È difficile dire se il sovraffollamento aumenta i suicidi in carcere

Secondo Nordio, i due fenomeni sono scollegati. Ma dai numeri e dagli studi emerge un quadro complicato
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Il 17 luglio, in un’intervista con il Corriere della Sera, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che i suicidi in carcere e il sovraffollamento carcerario sono «due problemi gravi, ma non connessi». «Anzi, paradossalmente il sovraffollamento è una forma di controllo: alcuni tentativi di suicidio sono stati sventati proprio dai compagni di cella», ha aggiunto Nordio. «È la solitudine che porta al suicidio. Ma soprattutto la mancanza di speranza e l’incertezza del domani. Molti si uccidono proprio quando è imminente la loro liberazione. Il sostegno psicologico è essenziale».

Nordio aveva già fatto una dichiarazione simile alla fine dello scorso dicembre, in un’intervista con Libero. «Il fenomeno dei suicidi è un fardello di dolore collettivo, e quando avviene in carcere lo sentiamo ancora più gravoso», aveva detto il ministro. «Tuttavia esso non è correlato al sovraffollamento, ma piuttosto alla solitudine, al dolore, alla mancanza di prospettive». 

In breve, secondo Nordio non è vero che c’è un collegamento tra quanto sono sovraffollate le carceri e i suicidi. Ma è davvero così? Il tema è complesso e delicato: per questo motivo la risposta a questa domanda deve tenere conto di più fattori.

I suicidi in carcere

Partiamo dai numeri. Dal 1° gennaio al 14 luglio 2025 41 persone sono morte in carcere per suicidio, secondo Ristretti Orizzonti, il giornale del carcere di Padova e dell’istituto di pena femminile di Venezia che dal 1992 raccoglie i dati su questo fenomeno, aggravatosi negli ultimi anni.

Nel 2024 è morto per un suicidio in media un detenuto ogni quattro giorni: in totale i suicidi sono stati 90. Questo numero è il più alto da quando sono disponibili i dati ed è il secondo peggiore in rapporto al numero di detenuti, dopo quello del 2022.
La gravità di questo fenomeno è ancora più evidente se si confronta la frequenza dei suicidi in carcere con quella nella popolazione generale. In base ai dati del Ministero della Giustizia, nel corso del 2024 gli istituti penitenziari italiani ospitavano in media 61.300 detenuti: dunque, lo scorso anno ci sono stati 14,7 suicidi ogni diecimila detenuti. Il numero di suicidi nella popolazione residente in Italia è nettamente più basso: è pari a 0,74 suicidi ogni diecimila abitanti, secondo i dati ISTAT più aggiornati. In altre parole, i suicidi sono circa 20 volte più numerosi tra i detenuti rispetto alla popolazione generale.

Le parole del Garante

Una prima indicazione per analizzare le parole di Nordio è contenuta in un rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, un organismo indipendente che pubblica periodicamente i dati sui morti di suicidio in carcere.

Secondo il Garante, nel 2024 sono morte per suicidio 83 persone detenute (questo numero è un po’ più basso di quello di Ristretti Orizzonti perché i criteri di conteggio sono leggermente diversi). Nel rapporto con tutti i dati, il Garante ha scritto che «è ipotizzabile che all’aumentare del sovraffollamento si possa associare un incremento» degli «eventi critici» in carcere. In particolare, questo aumento riguarderebbe gli eventi «espressione del disagio detentivo», tra cui gli «atti di aggressione, autolesionismo, suicidi, tentativi di suicidio, omicidio, manifestazione di protesta collettiva, aggressioni fisiche al personale di polizia penitenziaria e al personale amministrativo». 

Una tabella nel rapporto del Garante mostra che nel 2024 in 54 istituti penitenziari c’è stato almeno un suicidio: 51 di questi erano sovraffollati, soltanto tre no. In altre parole, quasi tutti i carceri dove si è suicidato almeno un detenuto contenevano più detenuti rispetto a quanto previsto dalla loro capienza regolamentare. In 22 di queste carceri, il sovraffollamento era superiore al 150 per cento: qui c’erano oltre 50 detenuti in più rispetto ai posti a disposizione. La tabella sembra supportare le parole del Garante citate in precedenza, secondo cui al crescere del sovraffollamento carcerario si può associare un aumento dei suicidi.

Qui va osservato, però, che la maggior parte delle carceri in Italia è sovraffollata: secondo il Ministero della Giustizia, oltre il 70 per cento degli istituti penitenziari ha più detenuti rispetto alla loro capienza regolamentare. Alla fine del 2024, i detenuti erano circa 62.500, a fronte di circa 51.200 posti disponibili: il cosiddetto “tasso di sovraffollamento” (il rapporto tra posti disponibili e detenuti presenti) era intorno al 120 per cento, una percentuale in crescita costante dal 2020 in poi.

Ma se si confronta il numero di suicidi in rapporto a quello dei detenuti con il sovraffollamento, si scopre che non c’è una relazione statisticamente significativa tra i due. Dal 2008 (primo anno per cui abbiamo i dati) in poi, i suicidi e il sovraffollamento non seguono lo stesso andamento: per esempio, negli ultimi anni ci sono stati più suicidi rispetto a periodi del passato in cui le carceri erano ancora più sovraffollate.

Che cosa dicono gli studi

Basta questo per dimostrare che non esiste una correlazione tra sovraffollamento e suicidi, come sostiene Nordio? La risposta è no: servono studi più rigorosi per capire, con maggiore certezza, se da un punto di vista statistico i due fenomeni non sono collegati. Alcuni studi di questo tipo sono stati pubblicati su riviste scientifiche, ma i risultati sono contrastanti.

Uno studio pubblicato nel 2017 su The Lancet Psychiatry spiega che «le caratteristiche individuali associate al suicidio in carcere suggeriscono che malattie psichiatriche, abuso di sostanze e autolesionismo ripetitivo sono fattori di rischio importanti e noti per il suicidio». «Tuttavia, si sa meno sui fattori legati al sistema carcerario e ai servizi sanitari, che potrebbero essere soggetti a interventi di sanità pubblica e misure politiche», hanno sottolineato i ricercatori, aggiungendo che «una preoccupazione recente riguarda il problema del sovraffollamento carcerario». A questo proposito, lo studio spiega che alcune ricerche condotte su vari Paesi hanno trovato (qui, qui, qui e qui) una correlazione positiva tra i suicidi e il sovraffollamento carcerario, mostrando che i primi crescono insieme al secondo (ma non che necessariamente ci sia un legame di causa-effetto). Altre ricerche invece hanno trovato (qui e qui) un legame opposto: al crescere del sovraffollamento, diminuirebbero i suicidi. Un’ipotesi suggerita dai ricercatori è la seguente: condividere una cella con un altro detenuto, anche se la cella è progettata per ospitare solo una persona, potrebbe avere un «effetto protettivo» contro il suicidio.

In generale, come spiega l’Organizzazione mondiale della sanità nelle sue linee guida per i giornalisti in tema di suicidio, «è scorretto suggerire che un solo fattore sia la causa del suicidio di una persona». «Il suicidio è sempre il risultato di molteplici fattori che si accumulano e si verificano contemporaneamente, portando a una situazione critica. Sebbene la motivazione dichiarata possa essere un elemento significativo che incide sul benessere della persona, ogni suicidio avviene all’interno di un insieme complesso e unico di circostanze personali. Per esempio, sarebbe errato affermare che una persona si sia tolta la vita esclusivamente a causa della fine di una relazione», ha sottolineato l’Organizzazione mondiale della sanità. «Semplificare le ragioni di un suicidio aumenta il rischio che persone vulnerabili, che vivono esperienze simili, si identifichino con chi si è tolto la vita, alimentando così pensieri e sentimenti suicidari».

Per quanto riguarda i suicidi in carcere, ogni struttura può avere problemi specifici, in cui il sovraffollamento è tra quelli che possono peggiorare le condizioni di detenzione, già difficili per vari fattori, come ha sottolineato più volte l’Associazione Antigone, che da oltre quarant’anni si occupa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario.

Le persone che si sono suicidate

Secondo i dati raccolti dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, quasi tutti i detenuti morti di suicidio nel 2024 erano uomini (81, a fronte di due donne). I morti di nazionalità straniera erano il 42 per cento, una percentuale più alta rispetto a quella della presenza di detenuti stranieri nelle carceri italiane, pari a circa il 31 per cento. Detto altrimenti, i suicidi sono più frequenti tra i detenuti stranieri rispetto ai detenuti italiani. 

Il 39 per cento delle persone morte di suicidio era in attesa del primo giudizio e dunque innocente in base alla Costituzione, secondo cui si è colpevoli solo dopo aver ricevuto una condanna definitiva.

Le carceri con più suicidi

Lo scorso anno il numero più alto di suicidi si è registrato negli istituti penitenziari di Verona, Prato, Genova Marassi e Napoli Poggio Reale, con quattro suicidi ciascuno. Tre suicidi ci sono stati in altre sei carceri: di Venezia Santa Maria Maggiore, Teramo, Pavia, Parma, Cagliari e Roma Regina Coeli.

Rispetto al numero dei detenuti, le carceri dove i suicidi sono stati più frequenti sono state quelle di Imperia (2,9 suicidi ogni cento detenuti), Livorno Gorgona (1,3 suicidi) e Venezia Santa Maria Maggiore (1,14).
Una prima versione di questo articolo è uscita l’8 gennaio 2025.

 

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Come chiedere aiuto

Se hai bisogno di aiuto, puoi chiamare il Telefono Amico Italia allo 02 2327 2327: è disponibile tutti i giorni, dalle ore 9 alle 24. Oppure puoi scrivergli su WhatsApp al +39 324 011 7252, tutti i giorni dalle ore 18 alle 21.

Puoi anche contattare l’associazione Samaritans allo 06 77208977, tutti i giorni dalle ore 13 alle 22. 

Se ti senti in una situazione di emergenza, puoi chiamare il 112.
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