Abbiamo perso un mese di stipendio per colpa di Meloni?

L’accusa del PD si basa su un dato reale, che però viene raccontato e usato in modo parziale e fuorviante
La grafica pubblicata dal Partito Democratico sui social network
La grafica pubblicata dal Partito Democratico sui social network
«Immagina di lavorare 12 mesi ma ricevere solo 11 mensilità di stipendio. Assurdo, vero?». Così inizia un post pubblicato dal Partito Democratico su Instagram il 29 ottobre. «Purtroppo non serve immaginarlo. È questo che ci dice l’ISTAT: rispetto al 2021, le retribuzioni reali sono calate dell’8,8 per cento», prosegue il partito guidato da Elly Schlein, che cita un articolo del Corriere della Sera e arriva a questa conclusione: «Con il governo Meloni gli italiani hanno perso un mese di stipendio». 
Ma è davvero così? In estrema sintesi, è vero che al momento le retribuzioni restano ancora più basse rispetto a quasi cinque anni fa, ma l’accusa del Partito Democratico è scorretta per diversi motivi. 

Che cosa dice l’ISTAT

Partiamo dalla fonte del post del partito di Schlein. Il 29 ottobre l’ISTAT ha pubblicato i dati sulle “retribuzioni contrattuali orarie”, aggiornati al terzo trimestre del 2025. Stiamo parlando delle retribuzioni fissate dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), cioè dei salari orari stabiliti dalle tabelle contrattuali per ciascun settore, riferiti ai dipendenti esclusi i dirigenti e al netto di alcune voci, come gli straordinari e i premi aziendali.

Nel rapporto con cui ha presentato i dati aggiornati, l’ISTAT ha commentato che in Italia «le retribuzioni contrattuali in termini reali a settembre 2025 restano al di sotto dell’8,8 per cento ai livelli di gennaio 2021». In parole semplici, a settembre 2025 le retribuzioni, corrette tenendo conto dell’aumento dei prezzi (questo significa “in termini reali”), valevano circa il 9 per cento in meno rispetto a gennaio 2021. In concreto, a parità di stipendio, attualmente si possono comprare meno beni e servizi rispetto a quasi cinque anni fa.

È a questa statistica che fa riferimento il Partito Democratico quando dice che «gli italiani hanno perso un mese di stipendio». L’idea nasce dal fatto che un calo dell’8,8 per cento equivale più o meno a un dodicesimo di uno stipendio annuale: se si divide il 100 per 12 mesi, infatti, ogni mese “pesa” circa l’8,3 per cento. Quindi dire che le retribuzioni reali valgono l’8,8 per cento in meno significa – per rendere l’idea – che il potere d’acquisto di un anno di lavoro oggi equivale a circa undici mensilità di allora.

Il ragionamento fatto dal Partito Democratico per accusare il governo Meloni, però, ha almeno due problemi.
Pagella Politica

Iscriviti a Conti in tasca

La newsletter che ti racconta l’attualità politica attraverso le lenti dell’economia. Arriva ogni giovedì. Leggi qui un esempio

Una lenta ripresa

Per come viene presentato il dato, sembra che tra gennaio 2021 e settembre 2025 ci sia stato un calo continuo delle retribuzioni in termini reali. Ma questo non è vero.

Il grafico seguente mostra come è cambiato in quel periodo di tempo il livello delle retribuzioni e quello dell’inflazione. La linea azzurra mostra l’andamento dell’indice delle retribuzioni contrattuali orarie, in termini nominali (cioè con le cifre fissate nei contratti collettivi nazionali, senza tener conto dell’aumento dei prezzi). La linea rossa, invece, mostra l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA). È l’indicatore usato per confrontare in modo uniforme l’inflazione tra i diversi Stati membri dell’Unione europea, e rappresenta il riferimento per la contrattazione collettiva. È “armonizzato” perché tutti i Paesi lo calcolano seguendo le stesse regole stabilite da Eurostat: stesse categorie di beni, stessi criteri di rilevazione e ponderazione. Ed è usato dall’ISTAT per calcolare le retribuzioni in termini reali, cioè per misurare quanto il valore delle paghe contrattuali cambia una volta tenuto conto dell’aumento dei prezzi.
Nel grafico, è posto a 100 il valore degli indici registrato a gennaio 2021. Come si vede, l’inflazione (linea rossa) è cresciuta molto più rapidamente delle retribuzioni contrattuali (linea azzurra), soprattutto tra il 2021 e il 2022, quando i prezzi sono aumentati in modo repentino mentre i salari sono rimasti quasi fermi. Solo a partire dal 2023, le retribuzioni hanno iniziato a salire più visibilmente, ma senza riuscire a recuperare del tutto la distanza dai prezzi (il picco della linea azzurra a dicembre 2023 è dovuto a un aumento temporaneo delle retribuzioni nella pubblica amministrazione, legato all’anticipo dell’indennità di vacanza contrattuale previsto dal governo per il 2024).

Il grafico successivo mostra la stessa tendenza da una prospettiva diversa, evidenziando quanto le retribuzioni contrattuali orarie, corrette per l’inflazione, siano più alte o più basse rispetto a gennaio 2021. Dopo il forte calo del potere d’acquisto registrato tra il 2021 e il 2022, con l’impennata dei prezzi, si nota un lento ma costante recupero a partire dal 2023. Nonostante ciò, a settembre 2025 il potere d’acquisto delle retribuzioni resta ancora più basso di circa l’8,8 per cento rispetto a gennaio 2021, come mostra la barra finale del grafico.
In sintesi, i dati dell’ISTAT mostrano che il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali è effettivamente diminuito rispetto al 2021, ma non in modo costante e lineare, come lascia intendere il messaggio del Partito Democratico. Dopo un forte calo tra il 2021 e il 2022, dovuto all’aumento improvviso dei prezzi, dal 2023 le retribuzioni hanno iniziato a recuperare terreno, anche se non abbastanza da tornare ai livelli pre-inflazione.

Il primo problema del ragionamento del PD, quindi, è che presenta la perdita come se fosse continua e ancora in corso, mentre i dati mostrano un parziale recupero del potere d’acquisto negli ultimi anni. Dire che “gli italiani hanno perso un mese di stipendio” dà l’idea di una situazione che ha raggiunto adesso il suo picco negativo, quando in realtà il divario con l’inflazione si è ridotto nel tempo.

Il ruolo del governo

Un secondo limite del ragionamento del Partito Democratico riguarda il riferimento diretto alle responsabilità del governo Meloni. 

L’attuale governo si è insediato il 22 ottobre 2022, quindi ha governato solo una parte del periodo analizzato dall’ISTAT, che va da gennaio 2021 a settembre 2025. Gran parte della perdita di potere d’acquisto, infatti, si è verificata tra il 2021 e il 2022, durante il governo Draghi sostenuto anche dal Partito Democratico, quando l’inflazione è aumentata a causa della ripresa post-pandemia e della guerra in Ucraina, ben prima dell’arrivo del governo attuale.
Inoltre, l’indicatore considerato – quello delle retribuzioni contrattuali orarie – dipende soprattutto dalla contrattazione collettiva tra sindacati e associazioni dei datori di lavoro, non dalle decisioni del governo. Come detto, l’indice misura i salari tabellari previsti dai contratti nazionali, cioè le cifre fissate nei CCNL, e non tiene conto di interventi approvati dal governo come il taglio del cuneo fiscale, le detrazioni o i bonus che incidono sullo stipendio netto in busta paga e a contenere la perdita del potere d’acquisto.

Infine, anche sul fronte dei prezzi il margine di azione di un governo nazionale è limitato: l’inflazione dipende in larga parte da fattori internazionali, come l’andamento dei costi dell’energia, delle materie prime e delle catene di approvvigionamento. Un governo può però attenuarne gli effetti, per esempio con politiche di sostegno ai redditi.

Per tutte queste ragioni, attribuire interamente al governo Meloni la perdita di potere d’acquisto registrata tra il 2021 e il 2025 è scorretto: i dati dell’ISTAT descrivono un fenomeno economico complesso, iniziato prima dell’attuale esecutivo e influenzato da dinamiche che vanno oltre le politiche nazionali.
Pagella Politica

Iscriviti a Politicamente corretto

La newsletter che riassume la settimana politica con i nostri articoli e fact-checking. Arriva ogni sabato mattina. Leggi qui un esempio.

Unisciti a chi crede che il giornalismo debba verificare, non tifare.

Con la membership di Pagella Politica ricevi:

• la nuova guida sul premierato;
• la newsletter quotidiana con le notizie più importanti sulla politica;
• l’accesso agli articoli esclusivi e all’archivio;
• un canale diretto di comunicazione con la redazione.
PROVA GRATIS PER UN MESE
Newsletter

Politica di un certo genere

Ogni martedì
In questa newsletter proviamo a capire perché le questioni di genere sono anche una questione politica. Qui un esempio.

Ultimi articoli