No, non potremo sapere lo stipendio dei nostri colleghi

Da giorni si parla di una direttiva europea sulla trasparenza salariale, ma i suoi contenuti sono più sfumati di come sono stati raccontati e il provvedimento non è ancora in vigore in Italia
Ansa
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Da qualche giorno si è diffusa la notizia secondo cui grazie a una direttiva europea sarà possibile conoscere lo stipendio dei propri colleghi, abolendo di fatto quello che è stato definito “segreto salariale”. In realtà le cose non stanno proprio così. Il provvedimento approvato dal Parlamento europeo non è una legge vera e propria, il suo campo d’azione è molto più sfumato di come è stato raccontato e per entrare in vigore nel nostro Paese servirà ancora del tempo, complice la posizione assunta dal governo italiano.

Che cos’è una direttiva europea

Innanzitutto bisogna chiarire che le direttive UE sono atti giuridici che non hanno immediata applicazione, ma stabiliscono degli obiettivi generali che gli Stati membri devono raggiungere entro un certo termine. I modi con cui tali obiettivi vengono raggiunti sono lasciati alla discrezione dei singoli Paesi Ue, che devono approvare autonomamente le norme nazionali necessarie per dare attuazione alla direttiva. Ricapitolando: il fatto che la direttiva europea in questione sia stata approvata non significa dunque che il suo contenuto sia da subito vincolante nel nostro Paese. Ma questa non è l’unica imprecisione nel racconto fatto in questi giorni sul provvedimento. 

La direttiva sulla trasparenza salariale

La direttiva europea al centro del dibattito è la n. 2023/970 e, come si legge nell’intestazione, ha l’obiettivo di «rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione». Questa direttiva è stata approvata definitivamente il 10 maggio ed è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 17 maggio, più di tre mesi fa. 

Non è chiaro perché il suo contenuto sia diventato un caso mediatico proprio adesso, ma ad attirare l’attenzione sul provvedimento è stato di recente il quotidiano Libero, che nella sua edizione cartacea del 22 agosto ha pubblicato a pagina 13 un articolo dal titolo «Via il segreto sulle paghe dei colleghi». In seguito il tema è stato ripreso da diverse altre fonti stampa

Gli stipendi dei colleghi

Al di là delle motivazioni per cui è diventata virale la notizia, il testo della direttiva non tratta il tema del segreto salariale ma quello più ampio della «trasparenza retributiva», cui è dedicato il secondo capo del testo. Nella direttiva si afferma infatti per esempio che i candidati a un impiego hanno diritto a ricevere dal potenziale datore di lavoro una serie di informazioni, come la retribuzione iniziale e i criteri utilizzati per determinarla, ma anche il diritto di richiedere informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. La ripartizione per sesso serve per evidenziare l’eventuale divario retributivo tra lavoratori di genere femminile e lavoratori di genere maschile presenti all’interno del luogo di lavoro. Secondo la direttiva dovranno essere gli stessi datori di lavoro a fornire in modo periodico informazioni sui divari retributivi presenti o meno all’interno della loro organizzazione.

Lo scopo della direttiva è quindi quello di combattere la disparità salariale ingiustificata, non di permettere ai lavoratori di conoscere lo stipendio dei colleghi, come lasciato intendere da diverse fonti stampa in questi giorni. Secondo il testo del documento, «le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative» necessarie per rispettare la direttiva vanno attuate dai singoli Paesi Ue entro il 7 giugno 2026. In altre parole la direttiva non ha nessun effetto immediato nel nostro Paese e il governo italiano ha quasi tre anni di tempo per attuarla. 

Il dibattito in Italia

Riguardo la direttiva sulla trasparenza salariale, il 29 giugno la deputata il gruppo di Alleanza Verdi-Sinistra alla Camera ha presentato un ordine del giorno durante la discussione del disegno di conversione del decreto “Lavoro”, il provvedimento che tra le altre cose ha introdotto le nuove misure che sostituiranno il reddito di cittadinanza. Gli ordini del giorno sono atti di indirizzo politico con cui i parlamentari chiedono al governo di intervenire su questioni specifiche, devono essere messi ai voti ma non hanno lo stesso valore di una legge. Anzi: gli ordini del giorno sono atti secondari, che non vincolano in alcun modo il governo a rispettarli, e hanno un ruolo più che altro di carattere politico. 

L’ordine del giorno presentato da AVS, a prima firma della deputata Francesca Ghirra, chiedeva al governo di adottare «misure concrete e specifiche» per combattere il divario salariale di genere, di riconoscere a tutti gli effetti la figura dei cosiddetti caregiver, ossia i familiari che prestano cure a minori, anziani, malati o disabili e infine di attuare la direttiva europea sulla trasparenza dei salari, adeguando la legislazione nazionale. L’ordine del giorno è stato respinto con 153 voti contrari, 108 favorevoli e 7 astenuti. I voti contrari sono arrivati dai deputati dei partiti di centrodestra, mentre hanno votato a favore gli esponenti di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Azione-Italia Viva e Alleanza Verdi-Sinistra. Alcuni deputati di Forza Italia invece si sono astenuti.

 «Durante la discussione sull’ordine del giorno la viceministra del Lavoro e delle Politiche sociali Maria Teresa Bellucci (Fratelli d’Italia) ha espresso parere favorevole alle nostre prime due richieste, mentre ha detto che il governo è contrario alla terza richiesta, quella sulla direttiva per la trasparenza sui salari sostenendo che la direttiva dovesse ancora essere approvata», ha raccontato a Pagella Politica Ghirra. Questa versione è confermata dal resoconto stenografico della seduta della Camera del 29 giugno scorso. In quell’occasione, Bellucci aveva detto che la direttiva «nella ratio, è condivisibile», ma il governo è contrario perché dopo «alcuni approfondimenti» ha verificato che «la direttiva è ancora in una fase di approvazione e, quindi, di definizione». Come abbiamo detto in precedenza la direttiva risulta però approvata dal Parlamento Europeo già dal 10 maggio scorso, e dunque prima della discussione dell’ordine del giorno nel Parlamento italiano. 

Secondo alcuni esponenti dei partiti di opposizione, tra cui Ghirra, il governo ha espresso parere contrario al recepimento della direttiva per via della divisione tra i partiti di centrodestra durante la discussione del provvedimento nel Parlamento europeo. Il 17 marzo scorso la direttiva è stata approvata dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e dalla Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo: in quell’occasione, i parlamentari europei di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia membri delle due commissioni hanno votato in maniera diversa. Il parlamentare europeo Fratelli d’Italia Giuseppe Milazzo ha votato contro, quelli della Lega si sono astenuti, mentre la parlamentare europea di Forza Italia Isabella Adinolfi ha votato a favore. 

In ogni caso, la direttiva sulla trasparenza dei salari dovrà essere attuata dall’Italia entro il 7 giugno 2026 e il governo dovrà dunque affrontare la tematica, pena il rischio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Le procedure di infrazione sono uno strumento con cui la Commissione europea garantisce il rispetto del diritto comunitario. In pratica, con la procedura di infrazione la Commissione contesta a uno Stato membro il mancato rispetto o la mancata attuazione di una norma europea e, se questo Stato non si adegua al diritto europeo, applica una sanzione. 

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