Come la precarietà influenza la crisi demografica

Da anni gli economisti si interrogano su quale sia il legame tra l’incertezza economica e la natalità, con alcuni studi condotti proprio sull’Italia
ANSA
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In questi giorni la Commissione Affari sociali del Senato sta esaminando il decreto “Lavoro”, approvato il 1° maggio dal governo Meloni, che tra le altre cose mira a rendere più agevole il ricorso ai contratti a tempo determinato. Secondo i partiti di opposizione le nuove norme favorirebbero la precarietà, mentre il governo le ha difese, sostenendo che favoriscono l’occupazione.

Tra i più critici del decreto “Lavoro” c’è la segretaria del Partito democratico Elly Schlein, che di recente alla conferenza nazionale della Filcams Cgil, e in vari comizi elettorali, ha parlato di un «nesso stretto tra la crisi della natalità e la precarietà che colpisce soprattutto i giovani e le donne». Lo stesso concetto è stato ribadito l’11 maggio da Schlein durante l’evento “Stati generali della natalità”.

Da tempo il legame tra l’incertezza economica e il calo delle nascite è studiato dalle scienze sociali, in particolare dall’economia. Negli ultimi anni vari studi hanno indagato il nesso che esiste tra questi due fenomeni, anche in Italia.

Di che cosa stiamo parlando

Quando si parla di incertezza economica, si può fare riferimento a due concetti diversi tra loro, seppure collegati. Da un lato c’è la cosiddetta “incertezza macroeconomica”, che riguarda per esempio l’andamento dell’economia di un Paese. Se quest’ultima rallenta o entra in recessione, si hanno necessariamente prospettive incerte, con conseguenze sul mondo del lavoro e sulle scelte di vita delle famiglie. A livello teorico questo aspetto è stato ben compreso dagli economisti, sin dagli studi condotti tra gli anni Settanta e Ottanta dall’economista Gary Becker, i cui modelli teorici sono stati poi sviluppati nei decenni successivi. 

Molte ricerche empiriche hanno individuato legami causali tra l’incertezza legata all’andamento del ciclo economico e le nascite. Uno studio pubblicato nel 2015, realizzato da due ricercatori italiani, ha per esempio indagato il rapporto tra la crisi economica scoppiata nel 2008 e la natalità, con un effetto negativo della crisi sul numero di donne con figli.

Dall’altro lato c’è invece l’incertezza economica intesa come “incertezza lavorativa”. In questo caso gli studi fanno perlopiù riferimento a fenomeni circoscritti, come gli effetti delle riforme che hanno modificato il mercato del lavoro, aumentando il ricorso a contratti come quelli a tempo determinato.

Che cosa dicono gli studi

Il rapporto tra la natura dei contratti di lavoro e la natalità è stato indagato dagli economisti a livello italiano. Uno studio del 2012 ha mostrato, numeri alla mano, che l’impatto dell’incertezza lavorativa è correlato alle caratteristiche di due tipologie di nuclei familiari: da una parte la cosiddetta “famiglia tradizionale”, in cui solo l’uomo ha un lavoro sicuro e ben pagato, che però sta diventando sempre più rara nel nostro Paese; dall’altra parte le coppie in cui entrambi i partner hanno un lavoro, tipologia di nucleo familiare che sta diventando la più diffusa. Secondo lo studio, la sicurezza professionale di ambedue i partner è associata a una più elevata fertilità, intesa come una maggiore propensione ad avere figli. A un risultato simile è arrivato uno studio, pubblicato nel 2005, che si è occupato invece della situazione in Spagna. In questo caso la ricerca ha suggerito che i contratti precari degli uomini, più che quelli delle donne, hanno un impatto significativo sulla natalità.

Altri studi hanno individuato un rapporto meno solido tra i due fenomeni, ma è necessario ribadire che, dal punto di vista dell’identificazione dei rapporti di causa-effetto, alcune di queste ricerche potrebbero essere condizionate dai cosiddetti bias, ossia distorsioni nella metodologia con cui sono condotti. Per esempio le donne che desiderano avere figli potrebbero essere disposte ad accettare un lavoro precario pur di aumentare la disponibilità economica familiare o per conciliare il lavoro di cura, che ancora oggi ricade in larga parte sulle donne. 

Una ricerca del 2013 ha studiato la riforma del mercato del lavoro degli anni Novanta, che aveva ridotto la protezione dei lavoratori delle piccole e medie imprese. Anche in questo caso è stato stimato che l’aumento dell’incertezza lavorativa aveva avuto un impatto sulla fertilità delle famiglie.

Nel 2021 è stato invece pubblicato uno studio, condotto da tre ricercatori italiani, che ha indagato gli effetti del Jobs Act, ossia le riforme del mercato del lavoro introdotte dal 2014 in poi dal governo Renzi, sulle decisioni delle famiglie riguardanti la natalità. Tra le altre cose con il Jobs Act è stato eliminato l’obbligo di reintegro per i licenziamenti senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti. Grazie al fatto che questa modifica si applica soltanto a certe aziende, e non a tutte, i ricercatori hanno potuto analizzare con maggiore precisione gli effetti della misura. Secondo lo studio, con il Jobs Act le donne che lavorano in grandi imprese hanno registrato un calo di 1,4 punti percentuali della probabilità di avere figli. Questo effetto è stato più forte per le donne più giovani, per quelle senza figli, con basse qualifiche, bassi salari e per quelle che vivono nelle regioni meridionali del Paese.

Ricapitolando: diversi studi internazionali, condotti prendendo come esempio anche il caso italiano, hanno evidenziato come l’aumento dell’incertezza lavorativa (e quindi della precarietà) possa avere un effetto sull’abbassamento della fertilità delle famiglie (e quindi sulla crisi demografica). Nonostante questi risultati, è necessario comunque sottolineare che la letteratura scientifica sul tema è tutt’altro che definitiva. Per esempio un aspetto da indagare maggiormente riguarda il modo in cui i cittadini e i lavoratori (i cosiddetti “agenti economici”, come sono chiamati dagli economisti) adatteranno le loro scelte in materia di fertilità con il consolidarsi di un mercato del lavoro più flessibile.

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