Una questione di benefit
Gli studiosi concordano poi sul fatto che, in un sistema chiuso e regolamentato come quello sovietico, più che il salario la differenza tra i lavoratori era determinata dall’accesso o meno a una serie di benefit che lo Stato garantiva ad alcune fasce della popolazione. Voisin ha sottolineato che «la posizione sociale dell’individuo determinava l’accesso alla rete di distribuzione dei beni e dei prodotti di cui vi era scarsità, creando quindi una vera e propria “gerarchia del consumo” tra la popolazione».
Anche secondo Savino, oltre al salario, in Unione Sovietica esistevano altri tipi di vantaggi garantiti a certe categorie professionali: «Alcuni funzionari ricevevano in “comodato d’uso” una dacia, ossia un’abitazione in campagna, una macchina o un appartamento a Mosca, e questo era visto come un grande benefit fuori dallo stipendio. Ma va detto che se paragonati a quelli di oggi, questo tipo di privilegi fa ridere: Leonid Breznev, capo dell’Urss per quasi vent’anni, abitava in un appartamento, certo grande e ben arredato per gli standard dell’epoca, e aveva macchine occidentali, ma rispetto a quello che vediamo oggi con Putin possiamo dire che Breznev viveva da asceta».
I vantaggi derivanti dallo status sociale garantivano a certe fasce di cittadini condizioni di vita sopra la media. Per questo motivo anche secondo Andrea Graziosi, professore di storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli, la dichiarazione di Tajani è quantomeno «esagerata», dato che la società italiana contemporanea e quella dell’Urss di metà del secolo scorso non sono paragonabili.
«Faccio un esempio: se due persone prendono 100 rubli al mese, ma una ha accesso alle catene di negozi riservati ad alcune categorie professionali, dove a prezzi fissi e convenienti trova tutto quello che gli serve, i suoi 100 rubli varranno molto di più rispetto a quelli dell’altra persona che non può comprare da questi canali preferenziali», ha detto Graziosi a Pagella Politica. Graziosi ha precisato inoltre che negli anni ’70, nelle città di provincia dell’Urss, era per esempio difficilissimo trovare carne ai prezzi ufficiali nelle normali macellerie, e chi non aveva accesso ai negozi riservati doveva comprarla al mercato “libero”, cioè a prezzi tre o quattro volte superiori. «Questo non faceva altro che far esplodere differenze salariali all’apparenza minime, ma che invece generavano grandi disparità tra la popolazione».