Il salario minimo fa crescere la natalità?

Lo sostiene il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, ma i pochi studi scientifici sul tema dicono una cosa diversa
ANSA/GUIDO MONTANI
ANSA/GUIDO MONTANI
Il 4 luglio, in un’intervista con la Repubblica, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano (centrosinistra) ha difeso la proposta di introdurre un salario minimo in Italia, fissato per legge, dicendo che è una misura «necessaria» e «improrogabile». «Non capisco come un governo di destra, come quello guidato da Giorgia Meloni, non se ne renda conto», ha detto Emiliano, sostenendo che il salario minimo è tra le altre cose «una manovra contro la denatalità».

Abbiamo verificato che cosa dicono gli studi scientifici sul tema e in realtà le prove empiriche, per quanto limitate, dicono una cosa diversa.

I tassi di fecondità in Europa

La premessa alla base della tesi di Emiliano è piuttosto semplice. Sembra normale ipotizzare che molte persone decidano di non avere figli per ragioni economiche. In alcuni casi il salario minimo permetterebbe loro di avere una condizione economica migliore, magari più solida, incentivandole ad avere figli. Per sostenere questa tesi, però, servono i numeri. 

La prima tentazione è quella di confrontare i tassi di fecondità delle donne nei Paesi dove è in vigore il salario minimo con quelli dei Paesi sprovvisti di una misura di questo tipo. Il tasso di fecondità indica il numero medio di figli per donna. Secondo i dati Eurostat più aggiornati, nel 2021 l’Italia aveva un tasso di fecondità pari a 1,25, il terzo più basso tra i 27 Paesi dell’Unione europea, davanti a Spagna (1,19) e Malta (1,13). Entrambi questi due Paesi hanno un salario minimo. Gli altri quattro Paesi Ue senza questa misura sono Danimarca, Svezia, Finlandia e Austria, che hanno un tasso di fecondità compreso tra gli 1,7 e gli 1,5 nati per donna. Al primo posto c’è la Francia (1,84), dove esiste il salario minimo.

Questi dati non mostrano una dinamica chiara e anche se lo facessero andrebbero letti con molta cautela: la correlazione tra due variabili (presenza del salario minimo e alti tassi di fecondità) non necessariamente indica un rapporto di causa e effetto. La natalità è infatti condizionata da molti fattori, non solo economici, ma anche culturali e sociali.

Che cosa dicono gli studi

Per isolare con maggiore precisione la presenza di correlazioni e di possibili relazioni causali è necessario condurre studi scientifici, che attraverso sofisticati modelli statistici permettono di farsi un’idea più chiara del fenomeno oggetto di studio. A oggi la letteratura scientifica sui rapporti tra natalità e salario minimo è piuttosto scarna, a differenza di quella sugli impatti del salario minimo sul mondo del lavoro

Una ricerca pubblicata nel 2017 ha analizzato i dati trimestrali sulle nascite negli Stati Uniti, avvenute tra il 2003 e il 2014, da donne nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni. Lo studio ha calcolato che un aumento del salario minimo di un dollaro produce nei nove mesi seguenti un calo di circa 0,2 nascite ogni mille adolescenti, con una riduzione dunque del 2 per cento. In particolare gli effetti più significativi sono stati riscontrati nelle adolescenti ispaniche e in quelle bianche non ispaniche. «Nel 2014 sono nati 249.078 bambini da madri adolescenti. Un riduzione del 2 per cento implica all’incirca 5 mila nascite in meno», si legge nelle conclusioni dello studio.

Anche un’altra ricerca più recente, uscita nel 2021, ha notato un calo della natalità in relazione alla crescita del salario minimo. In questo studio sono stati analizzati quasi 400 aumenti del salario minimo introdotti tra il 1995 e il 2017 negli Stati Uniti. Qui è stata individuata l’associazione tra l’aumento di un dollaro del salario minimo e un calo delle nascite tra il 2,8 e il 3,4 per cento nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni, pari al 2,9 per cento tra i 20 e i 24 anni e un calo più piccolo, sebbene statisticamente significativo, tra i 25 e i 39 anni. Una delle ipotesi è che maggiori disponibilità economiche migliorino l’accesso alle cure e, tra le altre cose, ai contraccettivi. Altri studi hanno rivelato impatti positivi del salario minimo sulla salute, più in particolare sul peso dei bambini alla nascita.

Questi studi vanno presi con la dovuta cautela, essendo stati condotti negli Stati Uniti, un Paese per molti aspetti diverso dall’Italia. I dati mostrano comunque come la tesi di Emiliano non sia così solida come possa sembrare a prima vista. Un discorso analogo vale anche per la relazione tra precarietà e natalità: secondo vari studi, condotti in vari Paesi del mondo tra cui l’Italia, l’aumento dell’incertezza lavorativa può avere un effetto sull’abbassamento della fertilità delle famiglie, e quindi sulla crisi demografica. Nonostante questi risultati, è necessario comunque sottolineare che la letteratura scientifica sul tema è tutt’altro che definitiva.

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