Perché i giovani rischiano di non andare mai in pensione

Il ministro dell’Economia Giorgetti ha ragione: il sistema pensionistico italiano non è sostenibile «in questo quadro demografico». Ecco i motivi e le possibili soluzioni 
Ansa
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Lo scorso 17 luglio, rispondendo al deputato Luigi Marattin (Italia Viva) durante un question time alla Camera, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è tornato ad affrontare il tema delle pensioni. Più nel dettaglio, Giorgetti ha detto che «nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale» in Italia. 

Ma è vero che il nostro sistema pensionistico «non è sostenibile» da un punto di vista economico nel lungo periodo e che una delle ragioni principali è proprio l’andamento demografico italiano? In breve: la risposta è sì. E l’unica soluzione per risolvere il problema non è una nuova riforma del sistema pensionistico, ma un intervento proprio sul quadro demografico del nostro Paese.

La sostenibilità del sistema pensionistico italiano

In Italia le pensioni sono finanziate e pagate a chi ne ha diritto secondo un sistema “a ripartizione”. In poche parole, le pensioni che vengono erogate oggi non sono finanziate con i contributi versati in passato dai pensionati attuali, ma da quelli che sono pagati oggi da chi lavora. In parole semplici, possiamo dire che chi è occupato oggi paga in anticipo per poter entrare in futuro nella categoria dei pensionati, che sarà sostenuta a sua volta dalle pensioni di chi sarà sul mercato del lavoro nei prossimi anni. 

La principale alternativa a questo sistema è il sistema pensionistico a capitalizzazione, che prevede invece quello che in molti considerano il sistema in vigore: chi lavora versa contributi, che vengono messi da parte e poi “restituiti” sotto forma di rendita pensionistica una volta che si va in pensione. 

Durante il question time alla Camera, Giorgetti ha fatto riferimento al fatto che nessun sistema può essere sostenibile con il nostro quadro demografico e questo è particolarmente evidente nel sistema a ripartizione: se le pensioni di oggi devono essere finanziate da chi lavora oggi, è importante che ci siano abbastanza lavoratori in proporzione ai pensionati per garantire questo finanziamento. Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Inps pubblicato a settembre 2023, nel 2022 l’istituto di previdenza ha erogato oltre 22 milioni di pensioni per 16,7 milioni di pensionati (ciascuno può anche avere più di una pensione, per esempio da lavoro e d’invalidità o da superstite, la cosiddetta “reversibilità”), a fronte di circa 23,8 milioni di occupati in Italia alla fine dello stesso anno. 

Insomma, già allo stato attuale il numero di lavoratori e il numero di pensioni quasi combacia. Questo è un problema: solo una parte della retribuzione delle persone occupate, infatti, finisce nel pagamento dei contributi, che già oggi non sono abbastanza per finanziare tutti i trattamenti pensionistici. Nel 2022 l’Inps ha dichiarato infatti di spendere circa 315 miliardi di euro nell’erogazione di trattamenti pensionistici, a fronte di 257 miliardi di entrate contributive. Questa differenza di circa 150 miliardi deriva dal fatto che non tutte le pensioni riguardano persone che hanno versato contributi lavorando, ma come anticipato ci sono anche le prestazioni assistenziali, come le pensioni di invalidità. Un ammanco esiste comunque anche nelle pensioni “classiche”, quelle ottenute lavorando e versando contributi: in totale, nel 2022, sono stati spesi 283 miliardi di euro per i trattamenti previdenziali (le pensioni da lavoro), a fronte per l’appunto di versamenti di contributi pari a 257 miliardi, con una differenza di 26 miliardi di euro.

Questo ammanco è coperto con la spesa pubblica: come si legge sempre nell’ultimo rapporto dell’istituto di previdenza, nel 2022 l’Inps ha ricevuto finanziamenti dal bilancio dello Stato pari a 157 miliardi di euro per la «gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali». In altre parole, l’Inps riceve dallo Stato finanziamenti per pagare non solo le pensioni assistenziali, ma anche le pensioni da lavoro.

Il peggioramento della situazione in futuro

Se già oggi l’Inps non riesce a sostenere il sistema pensionistico in maniera autonoma, in futuro la situazione è destinata a peggiorare. Come riportato correttamente da Giorgetti, il quadro demografico italiano non offre infatti prospettive molto incoraggianti.

Secondo Eurostat, l’Italia è il Paese con la popolazione più anziana dell’Unione europea, con un’età mediana di 48,4 anni, i pensionati sono per l’appunto 16 milioni (il 27 per cento della popolazione) e, soprattutto, i giovani sono sempre meno. Le persone in età da lavoro (15-64 anni) hanno raggiunto il picco nel 1992, quando rappresentavano il 69 per cento della popolazione, mentre oggi sono circa il 62 per cento. Sempre secondo Eurostat, nel 2023 l’Italia era al secondo posto nell’Ue dietro al Portogallo per quanto riguarda l’old-age dependency ratio, ossia il rapporto tra il numero di persone con più di 65 anni di età e il numero di persone tra i 15 e i 64 anni, quelle di solito considerate in età lavorativa. Più è alto l’old-age dependency ratio, più la popolazione di uno Stato o di una regione è sbilanciata verso gli anziani. Nell’intera Unione europea l’old-age dependency ratio è pari al 33,4 per cento, mentre in Italia è al 37,8 per cento. 

In questo quadro, la sostenibilità del sistema pensionistico è destinata a peggiorare: secondo le stime del governo Meloni, contenute all’interno della Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) del 2023, la spesa pensionistica in percentuale al Pil crescerà almeno fino al 2045, quando inizierà poi a calare. Il cambio di rotta avverrà sia per effetto di una progressiva riduzione della fascia di popolazione dei cosiddetti “Boomer” (le persone che hanno oggi tra i 52 e i 70 anni), sia per l’effetto delle riforme che hanno limitato i trattamenti pensionistici insostenibili economicamente, come la cosiddetta “riforma Fornero” del 2012. Queste previsioni sono state sostanzialmente confermate dal governo anche nel Documento di Economia e Finanza per il 2024, approvato lo scorso aprile. Nel frattempo, però il “buco” tra le prestazioni erogate dall’Inps e le entrate contributive si allargherà nei prossimi anni, con sempre più pensionati e sempre meno lavoratori a finanziare i loro assegni.

Le possibili soluzioni

Più che una riforma complessiva del sistema pensionistico, che al momento appare piuttosto complicata, la soluzione a questo problema potrebbe arrivare con una correzione proprio del quadro demografico. 

La riforma Fornero, che prende il nome da Elsa Fornero, ministra del Lavoro del governo Monti, ha infatti già corretto i principali problemi che hanno portato all’insostenibilità del sistema. In base a questa riforma, agli occupati che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 si applica il sistema di calcolo della pensione “contributivo”, ossia basato sul totale dei contributi versati. Semplificando, si riceve indietro sotto forma di rendita ciò che si è versato nel corso della vita, senza costi aggiuntivi da parte dell’Inps per aumentare l’importo della pensione. Il vero problema è trovare abbastanza lavoratori che versino i contributi per pagare le pensioni nei prossimi anni.

Come anticipato, per migliorare la sostenibilità del sistema pensionistico si può quindi intervenire sul quadro demografico, aumentando le nascite o favorendo l’ingresso di lavoratori stranieri nel nostro Paese. La prima soluzione è sicuramente importante da perseguire, ma potrebbe portare i suoi frutti nel medio-lungo periodo. Secondo l’Istat, lo scorso anno sono nati circa 379 mila bambini, il 26 per cento in meno rispetto a dieci anni fa, ossia al 2013. Anche immaginando di convincere i giovani italiani a fare il doppio dei figli il prossimo anno, gli effetti positivi sul mercato del lavoro si vedrebbero solo tra 20-25 anni.

L’immigrazione potrebbe invece tamponare la mancanza di lavoratori già nel breve periodo. Spesso, chi decide di emigrare all’estero è piuttosto giovane e in grado di lavorare, ma al momento il nostro Paese non attira molto queste persone. Secondo i dati più aggiornati di Eurostat, nel 2022 sono arrivati in Italia 7 immigrati ogni mille abitanti, contro gli 11,4 della media Ue, i 24,7 della Germania e i 26,4 della Spagna. L’impatto di una maggiore immigrazione sarebbe molto rilevante sull’economia italiana. Il DEF approvato dal governo Meloni nel 2023 prevedeva che con un aumento del 33 per cento di immigrati entro il 2070 si verificherebbe una diminuzione del debito pubblico in rapporto al Pil pari a oltre 30 punti percentuali, frutto anche dalla maggiore sostenibilità del sistema pensionistico, con una minore necessità di trasferimenti pubblici all’Inps per coprire il divario contributivo.

Ricapitolando: con il quadro demografico attuale nessun sistema pensionistico è sostenibile sul lungo periodo. Per risolvere il problema sarà quindi fondamentale aumentare il numero di contribuenti in Italia, attraverso un aumento delle nascite — i cui effetti si vedrebbero comunque tra diversi anni — o un aumento dell’immigrazione.

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