Il consenso sul “consenso” e sulla riforma della violenza sessuale è durato poco

Giorni fa era stato annunciato un accordo tra Meloni e Schlein sull’introduzione del principio nel codice penale, ma in Senato il percorso si è subito rallentato
ANSA
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«C’era un’intesa di massima sul fare qualcosa insieme, certo. Ma sul testo ci sono dubbi e li hanno ancora pure nel Partito Democratico, sebbene fatichino ad ammetterlo». Con queste parole un senatore di Fratelli d’Italia, che ha preferito rimanere anonimo, ha riassunto a Pagella Politica la causa del nuovo scontro tra i partiti della maggioranza e dell’opposizione sulla proposta di legge che introduce nel codice penale il concetto di “consenso” per il reato di violenza sessuale. 

La proposta, presentata a febbraio 2024 dalla deputata del Partito Democratico Laura Boldrini insieme ad altre colleghe, è stata approvata all’unanimità lo scorso 19 novembre dalla Camera e poi ha iniziato il suo esame in Commissione Giustizia al Senato. Secondo fonti stampa, l’appoggio unanime dei partiti alla Camera era stato possibile grazie a un accordo tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. 

Nel pomeriggio di martedì 25 novembre, però, i partiti di maggioranza hanno chiesto ulteriori approfondimenti sulla proposta di legge, aprendo alla possibilità di modificarla. Dal resoconto stenografico della seduta in Commissione Giustizia, i partiti d’opposizione hanno chiesto un’approvazione immediata del testo in aula, senza esaminare gli emendamenti. I partiti di maggioranza hanno sollevato dubbi sulla formulazione del testo approvato dalla Camera, ottenendo la possibilità di svolgere «un breve ciclo di audizioni», convocando esperti sulla materia per valutare eventuali correzioni.

I partiti all’opposizione hanno criticato questa scelta, accusando i partiti che sostengono il governo di rinnegare l’accordo raggiunto nei giorni precedenti tra Meloni e Schlein, e di volere affossare il testo. A sua volta, la presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno (Lega) ha assicurato che non c’è nessuna volontà della maggioranza di bloccare la proposta, ma soltanto di fare approfondimenti per perfezionarla. «Il provvedimento è arrivato esattamente oggi alla mia commissione. Si tratta di un provvedimento importante, che intendiamo portare avanti», ha spiegato Bongiorno al Senato, aggiungendo che «non c’è stata l’unanimità per fare tutto immediatamente perché le forze politiche di maggioranza ritengono di voler approfondire alcuni aspetti».

Come cambierebbe il codice penale

Il testo approvato dalla Camera riscrive ampie parti dell’articolo 609-bis del codice penale, stabilendo che «chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali a un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni». La pena si applica anche a chi «costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità», a chi «induce taluno a compiere o a subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o di particolare vulnerabilità della persona offesa», o traendola in inganno. 

L’introduzione esplicita del principio del consenso colloca la riforma nel solco delle principali norme internazionali, come la Convenzione di Istanbul, che definisce lo stupro come un atto compiuto senza il consenso della persona. Ma, secondo i critici, la nozione di «consenso libero e attuale» rimane troppo sfumata.

Che cos’è successo in commissione

All’inizio dell’esame del testo in Senato, Fratelli d’Italia ha sollevato alcuni dubbi sulla proposta di legge. Uno di questi riguarda l’aspetto probatorio, cioè la modalità con cui si potrà dimostrare il consenso. «Dopo l’approvazione del testo alla Camera vari giuristi ci hanno contattato sollevando critiche. Posto che siamo d’accordo sulla necessità di introdurre il principio del consenso, dobbiamo chiarire bene come verrà provato il reato», ha detto a Pagella Politica la senatrice di Fratelli d’Italia in Commissione Giustizia Susanna Donatella Campione, relatrice del disegno di legge che ha introdotto il reato di femminicidio, approvato definitivamente il 25 novembre dalla Camera. «Il testo così com’è ora presenta dei problemi, perché si dice che il consenso di una persona all’atto sessuale deve essere libero e attuale. Ma che cosa si intende per attuale? Come si fa a provare l’attualità del consenso?», si è chiesta Campione. 

In commissione al Senato, la senatrice della Lega Erika Stefani ha segnalato un ulteriore punto da approfondire: la disciplina dei casi di minore gravità del reato, che oggi consente una riduzione della pena. Il terzo comma dell’articolo 609-bis – che non viene modificato dal disegno di legge – prevede in modo generico che «nei casi di minore gravità» la pena per il reato di violenza sessuale «è diminuita in misura non eccedente i due terzi». 

Secondo alcune sentenze della Corte di Cassazione, per stabilire la minore gravità per una violenza sessuale il giudice deve fare una valutazione globale del fatto, tenendo conto delle modalità esecutive, del grado di coercizione sulla vittima, delle sue condizioni fisiche e psicologiche e dell’età. In più, l’attenuante non può essere concessa quando gli abusi sulla vittima siano stati reiterati nel tempo.

Dal resoconto stenografico emerge che alcuni rilievi tecnici della Lega non sono stati del tutto respinti nemmeno dal Partito Democratico. La senatrice Valeria Valente ha riconosciuto che il testo avrebbe potuto essere formulato diversamente, pur ribadendo che sarebbe stato opportuno approvarlo nella giornata del 25 novembre, data simbolica dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne.

Un’opinione simile è stata espressa a Pagella Politica da Alfredo Bazoli, senatore del Partito Democratico in Commissione Giustizia al Senato. «Ogni testo è migliorabile, ma alla Camera era stato fatto un lungo lavoro e c’era stato un accordo politico tra Schlein e Meloni su questo testo. C’era un’intesa comprovata per arrivare all’approvazione di una norma attesa da anni. Quello che resta invece oggi è che Fratelli d’Italia e la maggioranza hanno cambiato idea. Come possiamo fidarci ancora di loro?», ha detto Bazoli. 

Da parte di Fratelli d’Italia, invece, si insiste sulle prerogative del Senato. «Quando abbiamo esaminato il disegno di legge sul femminicidio ci sono voluti mesi di approfondimenti, ma non ci è stata posta nessuna fretta. Come Senato abbiamo il diritto di poter avere voce in capitolo sui provvedimenti», ha aggiunto la senatrice Campione. Secondo Bazoli, si tratta di una scusa per bloccare la proposta sul consenso. «Lo sappiamo tutti ormai che la maggior parte dei provvedimenti viene esaminata soltanto da una camera, mentre l’altra si limita ad approvarla. Ed è ipocrita per la maggioranza dire oggi che il Senato ha diritto a esaminare un testo, se poi con altri provvedimenti si fa diversamente», ha detto il senatore del Partito Democratico.

L’accordo c’era o no?

Al netto dello scontro tra maggioranza e opposizione, secondo alcuni un accordo vero e proprio tra Meloni e Schlein non c’è mai stato.

«C’era un accordo di massima per fare qualcosa insieme, tra maggioranza e opposizioni, ma questo accordo tra Meloni e Schlein è stato molto gonfiato dalla stampa», ha detto un senatore di Fratelli d’Italia a Pagella Politica. «A mio parere non c’era un accordo definitivo sul testo e infatti le questioni sono emerse ora. Per noi ci sono diversi problemi, soprattutto sull’aspetto probatorio. Non possiamo approvare il testo così delicato in velocità senza fare approfondimenti».

Sempre al Senato, in merito all’accordo tra Meloni e Schlein, la presidente della Commissione Giustizia Bongiorno ha detto che «bisogna vedere se questa stretta di mano era su, come credo io, la volontà di condividere un percorso, oppure una stretta di mano su ogni rigo di una norma. Credo che sia la prima la soluzione effettiva». 

Schlein, invece, ha ribadito pubblicamente di aver chiesto nuovamente a Meloni il rispetto degli accordi. «La legge era stata approvata all’unanimità meno di una settimana fa. Ora sarebbe grave se, sulla pelle delle donne, si facessero rese dei conti post elettorali all’interno della maggioranza», ha detto la segretaria del Partito Democratico ai cronisti alla Camera, dopo le elezioni regionali in Veneto, Campania e Puglia. 

In ogni caso, Meloni non ha mai confermato né smentito apertamente l’eventuale accordo che ci sarebbe stato con Schlein. Il 25 novembre, prima della decisione al Senato di svolgere ulteriori audizioni sul testo sul consenso, Meloni ha detto in un’intervista all’agenzia La Presse che «su alcuni temi, a partire dall’impegno comune per combattere la violenza contro le donne, il dialogo e la collaborazione con l’opposizione non sono mai mancati». L’intervista però è stata pubblicata prima della richiesta di approfondimenti da parte della maggioranza. Al momento non risulta che Meloni abbia commentato l’accaduto.

Se dopo le audizioni al Senato il testo sul consenso verrà modificato, il provvedimento dovrà tornare alla Camera per un ulteriore esame, allungando i tempi di approvazione della norma.

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