Quante persone prenderebbero il salario minimo

Circolano molte stime, tra cui quelle dell’Inps, ma vanno lette con attenzione
Ansa
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Il salario minimo è senza dubbio una delle misure più discusse in questo primo anno di governo Meloni. La sua introduzione è difesa con insistenza da quasi tutti i partiti di opposizione, che hanno presentato alla Camera una proposta di legge per fissare la retribuzione minima a 9 euro lordi l’ora. Ma non è del tutto chiaro quanti sarebbero i lavoratori interessati da questa misura. 

Nell’estate del 2022, presentando il rapporto annuale dell’Inps, l’allora presidente dell’istituto Pasquale Tridico aveva dichiarato (pag. 9) che oltre 4,3 milioni di lavoratori in Italia guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora. Lo scorso luglio, in un’audizione in Parlamento, l’Istat ha stimato che «i rapporti con retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi coinvolgono circa 3 milioni di lavoratori». Il nuovo rapporto annuale dell’Inps, presentato il 13 settembre, parla (pag. 102) invece di soli 20 mila lavoratori che non supererebbero la soglia del salario minimo. Come si spiega questa differenza così grande tra i numeri?

Le due stime dell’Inps

Prendiamo gli ultimi due rapporti annuali dell’Inps: la platea dei lavoratori che beneficerebbero di un salario minimo è differente perché, innanzitutto, il modo in cui è definito il salario minimo nei due testi non coincide. 

Nel 2022 l’istituto guidato da Tridico, nominato presidente dal primo governo Conte, considerava una soglia pari a 9 euro lordi l’ora, escludendo la tredicesima. Fosse introdotta in Italia una soglia di questo tipo, pari a circa il 75 per cento del salario mediano italiano, sarebbe la terza più alta tra quelle in vigore nei Paesi del mondo con un salario minimo, fissato in media a un valore sotto al 60 per cento del salario mediano. Nel suo ultimo rapporto l’Inps, ora guidata dalla commissaria straordinaria Micaela Gelera, nominata dal governo Meloni, ha considerato una soglia più bassa, pari al 60 per cento del reddito mediano, in linea con la dottrina economica e con quanto fatto da Paesi simili all’Italia. Sembrerebbe quindi che la ragione stia dalla parte della nuova dirigenza dell’Inps, ma le cose non stanno del tutto così.

Le differenze da tenere a mente

Nello stimare la possibile platea dei lavoratori interessati dal salario minimo, il rapporto di quest’anno si concentra solo sui lavoratori che hanno un salario inferiore al minimo lavorando senza interruzioni per tutto l’anno. L’Inps ha preso in considerazione solo le retribuzioni orarie di ottobre 2022 e non ha considerato, per esempio, chi in quel mese si trovava in cassa integrazione parziale, chi era assente dal lavoro per malattia o maternità, i lavoratori intermittenti, in part-time e quelli in apprendistato. Dei circa 164 mila lavoratori full-time con una retribuzione inferiore alla soglia infatti, l’Inps conta solo i 51 mila «senza assenze temporanee» (31 per cento del totale). 

L’Inps ha così deciso di concentrarsi sui lavoratori considerati “poveri” solo per la loro bassa retribuzione, e non per la loro bassa intensità di lavoro (ossia per il numero di ore lavorate inferiore al full-time). È necessario però contestualizzare questa scelta di metodo per capire perché i lavoratori interessati dal salario minimo potrebbero essere molti di più dei 20 mila stimati dall’Inps. 

Innanzitutto, dei 51.400 lavoratori rilevati come working poor a ottobre 2022, solo 20 mila sono stati considerati potenziali beneficiari del salario minimo perché gli altri 31 mila hanno raggiunto una retribuzione superiore al 60 per cento della mediana nel corso di tutto l’anno. Si tratterebbe quindi di working poor temporanei. È scorretto però pensare che, dato che il salario medio annuale è stato sopra la soglia, allora il minimo non avrebbe interessato questi lavoratori. Stiamo infatti parlando di persone che hanno avuto un impiego senza lunghe assenze per malattia o altri motivi, eppure sono state pagate per ogni ora di lavoro meno di quanto, secondo gli standard imposti dall’Inps nell’analisi, sarebbe considerata una retribuzione dignitosa. Almeno nel mese di ottobre dello scorso anno, quindi, il salario minimo avrebbe interessato più di 50 mila persone anziché 20 mila.

L’Inps ha poi deciso di escludere i lavoratori intermittenti perché tendenzialmente non hanno orari regolari e spesso lavorano meno ore rispetto a un dipendente full-time. Questa assunzione sembra essere troppo generosa: esistono persone che guadagnano 25 euro l’ora, lavorando però solo un’ora al giorno, ma è anche vero che molti di coloro che svolgono un impiego intermittente sono pagati meno del 60 per cento della retribuzione mediana. Dati precisi non ce ne sono, ma supponiamo che questa seconda categoria rappresenti un terzo degli intermittenti: in questo caso le persone interessate dal salario minimo sarebbero altre 37 mila.

Va considerata anche la categoria degli apprendisti. Secondo l’Inps le loro retribuzioni sarebbero al di sotto della soglia del salario minimo a causa delle grosse agevolazioni su imposte e contributi che ricevono. La retribuzione lorda degli apprendisti, infatti, tende a essere più bassa perché i contributi a carico di azienda e lavoratori sono spesso ridotti di molto o azzerati per incentivare le assunzioni dei giovani lavoratori. Il netto, però, rimane in linea rispetto a livelli che normalmente corrisponderebbero a un lordo superiore a 9 euro l’ora. Anche questo è possibile, ma la soglia del salario minimo indicata dall’Inps è piuttosto bassa ed è improbabile che siano in molti a stare al di sotto solo per questa ragione. Supponiamo che siano circa metà: l’altra metà sarebbe quindi considerata come beneficiaria del salario minimo. Sono altre 48 mila persone.

Inoltre, nelle stime dell’Inps, ci sono i lavoratori part-time che sono classificati tra i working poor. Sono più di 500 mila, a cui vanno sottratti i 18 mila apprendisti in part-time, che abbiamo già considerato. In totale rimangono 498.700 working poor in part-time. L’Inps ha deciso di escludere questa tipologia contrattuale perché questi lavoratori non sarebbero in questa condizione se lavorassero a tempo pieno. È vero, la loro condizione dipende anche dal fatto che non lavorano tutto il giorno, ma sarebbe sbagliato dare per scontato che tutti questi occupati riceverebbero una retribuzione superiore al minimo se passassero a un full-time. Anzi, è la stessa Inps a identificarli come working poor utilizzando una soglia diversa (24,9 euro al giorno, contro i 48,3 per i full-time) proprio perché lavorano meno ore. Supponendo anche che il rapporto tra part-time temporaneamente assenti, ossia in malattia o in maternità o simili, e totale dei lavoratori in part-time sia uguale a quello dei full-time (31 per cento circa), gli occupati in questa categoria che avrebbero diritto al salario minimo sarebbero comunque 155 mila.

Tiriamo le somme

Ricapitolando: con una stima molto conservativa, possiamo dire che a ottobre 2022 gli occupati che avrebbero beneficiato di un salario minimo pari al 60 per cento della retribuzione mediana sarebbero circa 290 mila. Considerando tutti i working poor in part-time, il numero salirebbe a circa 635 mila. Questo numero è sì più basso degli oltre 4 milioni ipotizzati dall’Inps l’anno scorso, quando però si era usata una soglia del salario minimo più alta, ma è comunque oltre 30 volte tanto quanto indicato nel rapporto annuale di quest’anno.

Anche senza considerare gli apprendisti e i lavoratori intermittenti, sarebbero comunque 550 mila le persone con un’occupazione “stabile” (ossia con un lavoro regolare nella formula di 40 ore la settimana o 20 ore nel caso di part-time) che riceverebbero una paga inferiore al 60 per cento del reddito mediano. Come sottolineato dal quotidiano Il Foglio, il mese di ottobre, su cui si basano le nuove stime dell’Inps, è un mese con pochi lavoratori stagionali. Un’analisi su un periodo diverso, magari sui mesi estivi del 2022, avrebbe probabilmente individuato una platea di beneficiari del salario minimo più alta.

In conclusione, chi è lavoratore povero spesso non lo è solo ed esclusivamente per la retribuzione bassa: ma questo non significa necessariamente che un salario minimo non impatterebbe sul benessere di persone che si trovano in povertà lavorativa anche, ma non solo, per il basso livello dei salari.

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