Perché il Superbonus ha un forte peso sulla Nadef e sulla legge di Bilancio

Ne ha parlato in conferenza stampa il ministro Giorgetti: abbiamo verificato se i suoi numeri sono corretti oppure no
ANSA
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Il 27 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), un documento che aggiorna le previsioni economiche e di finanza pubblica fatte lo scorso aprile dal governo Meloni, su variabili come la crescita del Pil e l’andamento del debito pubblico. Il testo ufficiale della Nadef, che è stato trasmesso alla Commissione europea, non è ancora disponibile: il governo ha riassunto il suo contenuto in un comunicato e in una conferenza stampa, a cui ha partecipato il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti. 

Il quadro dipinto dalla Nadef non è particolarmente positivo: il governo prevede che nel 2024 il Pil italiano crescerà dell’1,2 per cento rispetto a quest’anno, una crescita più bassa del +1,5 per cento previsto ad aprile con il Documento di economia e finanza (Def). Per quest’anno il rapporto tra il deficit (ossia la differenza in negativo tra quanto lo Stato spende e incassa) e il Pil è stato fissato al 5,3 per cento, 0,8 punti percentuali in più rispetto all’obiettivo del 4,5 per cento fissato dal Def. Questo significa che il governo dovrà prendere a prestito risorse aggiuntive rispetto a quanto preventivato negli scorsi mesi – circa 10 miliardi di euro in più – per far fronte alle spese dell’anno.

Il peso del Superbonus

In conferenza stampa Giorgetti ha dichiarato che questo aumento del deficit – chiamato in gergo tecnico “indebitamento netto“ – è «ascrivibile» agli oneri del Superbonus e dei bonus edilizi, che sono continuati a crescere nonostante a febbraio il governo Meloni abbia bloccato il sistema della cessione dei crediti d’imposta. 

Il ministro dell’Economia e delle Finanze ha ragione: il Superbonus avrà un peso importante sulle risorse a disposizione quest’anno e nei prossimi anni. Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), al 31 agosto 2023 il totale delle detrazioni maturate con il Superbonus per i lavori conclusi aveva raggiunto 76 miliardi di euro, circa 25 miliardi di euro in più rispetto al valore raggiunto alla fine di dicembre 2022. 

Questo dato è in linea con l’aumento del deficit di 0,8 punti percentuali di cui si parla nel comunicato stampa pubblicato dal governo. Il peso si concentra tutto sul 2023 perché, come abbiamo spiegato in passato, i crediti fiscali concessi dallo Stato per il Superbonus vanno contabilizzati nell’anno in cui sono approvati, e non in quello in cui vengono effettivamente utilizzati.

L’andamento del debito pubblico

Il ministro dell’Economia e delle Finanze ha anche sottolineato che il rapporto tra il valore del debito pubblico e quello del Pil rimarrà sostanzialmente costante nel corso dei prossimi tre anni per due motivi. Da un lato c’è il peggioramento delle prospettive economiche, che con tutta probabilità porterà al ribasso le stime di crescita dell’economia italiana. Dall’altro lato c’è il peso del Superbonus, che verrà ripagato in quattro anni con rate da 20 miliardi circa ogni anno a partire dal 2024. La maggior parte dei crediti concessi con il Superbonus, infatti, viene restituita dallo Stato nell’arco di cinque anni.

Secondo Giorgetti, senza il Superbonus il rapporto debito/Pil sarebbe calato di un punto percentuale all’anno nei prossimi anni. Anche questa affermazione è sostanzialmente corretta: 20 miliardi di euro rappresentano infatti circa l’1 per cento del Pil italiano. Quello che il ministro ha omesso, però, è che il peso del Superbonus sui conti pubblici era ben noto da tempo: già il governo Draghi aveva provato a limitarne l’impatto e il governo Meloni non ha fatto molto per evitare di sforare il tetto di deficit che si era imposto (4,5 per cento).

Nel corso di quest’anno l’esecutivo guidato da Meloni non ha introdotto misure particolarmente costose per i conti pubblici, ma non ha comunque rinunciato a spendere qualche miliardo per finanziare alcune promesse elettorali. Per un governo in carica, è assolutamente legittimo decidere di spendere delle risorse per portare avanti la propria agenda politica, ma è difficile definire alcune di queste spese come inevitabili.

Con la legge di Bilancio per il 2023, per esempio, è stata aumentata la soglia di accesso al regime dei minimi, la cosiddetta “flat tax” per le partite Iva con ricavi fino a 85 mila euro, con un costo per lo Stato superiore al miliardo di euro per il triennio 2023-2025. A maggio il governo ha poi deciso di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale, rispetto a quanto già fatto con la legge di Bilancio, con una spesa temporanea di circa 4 miliardi di euro. Anche questa era una priorità politica della maggioranza.

Insomma, il governo ha ragione a sottolineare il peso del Superbonus sui conti pubblici, ma si potrebbe fare presente che, volendolo, questo impatto si sarebbe potuto limitare, mentre l’esecutivo ha preferito affrontare alcune spese che hanno contribuito a peggiorare la situazione di bilancio nel corso di quest’anno.

Una previsione ottimistica?

Un punto poco chiaro nella presentazione della Nadef è la previsione sulla crescita nel 2024. Il governo prevede che nel 2023 il Pil italiano crescerà dello 0,8 per cento rispetto al 2022, una stima in linea con le previsioni di altre istituzioni internazionali, come l’Ocse, che ha pubblicato proprio questo mese le sue stime più aggiornate. Per l’anno prossimo, però, la previsione del governo sembra sopravvalutata: il +1,2 per cento presentato nella Nadef è lontano dal +0,8 per cento previsto dall’Ocse o dal +0,9 per cento stimato a luglio dal Fondo monetario internazionale. Secondo la Commissione europea, nel 2024 la crescita italiana si fermerà al +0,8 per cento. 

È possibile che il governo abbia migliorato un po’ la stima di crescita del 2023 per avere più margine sul deficit del prossimo anno. Il rapporto deficit/Pil, infatti, non cala solo se si riduce il deficit, ma anche se cresce il denominatore, ossia il Pil. Una previsione di crescita migliore quindi vorrebbe dire un rapporto deficit/Pil più basso, a parità di risorse prese a prestito. Il deficit per il 2024, che è già stato impostato al 4,3 per cento, rischia quindi di essere ancora più alto nel caso in cui non si raggiunga il tasso di crescita indicato dal governo nella Nadef. Una possibilità che, considerando le stime delle organizzazioni internazionali, sembra abbastanza probabile.

Resta da vedere se la Commissione europea, a cui è stata inviata la Nadef, approverà questa stima particolarmente positiva. Ricordiamo che l’Ue ha voce in capitolo sulle decisioni economiche dei 27 Stati membri per garantire l’integrità economica dell’Unione. Se dalla Commissione Ue dovesse arrivare una richiesta di modifica, le poche risorse a disposizione per la legge di Bilancio potrebbero diventare ancora meno.

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