Conte smemorato: la pressione fiscale cresceva anche con i suoi governi

Il leader del Movimento 5 Stelle accusa Meloni di aver aumentato il peso delle tasse, ma i dati mostrano che era cresciuto anche quando lui era presidente del Consiglio
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Il 28 ottobre, durante l’evento “Il salone della giustizia” di Roma, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha accusato il governo Meloni di aver portato la pressione fiscale al livello «più pesante degli ultimi dieci anni».

Intervistato dal giornalista Paolo Liguori, Conte ha mostrato un libretto intitolato “Governo Meloni: tre anni di tasse”, che – secondo lui – raccoglie tutte le imposte aumentate a causa dell’attuale esecutivo. Al termine dell’intervista, ha poi consegnato il libretto a Liguori invitandolo a mostrarlo «in tv». «Per la mia età, potrei scrivere un libro su 30 anni di tasse, e di governi ne sono passati», ha risposto il giornalista. «Lo leggerò con attenzione, ma quando arriverà ai miei governi dovrà prendere atto che le abbiamo abbassate», ha ribattuto Conte.

È vero che durante il governo Meloni la pressione fiscale è aumentata, e che oggi è tornata vicina ai livelli di dieci anni fa. Ma Conte omette un dato importante: anche nei suoi due governi l’indicatore è cresciuto.

La pressione fiscale cresce

Per capire perché, occorre innanzitutto chiarire che cosa si intenda per pressione fiscale e da quali fattori dipenda la sua evoluzione nel tempo.

La pressione fiscale misura il rapporto tra le imposte – dirette e indirette – e i contributi complessivamente incassati dallo Stato, e il Prodotto interno lordo (PIL). È un parametro utile perché indica quanta parte della ricchezza prodotta in un Paese finisce, in media, nelle casse pubbliche sotto forma di tasse e contributi. In altre parole, mostra quanto “pesa” il fisco sull’economia.

Negli ultimi anni, questo peso è tornato a salire, spinto da una combinazione di fattori economici e strutturali, e da scelte politiche. 

Nel Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP), approvato a inizio ottobre, il governo ha stimato che nel 2025 la pressione fiscale salirà al 42,8 per cento, una percentuale vicina al 43 per cento registrato a inizio 2015, il livello più alto degli ultimi dieci anni. Già nel 2024 l’aumento era stato significativo: dal 41,2 per cento del 2023 si è passati al 42,5 per cento. È quindi corretto dire che, da quando il governo Meloni si è insediato il 22 ottobre 2022, la pressione fiscale è aumentata.

Come abbiamo spiegato in passato, questo incremento non è dovuto solo alla crescita dell’occupazione, come ripetono la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti. Stanno incidendo anche altri fattori, tra cui il cosiddetto fiscal drag (in italiano “drenaggio fiscale”), cioè quel meccanismo che fa crescere il gettito dell’IRPEF quando l’inflazione aumenta i redditi nominali, senza che le aliquote vengano aggiornate.

L’aumento sotto i governi Conte

Secondo i dati ISTAT, però, la pressione fiscale è cresciuta anche quando l’attuale presidente del Movimento 5 Stelle era presidente del Consiglio. Il primo governo Conte – sostenuto da Movimento 5 Stelle e Lega – è rimasto in carica dal 1° giugno 2018 al 5 settembre 2019; il secondo, sostenuto da Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, dal 5 settembre 2019 al 13 febbraio 2021.
Il grafico mostra l’andamento della pressione fiscale tra il 2015 e il 2025, calcolato come media mobile a quattro trimestri. Questo metodo, che considera un intero anno alla volta aggiornandosi ogni tre mesi, serve a eliminare le oscillazioni stagionali – come quelle dovute alle scadenze fiscali – e a mettere meglio a fuoco la tendenza generale. È un indicatore più preciso del dato annuale, perché tiene conto del fatto che i governi non si insediano sempre a inizio anno.

Dalla curva si osserva che la pressione fiscale era al 41,6 per cento all’insediamento del primo governo Conte e al 42,1 per cento al passaggio al secondo. Quando poi si è insediato il governo Draghi, l’indicatore era al 42,5 per cento. In sintesi, durante i due governi Conte la pressione fiscale è cresciuta di circa un punto percentuale, non diminuita come l’ex presidente del Consiglio sostiene.

Si potrebbe obiettare che il secondo governo Conte ha dovuto affrontare la pandemia di COVID-19, che ha causato un crollo del PIL e ha quindi alterato il rapporto tra le entrate e, appunto, il PIL. Ma anche prima della pandemia, alla fine del 2019, lo stesso governo aveva previsto un leggero aumento della pressione fiscale per il 2020, seppur inferiore a quello stimato nei documenti precedenti alla legge di Bilancio di quell’anno. All’epoca Conte rivendicò impropriamente «il più grande taglio di tasse degli ultimi tempi rispetto allo scenario a politiche invariate». In realtà non era vero.

Con quella manovra, il suo governo introdusse due nuove imposte molto discusse – la plastic tax e la sugar tax – che pur essendo state più volte rinviate da vari esecutivi, non sono mai state abolite.

Ricapitolando: la pressione fiscale è aumentata sotto il governo Meloni, ma era cresciuta anche durante i governi Conte. Le differenze tra i due periodi dipendono dalle diverse condizioni economiche e dalle scelte di politica fiscale, ma i dati mostrano una tendenza comune: in Italia, da anni, il peso del fisco sulla ricchezza prodotta non accenna a diminuire.

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