui social network i nuovi dati di Eurostat, secondo cui «oggi gli stipendi reali in Italia sono più bassi rispetto a vent’anni fa», con un calo del «4,4 per cento, il peggior risultato di tutta l’Unione europea». «Questa situazione è persino peggiorata con Meloni al governo. Infatti, solo dal 2021 a oggi, il crollo è un sonoro -8,8 per cento. Il doppio», ha aggiunto Fratoianni, rilanciando la proposta del suo partito di adeguare automaticamente gli stipendi alla crescita dell’inflazione (proposta che abbiamo analizzato in un altro articolo).

Abbiamo controllato: il segretario di Sinistra Italiana mette insieme dati che misurano aspetti diversi dell’economia, producendo un messaggio ingannevole. Valori riferiti a dinamiche separate vengono presentati come se parlassero della stessa cosa, con il risultato di restituire un quadro distorto della situazione.

Che cosa dicono i numeri

Partiamo dai dati, pubblicati il 25 novembre da Eurostat in un approfondimento. L’ufficio statistico dell’Ue ha analizzato l’andamento nei Paesi membri di un indicatore preciso: il cosiddetto “reddito disponibile lordo corretto delle famiglie pro capite in termini reali”. Questo indicatore mostra quanto reddito, al netto delle imposte e dei contributi pensionistici, resta effettivamente a disposizione delle famiglie per consumi e risparmio, includendo anche il valore dei beni e servizi individuali forniti gratuitamente dallo Stato e dalle istituzioni senza scopo di lucro, come istruzione e sanità.

L’aggettivo “reale” indica che il dato è corretto per l’inflazione, mentre “pro capite” segnala che il valore è rapportato all’intera popolazione. Per questo motivo non sono considerati solo i salari, ma l’insieme delle risorse economiche che le famiglie ricevono. Nel complesso, si tratta dunque di un indicatore che restituisce l’evoluzione del potere d’acquisto medio dei nuclei familiari.

Posto a 100 il valore medio dei redditi delle famiglie nel 2010, nel 2024 l’indicatore dell’Italia valeva quasi 4 punti in meno rispetto al 2004 (a essere precisi, non 4,4 punti come ha scritto Fratoianni). Inoltre, il nostro Paese non è quello con «il peggior risultato di tutta l’Unione europea»: nello stesso periodo i redditi delle famiglie in Grecia sono scesi di 5 punti. È però vero che gli altri 25 Paesi Ue hanno tutti registrato un aumento.

La questione del «crollo»

Fratoianni sostiene poi che la situazione sarebbe «peggiorata» sotto il governo Meloni, indicando un «crollo» degli stipendi dell’8,8 per cento dal 2021 a oggi. Anche qui c’è qualcosa che non torna.

Se si guarda ai redditi delle famiglie, nel 2021 l’indice era pari a 99,15, un valore più basso sia del 2010 sia del 2004. Ma nei tre anni successivi c’è stato un progressivo recupero: nel 2022 il valore era pari a 99,34, nel 2023 a 100,12 e nel 2024 (ultimo anno oggi disponibile) a 101,26. Tra il 2021 e il 2024, quindi, i redditi non sono diminuiti ma aumentati di oltre 2 punti. Va inoltre ricordato che il governo Meloni si è insediato alla fine di ottobre 2022 e che per quasi due anni, nel periodo considerato, ha governato l’esecutivo Draghi.
Per capire da dove provenga la percentuale del -8,8 per cento citata da Fratoianni occorre guardare un’altra fonte, relativa però a un fenomeno diverso. 

A fine ottobre l’ISTAT ha pubblicato i dati aggiornati sulle “retribuzioni contrattuali orarie”, aggiornati al terzo trimestre del 2025. Stiamo parlando delle retribuzioni fissate dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), cioè dei salari orari stabiliti dalle tabelle contrattuali per ciascun settore, riferiti ai dipendenti esclusi i dirigenti e al netto di alcune voci, come gli straordinari e i premi aziendali. 

In quell’occasione, l’istituto nazionale di statistica ha spiegato che a settembre 2025 in Italia le retribuzioni contrattuali orarie in termini reali – ossia corrette tenendo conto dell’aumento dei prezzi – erano l’8,8 per cento più basse rispetto a gennaio 2021. 

Dunque, il primo errore del segretario di Sinistra Italiana è mischiare due indicatori diversi: uno riguarda il reddito complessivo delle famiglie, l’altro misura solo l’andamento dei salari contrattuali.

Il secondo errore è lasciare intendere che tra gennaio 2021 e settembre 2025 ci sia stato un calo continuo dei salari in Italia. Ma questo non è vero (un errore simile è stato fatto di recente anche dal Partito Democratico e da Elly Schlein). Il grafico successivo mostra quanto le retribuzioni contrattuali orarie, corrette per l’inflazione, siano più alte o più basse rispetto a gennaio 2021. Dopo il forte calo del potere d’acquisto registrato tra il 2021 e il 2022, con l’impennata dei prezzi, si nota un lento ma costante recupero a partire dal 2023, non ancora sufficiente per tornare ai livelli di quasi cinque anni fa.
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Va poi ricordato che stiamo parlando di un indicatore su cui il governo ha un margine di intervento limitato: la maggior parte della perdita di potere d’acquisto si è verificata prima dell’insediamento dell’esecutivo Meloni, durante un’ondata inflattiva legata a fattori internazionali, e le retribuzioni contrattuali dipendono soprattutto dai rinnovi dei CCNL, negoziati tra sindacati e datori di lavoro più che dalle decisioni del governo.

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