Nove euro l’ora è il valore “giusto” per il salario minimo?

È la soglia prevista nella proposta di legge presentata dalle opposizioni, ma non tutti sono d’accordo. Abbiamo visto che cosa dice la ricerca economica
Ansa
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Uno degli aspetti più dibattuti quando si parla di salario minimo è a quale livello fissare la soglia sotto cui un datore di lavoro non può pagare un suo dipendente. In questi giorni la Commissione Lavoro della Camera sta esaminando la proposta di legge dei partiti di opposizione (fatta eccezione per Italia Viva) per introdurre in Italia una retribuzione minima oraria pari a 9 euro lordi. La proposta è nata mettendo insieme diversi testi già presentati ed è un tentativo di fare fronte comune su una misura considerata fondamentale da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, Azione e Più Europa. I partiti di centrodestra che sostengono il governo Meloni hanno criticato il testo e hanno presentato un emendamento per sopprimerlo. Nei giorni scorsi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha però aperto al dialogo e lunedì 24 luglio il governo ha proposto di ritirare l’emendamento, rimandando comunque la discussione a settembre. Vari esponenti delle opposizioni, tra cui la segretaria del PD Elly Schlein, sono però contrari a questa ipotesi.

Al di là della discussione tra i partiti, alcuni critici del salario minimo sostengono che è importante valutare bene la soglia minima di retribuzione da fissare. Per esempio, come sottolineato dal deputato Luigi Marattin (Italia Viva), un salario minimo a 9 euro lordi l’ora in Italia sarebbe tra i più alti al mondo. Ma allora quale dovrebbe essere il livello ideale?

Il reddito mediano

Non esiste una risposta univoca a questa domanda, ma una parte consistente degli economisti concorda sul fatto che il salario minimo dovrebbe valere intorno al 60 per cento del reddito mediano, una soglia indicativa cui hanno fatto riferimento anche i relatori della direttiva Ue sul salario minimo, approvata a ottobre 2022. Ma da dove arriva questo numero? Per prima cosa, l’utilizzo del reddito mediano, ossia il livello che divide in due i lavoratori – metà guadagna di più, l’altra metà di meno – permette una stima più accurata rispetto al reddito medio: la media può infatti essere distorta da valori molto alti o molto bassi. Per esempio, se nove persone guadagnano 100 euro e una 100 mila, il reddito medio sarà pari a 10.090 euro, mentre quello mediano, più indicativo della popolazione generale al di là delle eccezioni, sarà pari a 100.

La percentuale del 60 per cento deriva invece dalla definizione di povertà lavorativa. Si trova in povertà lavorativa chi, nonostante abbia un’occupazione, non riesce a raggiungere con il proprio stipendio un reddito pari al 60 per cento del reddito mediano. Questa definizione è molto simile a quella di povertà relativa, che può però essere sofferta anche da chi non ha un lavoro. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), la povertà relativa è la circostanza in cui le persone non possono permettersi di partecipare in modo attivo alla società e di beneficiare delle attività e delle esperienze che la maggior parte delle persone dà per scontate. In sostanza, la soglia del 60 per cento indica la condizione per cui non ci si trova in povertà assoluta, cioè non si hanno abbastanza risorse per acquistare quei beni e servizi considerati essenziali, ma comunque non si ha ancora un reddito sufficiente per partecipare in modo attivo alla vita sociale. 

Secondo i sostenitori di questa soglia, una retribuzione minima al 60 per cento del salario mediano permetterebbe di evitare la povertà lavorativa, dato che nessun lavoratore a tempo pieno si troverebbe in condizione di povertà relativa, senza però creare distorsioni di mercato legate a un minimo troppo alto. Per quanto possa sembrare un’ottima soluzione, infatti, impostare un salario minimo molto alto rischierebbe di mettere in difficoltà le imprese. Soprattutto per i lavori a basso valore aggiunto, cioè quelle occupazioni che non richiedono grande produttività, un salario minimo troppo alto rischierebbe di rendere troppo costoso il lavoro, con gli imprenditori che si limiterebbero a rinunciare alle assunzioni o che deciderebbero di aggirare il salario minimo assumendo in nero.

L’Ilo ha comunque messo in evidenza che è in diversi Paesi la soglia del salario minimo viene aggiornata periodicamente, per adeguarla all’inflazione, ossia all’aumento dei prezzi. Secondo l’Ilo, la soglia del salario minimo andrebbe aggiornata ogni anno in periodo di bassa o moderata inflazione, aumentando poi la frequenza nei casi di inflazione più elevata. L’aggiornamento potrebbe essere semplicemente agganciato all’inflazione (indicizzazione), ma questa soluzione non è del tutto efficiente. Un adeguamento automatico rischia di generare la cosiddetta spirale prezzi-salari: le aziende aumentano i prezzi per mantenere i propri margini di profitto e i salari (che sono i prezzi del lavoro) si adeguano, ma questo aumenta i costi delle aziende, che decidono di aumentare ulteriormente i prezzi per proteggere i margini, e così si cade in una spirale. 

Nel caso italiano, il testo della proposta di legge presentato dai partiti di opposizione prevede l’aggiornamento della soglia del salario minimo ogni anno, e dovrà essere stabilito da una commissione di esperti coordinata dal Ministero del Lavoro.

Da dove vengono i 9 euro 

Per quanto riguarda i 9 euro lordi l’ora, in un’intervista con il Corriere della Sera, il leader di Azione Carlo Calenda ha spiegato che questa soglia è stata calcolata «precisamente sul 50 per cento del salario medio adeguato al 17 per cento dell’inflazione del 2022 sui redditi bassi». Come detto in precedenza, però, il salario medio non sempre è un parametro affidabile per questo tipo di calcolo. Inoltre, aggiustare direttamente un parametro di salario all’inflazione rischia di sovrastimare l’effettiva crescita dei redditi da lavoro in un anno. Non a caso, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) i salari nominali sono cresciuti dell’1,6 per cento nel 2022 (-7,3 per cento in termini reali, cioè al netto dell’inflazione), ben al di sotto del dato indicato da Calenda.

Secondo il rapporto annuale Inps del 2022, il salario mediano dei dipendenti in Italia era di circa 12,86 euro lordi l’ora nel 2021. Questo significa che, rispettando la soglia del 60 per cento, la retribuzione minima dovrebbe valere circa 7,70 euro lordi l’ora, il 14 per cento in meno rispetto a quanto indicato nella proposta di legge presentata dalle opposizioni. Considerando anche l’inflazione nell’ultimo anno, il salario minimo oggi potrebbe valere poco meno di 8 euro lordi l’ora.

Al di là dei numeri, è importante sottolineare come in molti Paesi il salario minimo non sia stabilito precisamente da una legge. Questo compito può essere infatti assegnato a un’apposita commissione indipendente di esperti. È il caso della Germania, che ha da poco aumentato la propria retribuzione minima in risposta all’inflazione, prima a 12 euro a ottobre 2022 e poi a 12,41 euro a partire dal 2024. Questa scelta, suggerita nel nostro Paese da partiti come Italia Viva, permette sia di garantire una tutela certa ai lavoratori, sia di evitare che la politica utilizzi il salario minimo per scopi elettorali, per esempio aumentandolo poco prima delle elezioni.

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