L’occupazione record nasconde grandi differenze tra regioni e province

Abbiamo raccolto in cinque mappe i divari territoriali tra chi un lavoro ce l’ha e chi no, e chi non lo cerca nemmeno
Ansa
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Nel 2023 il tasso di occupazione in Italia ha raggiunto il 61,5 per cento, il valore più alto mai registrato. Dietro a questa percentuale record, che resta tra le più basse dell’Unione europea, ci sono grandi divari nel mondo del lavoro non solo tra le singole regioni, ma anche tra le singole province. 

Di recente Istat ha pubblicato i dati sull’occupazione nel 2023 a livello regionale e provinciale che permettono di analizzare com’è strutturato territorialmente il mercato del lavoro nel nostro Paese.

Dove c’è maggiore occupazione

Nelle province e nelle regioni settentrionali si registra un’occupazione più alta di quelle meridionali. Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Veneto sono le quattro regioni con un tasso di occupazione superiore al 70 per cento nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni, mentre Sicilia, Calabria e Campania sono le uniche sotto il 50 per cento, con un’occupazione tra il 44 e il 45 per cento. In parole semplici, qui lavora meno di una persona su due.

Bolzano, Bologna e Verona sono le tre province con il tasso di occupazione più alto, mentre le tre province con i dati peggiori sono Reggio Calabria, Crotone e Caltanissetta. Quest’ultima ha un tasso di occupazione che si ferma al 37,7 per cento, meno della metà di quello di Bolzano. Questa percentuale così bassa è dovuta in particolare al basso tasso di occupazione femminile che si ferma al 23,1 per cento, circa il 56 per cento in meno di quello maschile, che invece arriva al 52,6 per cento. 

Tutte le province registrano un tasso di occupazione più alto tra gli uomini rispetto alle donne (il cosiddetto gender employment gap), ma in quelle meridionali la differenza è molto più alta. A livello nazionale, il tasso di occupazione maschile è il 25 per cento più alto di quello femminile, mentre a Caltanissetta, Barletta-Andria-Trani, Crotone, Taranto e Napoli è superiore del 50 per cento.

Che tipo di occupazione c’è

Istat classifica gli occupati in cinque settori: il 4 per cento lavora nell’agricoltura, il 6 per cento nelle costruzioni, il 14 per cento nel commercio, il 20 per cento nell’industria e il 56 per cento nei servizi. 

Nel settore agricolo c’è una forte differenza tra il Nord e il Sud Italia: le regioni meridionali hanno generalmente una maggiore quota di lavoratori impiegati nell’agricoltura. Ragusa è l’unica provincia che supera il 20 per cento di addetti nell’agricoltura: 16 tra le 20 province sopra il 10 per cento si trovano nel Mezzogiorno, con l’eccezione di Latina, Grosseto, Asti e Cuneo.

Viceversa, l’industria occupa più persone nel Centro-Nord. Superano il 40 per cento di occupati nell’industria le province di Vicenza, Fermo e Belluno e sopra il 30, tra le altre, ci sono Prato, Treviso, Brescia, Bergamo e Biella. Sotto il 10 per cento ci sono invece 12 province, di cui la maggior parte sono meridionali, con l’eccezione di Imperia, Grosseto e Roma. 

Nel settore delle costruzioni non emerge una chiara divisione, così come nel commercio. L’Aquila, Benevento e Rieti sono le province con la maggior quota di lavoratori nel settore edile (tra l’11 e il 12 per cento), mentre Firenze, Cagliari e Taranto sono quelle con la percentuale più bassa (tra il 3 e il 4 per cento). Nel settore del commercio le uniche regioni a superare il 20 per cento sono Imperia, Barletta-Andria-Trani e Forlì, mentre Trieste è l’unica sotto il 10 per cento. 

Infine, gli altri servizi impiegano tre lavoratori su quattro a Roma, Cagliari e Trieste, ma sopra il 60 per cento ci sono anche Aosta, Milano, Pisa, Napoli e Firenze. Nessuna provincia scende sotto il 40 per cento, ma al 41 per cento troviamo Prato, Vicenza e Fermo.
Nel complesso il 79 per cento dei lavoratori italiani è dipendente e il 21 per cento indipendente, ossia lavoratori autonomi. Le province di Grosseto, Isernia, Savona e Benevento sono le uniche dove gli autonomi sono oltre il 30 per cento, mentre le percentuali più basse si registrano a Lodi e Gorizia con il 14 per cento.

Quali province hanno più disoccupazione

Nel 2023 il tasso di disoccupazione in Italia è stato pari al 7,7 per cento. Queste sono persone che non lavorano e che cercano attivamente una nuova occupazione. Chi non lavora, ma non cerca una nuova occupazione, è considerato “inattivo” ed è al di fuori delle forze di lavoro, che comprendono occupati e disoccupati. 

Napoli è l’unica provincia dove il tasso di disoccupazione supera il 20 per cento, anche se Messina è molto vicina con il 19,3 per cento. Oltre il 15 per cento, tra le altre, ci sono le province di Foggia, Palermo, Siracusa, Catania e Salerno. 

Registrano una disoccupazione sotto il 3 per cento le province di Monza e Brianza, Bergamo, Cremona e Bolzano. Nella provincia di Bolzano il tasso di disoccupazione è solo del 2 per cento. Sotto il 4 per cento, tra le altre, ci sono Bologna, Vicenza, Siena, Trieste e Verona. 

In generale nessuna regione del Nord ha un tasso di disoccupazione superiore al 7 per cento, mentre in cinque regioni meridionali si supera il 10 per cento.

Dove ci sono più inattivi

Nel 2023 il 33,3 per cento della popolazione tra i 15 e i 64 anni era inattiva: non ha lavorato o non ha cercato un lavoro. In questa parte della popolazione ci sono persone che non hanno bisogno di lavorare o che hanno smesso di cercare un’occupazione, sfiduciate dai risultati inconcludenti della ricerca. 

Anche in questo caso è netta la differenza tra il Nord e il Sud. Caltanissetta, Crotone e Reggio Calabria sono le uniche province dove oltre la metà della popolazione è inattiva, anche se Taranto e Caserta si avvicinano molto a questa soglia (49,8 per cento). Le uniche province con un tasso di inattività inferiore al 25 per cento sono Piacenza, Arezzo, Bolzano e Bologna.

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