L’Italia si riavvicina al podio dei Paesi Ue con la pressione fiscale più alta

Nel 2024 il “peso” del fisco sul PIL è aumentato, con il sorpasso sulla Svezia, e lo stesso avverrà quest’anno
ANSA
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Una delle promesse finora disattese dal governo Meloni è l’abbassamento della pressione fiscale, che tra il 2023 e il 2024 è salita dal 41,2 al 42,5 per cento, ed è destinata a crescere ancora quest’anno. Secondo i nuovi dati di Eurostat, pubblicati nella mattina di venerdì 31 ottobre, il nostro Paese è salito così dal settimo al sesto posto dei Paesi europei con il “peso” più alto del fisco sull’economia. E dal quinto al quarto posto tra i Paesi che hanno l’euro come moneta unica [1]. Nel 2022 – a ottobre di quell’anno si è insediato il governo Meloni – l’Italia era all’ottavo posto tra i Paesi Ue, mentre già nel 2014 era stato al sesto. 
Il Paese che ha il rapporto più elevato tra le imposte e i contributi incassati dallo Stato, e il Prodotto interno lordo (PIL), è la Danimarca (45,7 per cento), che ha superato la Francia (45,2 per cento) in cima alla classifica. Prima dell’Italia ci sono il Belgio (44,5 per cento), l’Austria (43,7 per cento) e il Lussemburgo (42,7 per cento). I tre Paesi Ue che hanno la pressione fiscale più bassa sono invece Irlanda (22,3 per cento), Romania (28,7 per cento) e Malta (29,2 per cento). 

Tra il 2023 e il 2024 la pressione fiscale media nei 27 Paesi Ue è passata dal 39,7 per cento al 40,3 per cento, mentre quella dei 20 Paesi dell’area euro dal 40,2 per cento al 40,7 per cento. 

L’aumento della pressione fiscale di 1,3 punti registrato dall’Italia non è comunque il più elevato: in nove Paesi, infatti, il “peso” delle imposte e dei contributi è aumentato di più. Solo in cinque Stati c’è stato un calo: nei Paesi Bassi, Finlandia, Portogallo, Francia e Svezia, scavalcata in classifica dall’Italia. 

Nel Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP), approvato a inizio ottobre, il governo Meloni ha già previsto che la pressione fiscale in Italia aumenterà anche nel 2025, arrivando al 42,8 per cento. Come abbiamo spiegato in passato, questo incremento non è dovuto solo alla crescita dell’occupazione, come ripetono la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti. Stanno incidendo anche altri fattori, tra cui il cosiddetto fiscal drag (in italiano “drenaggio fiscale”), cioè quel meccanismo che fa crescere il gettito dell’IRPEF quando l’inflazione aumenta i redditi nominali, senza che le aliquote vengano aggiornate.
 

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[1] I dati fanno riferimento al settore “General government” di Eurostat, che comprende le amministrazioni pubbliche nazionali. Sono escluse le istituzioni dell’Unione europea, la cui incidenza sui valori complessivi è marginale.

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