Famiglia nel bosco: la verità sulla decisione dei giudici

Che cosa dice davvero l’ordinanza con cui è stato disposto l’allontanamento di tre bambini dai loro genitori
La casa nel bosco dove vivono Nathan Trevallion e Catherine Birmingham con i tre figli – Fonte: ANSA
La casa nel bosco dove vivono Nathan Trevallion e Catherine Birmingham con i tre figli – Fonte: ANSA
In questi giorni è diventato un caso politico la decisione dei giudici del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che hanno disposto l’allontanamento di tre bambini dai genitori con cui vivevano in una piccola casa in un bosco, in provincia di Chieti, in Abruzzo.

In breve, il caso è nato da un intervento dei servizi sociali avviato dopo un episodio sanitario che aveva coinvolto una coppia di cittadini stranieri, Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, e i loro tre figli: una di otto anni di età, gli altri due gemelli di sei. La famiglia segue lo stile di vita del “neoruralismo”, un movimento improntato all’autosufficienza, al ritiro dal contesto sociale e dalle infrastrutture della vita contemporanea. I bambini non frequentavano la scuola e seguivano la pratica dell’unschooling, un approccio educativo che rifiuta programmi formali e punta sull’apprendimento spontaneo guidato dagli interessi del minore.

Gli sviluppi seguiti all’episodio sanitario hanno poi portato a un procedimento di tutela quando i giudici hanno ritenuto inadeguate le condizioni di vita dei minori. Così, con un’ordinanza del 20 novembre, i tre bambini sono stati collocati temporaneamente in una casa-famiglia – una struttura residenziale educativa che accoglie minori in situazioni di vulnerabilità – dove resteranno per un periodo di osservazione, insieme alla madre.

La decisione del Tribunale per i minorenni è stata criticata da diversi politici. Per esempio, il leader della Lega Matteo Salvini ha detto che è «una vergogna che questa famiglia sia stata molestata e disturbata». «Sono arrivati in Italia, han preso una casa nel bosco, stanno educando con insegnanti privati i loro figli che crescono senza televisione, senza social, senza i servizi che hanno i nostri figli a Milano e a Roma», ha aggiunto. Secondo fonti stampa, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio hanno discusso della possibilità di inviare ispettori per valutare la gestione del caso da parte dei magistrati.

L’ordinanza del Tribunale per i minorenni non è pubblicamente disponibile, ma Pagella Politica ha potuto leggerla. Senza entrare nel merito delle opinioni personali sulla vicenda, abbiamo ricostruito le motivazioni che hanno portato alla decisione dei giudici, per fare chiarezza su un caso su cui si stanno moltiplicando ricostruzioni imprecise e affermazioni infondate.

Il punto di partenza

Per capire come si sia arrivati alla decisione dei giudici del Tribunale per i minorenni, occorre ricostruire l’origine dell’intervento giudiziario. Contrariamente a quanto sostenuto in molte ricostruzioni circolate negli scorsi giorni, il procedimento non nasce da un controllo sull’istruzione parentale. 

Tutto è partito da un episodio sanitario. A fine settembre 2024 la famiglia si è presentata al pronto soccorso per un’intossicazione da funghi raccolti nei boschi, un fatto che all’epoca aveva avuto rilievo sulla stampa locale. È questo accesso ospedaliero che ha attivato la prima segnalazione ai servizi sociali, secondo un meccanismo previsto dalla legge e applicato in tutti i casi di possibile pericolo per i minori.

Quando un bambino arriva in ospedale per una possibile ingestione di sostanze tossiche, infatti, il personale sanitario deve verificare se la situazione possa configurare un reato perseguibile d’ufficio. Il codice penale impone in tal caso la segnalazione alla Procura della Repubblica, e se durante la visita emergono indizi di abbandono, incuria o altre condizioni di rischio, i medici devono informare il procuratore presso il Tribunale per i minorenni. 

Questa segnalazione – come ricorda l’ordinanza – non è una scelta discrezionale ma un obbligo giuridico, e la mancata comunicazione può comportare responsabilità penale. Diverse sentenze hanno chiarito che la segnalazione va fatta anche in presenza di un semplice dubbio, perché spetta poi all’autorità giudiziaria valutare se vi sia stato un illecito.

Dunque, la fase cautelare del procedimento è iniziata a partire da questa segnalazione. Il Tribunale per i minorenni non è intervenuto con un allontanamento immediato ma ha adottato un percorso graduale.

Il 23 aprile 2025 è stato emesso un primo decreto provvisorio, poi confermato con un’ordinanza un mese dopo, il 22 maggio. L’obiettivo in questa fase era capire se la situazione familiare potesse essere recuperata e messa in sicurezza. Per questo i giudici hanno disposto una misura intermedia: i bambini sono stati affidati formalmente ai servizi sociali, che hanno assunto la responsabilità delle decisioni su collocamento e cure sanitarie, pur lasciando i minori nella loro casa. Gli operatori avevano il compito di monitorare quotidianamente la situazione, concentrandosi sulla stabilità dell’alloggio e sui controlli medici da eseguire dopo l’intossicazione.

La rottura

È tra la primavera e l’autunno di quest’anno che il percorso di sostegno avviato dal Tribunale per i minorenni si è incrinato. Dopo l’udienza di maggio, i genitori avevano dichiarato piena collaborazione e annunciato di aver individuato una nuova abitazione. Ma la relazione dei servizi sociali del 14 ottobre racconta che le visite sono state interrotte, gli accessi impediti, gli operatori sono stati tenuti a distanza e impossibilitati a verificare le condizioni dei bambini. 

L’intervento, nato come misura di supporto, è così divenuto un’azione di protezione forzata. Per i giudici l’ostruzionismo costante dei genitori ha rivelato una difficoltà, se non una vera incapacità, di riconoscere i bisogni dei minori come prioritari rispetto alle loro convinzioni.

In questo contesto assume rilievo l’udienza del 28 ottobre, in cui i bambini sono stati ascoltati con la madre presente perché non parlano bene l’italiano. L’ordinanza considera questa circostanza un ulteriore indizio del loro isolamento: nati e cresciuti in Italia, i figli della coppia faticano a interagire con chiunque al di fuori della famiglia. E la presenza della madre non ha consentito di garantire libertà e spontaneità nelle dichiarazioni dei bambini. 

Secondo i giudici, questo elemento va a rafforzare il quadro di vulnerabilità dei figli, che ha poi condotto al loro allontanamento dai genitori.
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Le condizioni dell’abitazione

Tra gli aspetti centrali della decisione del Tribunale per i minorenni vi sono anche le condizioni abitative in cui viveva la famiglia. Quanto al loro sostentamento, il 1° novembre in un’intervista con il quotidiano Il Centro la madre ha raccontato: «Aiuto online le persone a vivere meglio, le seguo a livello spirituale. Ricevo donazioni».

L’ordinanza riprende la relazione dei servizi sociali che descrive l’immobile come un «rudere fatiscente e privo di utenze», con «una piccola roulotte» all’esterno e una situazione «disagevole e insalubre». La perizia di parte, depositata dai genitori, non smentisce questi elementi. Anzi, secondo i giudici conferma «l’assoluta assenza di impianti elettrico e idrico/sanitario e la carenza di rifinitura e infissi».

L’assenza di acqua corrente e delle utenze è stata confermata il 22 novembre dal padre dei bambini, in un’intervista con la Repubblica. «Le tubature portano in casa le microplastiche, è necessario staccarsi dalla rete. E poi non volevo pagare la bolletta», ha spiegato Trevallion. Il padre ha chiarito che l’acqua per vivere viene prelevata da un «pozzo» e che lui stesso non fa mai un bagno completo. «Uso una spugna bagnata», ha detto. Il bagno della famiglia, con un water a secco, si trova all’esterno dell’abitazione, in una struttura separata e priva di impianti.

L’ordinanza del Tribunale richiama i requisiti previsti dal Testo unico dell’edilizia per l’agibilità di un edificio, sottolineando che la casa non possiede nessuno degli elementi richiesti: tra questi, la sicurezza statica, gli impianti a norma, e la salubrità degli ambienti, «con particolare riguardo all’umidità», che può portare allo sviluppo di patologie polmonari. In più, il rischio strutturale è particolarmente rilevante in una zona sismica come l’Abruzzo, cui si aggiungono problemi di potenziali incendi legati a fonti di calore improvvisate.

L’ordinanza spiega che, senza questi requisiti, la legge considera automaticamente che esista un «pericolo di pregiudizio per l’incolumità e l’integrità fisica dei minori».

Gli accertamenti negati

Accanto all’aspetto abitativo, l’ordinanza dedica ampio spazio al profilo sanitario.

La pediatra che seguiva i bambini aveva evidenziato la necessità di visite neuropsichiatriche infantili ed esami del sangue per valutare il loro stato vaccinale, alla luce della «storia clinica e familiare». Il Tribunale per i minorenni sottolinea che non si trattava di controlli arbitrari, ma di prestazioni ritenute necessarie dai medici.

In questo contesto emerge un passaggio decisivo: i genitori avrebbero subordinato il proprio consenso agli esami al pagamento di «50.000 euro per ogni minore». Per i giudici questo comportamento mostra un’incapacità di riconoscere il benessere dei figli come interesse primario e trasforma i minori in una leva negoziale.

Da qui la conclusione secondo cui affidare ai servizi sociali il potere di autorizzare gli atti sanitari non sarebbe stato sufficiente a garantirne l’effettiva esecuzione.

Il tema dell’isolamento

Il provvedimento affronta poi il profilo educativo e psicologico, chiarendo che non è l’istruzione parentale a essere posta in discussione, bensì l’assenza di qualunque forma di socializzazione. In Italia è possibile studiare a casa (pratica che si chiama homeschooling), ma solo rispettando alcuni requisiti formali e dimostrando ogni anno che i bambini hanno raggiunto determinati livelli di apprendimento.

I giudici sottolineano che i genitori non hanno depositato la documentazione prevista per l’homeschooling e che il certificato della scuola privata presentato per la figlia maggiore non risulta notificato alla dirigente scolastica competente. Ma gli stessi giudici precisano che «l’ordinanza cautelare non è fondata sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione, ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione», sancito dall’articolo 2 della Costituzione. In base a questo articolo, la Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Secondo i giudici, gli studi in psicologia insistono sulla necessità del confronto tra pari come elemento centrale dello sviluppo dei minori: la socializzazione non è un aspetto accessorio, ma un contesto che permette ai bambini di sviluppare competenze socio-emotive, autonomia e capacità di gestire i conflitti. L’isolamento totale può generare difficoltà di apprendimento, bassa autostima, scarsa capacità di regolare le emozioni e, in prospettiva, una maggiore vulnerabilità alla pressione del gruppo. 

L’ordinanza parla poi di un possibile «senso di sé poco definito» e di una maggiore «influenzabilità» durante l’adolescenza. La scuola e i compagni invece rappresentano un «contesto fondamentale di socializzazione e di sviluppo cognitivo/emotivo» – scrivono i giudici  – capace di generare competenze che non possono nascere nel solo rapporto genitore-figlio. 

Nell’intervista con Il Centro, la madre ha respinto l’accusa di costringere i figli a una vita alienata: «Non siamo isolati. Una volta a settimana, per esempio, andiamo a fare la spesa a San Salvo [un piccolo comune abruzzese, ndr]. E i nostri figli vanno al parco, conoscono il mondo e altri bambini».

I minori in televisione

L’ultimo aspetto analizzato dai giudici riguarda l’esposizione mediatica dei bambini.

L’ordinanza documenta la partecipazione dei tre minori alla trasmissione televisiva Le Iene, avvenuta l’11 novembre 2025, durante la quale sono state diffuse informazioni e immagini sulla loro vita familiare. Questo episodio è stato segnalato come una violazione della privacy dei bambini, sulla base delle norme nazionali e internazionali che vietano la divulgazione di dati idonei a identificare i minori nei procedimenti giudiziari. 

I giudici giudicano questa scelta una forma di strumentalizzazione: secondo l’ordinanza, i genitori «hanno mostrato di fare uso dei propri figli allo scopo di conseguire un risultato processuale a essi favorevole», cercando di esercitare pressione sull’opinione pubblica invece di muoversi nelle sedi processuali. 

Questo comportamento viene qualificato come una delle «gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli», incidendo direttamente sulla decisione finale.

La decisione dei giudici

La conclusione dell’ordinanza segna il passaggio dalla fase cautelare a una misura più incisiva: la sospensione della responsabilità genitoriale e il collocamento dei bambini in una casa-famiglia. Da questo momento la coppia non ha più titolo per decidere dove vivono i figli, quali cure ricevono o quale percorso educativo seguono. La rappresentanza legale passa a un tutore nominato dal giudice, mentre l’esecuzione materiale delle misure e la gestione quotidiana spettano ai servizi sociali.

È importante chiarire che l’ordinanza non interrompe automaticamente i rapporti tra genitori e figli, ma stabilisce che la relazione debba essere regolata da un soggetto terzo, incaricato di definire tempi, luoghi e modalità degli incontri per garantire la tutela dei minori e prevenire rischi di sottrazione. 

Questa scelta risponde alla logica complessiva del provvedimento: nelle condizioni accertate, lasciare ai genitori la piena disponibilità dei bambini renderebbe inefficaci le prescrizioni su salute, sicurezza e socializzazione. Il Tribunale per i minorenni ritiene quindi necessario un controllo esterno fino a quando non si registreranno segnali concreti di miglioramento.

Secondo i giudici, il loro provvedimento si colloca così all’incrocio tra esigenze di protezione dei minori, doveri delle istituzioni e scelte dei genitori, e ricostruisce un quadro che è più complesso delle narrazioni circolate nel dibattito pubblico.

Il provvedimento è stato trasmesso anche alle autorità consolari del Regno Unito e dell’Australia – i due Paesi di provenienza dei genitori – con l’obiettivo di verificare l’eventuale presenza di parenti in grado di affiancare o sostituire i genitori nel percorso di tutela dei minori.

I prossimi passi

L’avvocato della famiglia ha però contestato questa ricostruzione, parlando di «falsità» e sostenendo che il suo compito ora è riportare al più presto i bambini con i genitori. «Il primo obiettivo è quello di far riunire la famiglia, il secondo è quello di riportarli a casa», ha dichiarato, aggiungendo che i due passaggi difficilmente potranno coincidere nei tempi, ma che «a stretto giro si possa sicuramente ottenere il ricongiungimento della famiglia» e, successivamente, con i necessari tempi tecnici, «realizzare il bagno adiacente alla casa e farli rientrare». L’avvocato ha aggiunto che «i provvedimenti non si commentano ma si impugnano, per questo faremo ricorso».

Nell’intervista con la Repubblica, lo stesso padre ha confermato che intende spostare il bagno all’interno dell’abitazione e costruire due camere da letto, interventi che la difesa spera possano consentire alla famiglia di tornare a vivere insieme nella casa nel bosco.

Queste dichiarazioni delineano il percorso che la difesa vuole intraprendere: un ricongiungimento iniziale in ambiente protetto e, in un secondo momento, il rientro nell’abitazione dopo gli interventi strutturali richiesti dai giudici.

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