I partiti all’opposizione sono divisi sul referendum costituzionale sulla giustizia

Chi si oppone al governo non è d’accordo sia sulla riforma che separa le carriere dei magistrati sia su come affrontare la campagna referendaria
ANSA/MASSIMO PERCOSS
ANSA/MASSIMO PERCOSS
Mentre i partiti della maggioranza si preparano a fare campagna per il Sì al referendum costituzionale sulla riforma che separa le carriere dei magistrati, le forze di opposizione non si presentano unite. «Alla fine nasceranno vari comitati, ognuno espressione di una diversa area del fronte del No, e contribuiranno in modo diverso alla causa, secondo le differenze di ciascuno. Matteo Renzi ha una posizione ambigua, mentre Carlo Calenda, lo sappiamo, è a favore della riforma», ha sintetizzato a Pagella Politica una deputata del Partito Democratico, che ha preferito restare anonima.

In questi giorni sono in corso alla Camera le raccolte firme tra i parlamentari per indire il referendum popolare sulla riforma costituzionale della giustizia. Secondo quanto risulta a Pagella Politica, il 4 novembre i partiti di centrodestra – Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati – hanno raggiunto le firme necessarie (almeno 80) da parte dei parlamentari per poter presentare la richiesta di referendum, mentre la raccolta promossa da Partito Democratico, dal Movimento 5 Stelle e da Alleanza Verdi-Sinistra è ancora in corso. In ogni caso, per il governo il referendum è scontato e il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha già annunciato che la consultazione potrebbe svolgersi tra marzo e aprile 2026.

Mentre il centrodestra si muove in modo compatto, tra i partiti di opposizione emergono differenze di merito e di metodo: non solo sulle ragioni del No alla riforma voluta dal governo Meloni, ma anche sul modo di affrontare la campagna referendaria.

Uniti a parole

In occasione del referendum, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra sosterranno il No alla separazione delle carriere, ma non è ancora chiaro se lo faranno insieme o con iniziative separate.

Lo scorso 30 ottobre, in una conferenza stampa al Senato, la segretaria del PD Elly Schlein ha definito la riforma una misura che «punta a indebolire l’indipendenza della magistratura perché sia più assoggettata al potere di chi governa». Sui possibili effetti della riforma il dibattito rimane acceso, anche tra gli esperti, ma Schlein ha comunque annunciato «una grande campagna referendaria» contro il progetto del governo, senza però precisarne tempi e modalità.

«L’ultima parola spetta ai leader dei nostri partiti», ha spiegato a Pagella Politica Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra alla Camera, che insieme a Simona Bonafè (PD) e Carmela Auriemma (Movimento 5 Stelle) ha presentato la raccolta firme dell’opposizione. «È possibile che si facciano campagne distinte tra i partiti, come che si faccia un solo comitato referendario per il No insieme a esponenti della società civile».

Fonti vicine a Schlein precisano che, per ora, la segretaria è concentrata su altri due fronti: le elezioni regionali in Campania, Puglia e Veneto del 23 e 24 novembre, e le proposte del Partito Democratico per modificare il disegno di legge di Bilancio per il 2026, attualmente in esame in Commissione Bilancio del Senato. 

A differenza di Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 Stelle, nel PD, la linea ufficiale contraria alla riforma non coincide con l’unanimità interna. Alcuni esponenti un tempo di primo piano del partito si sono detti favorevoli alla separazione delle carriere, come Goffredo Bettini, tra i fondatori del partito, e l’ex deputato Stefano Ceccanti, oggi docente di Diritto costituzionale alla Sapienza.

Il 26 settembre, durante un congresso dell’Unione delle Camere Penali a Catania, Bettini ha detto di essere favorevole alla riforma costituzionale. Il 4 novembre, in un’intervista a Il Messaggero, Ceccanti ha dichiarato che definito la riforma «prevalentemente positiva», pur criticando la scelta del sorteggio come metodo di selezione dei nuovi membri dei due Consigli superiori della magistratura, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri.

Dal Partito Democratico si tende però a ridimensionare la portata di queste posizioni. «Si tratta di una parte limitata del PD: i gruppi parlamentari sono tutto sommato compatti per il No. Temo, ma spero di no, che tutto questo attivismo per il Sì da parte di esponenti come Ceccanti e Bettini sia un modo per rivendicare maggiore spazio politico e rilevanza nel partito», ha confidato a Pagella Politica una deputata del Partito Democratico.

Uno, nessuno, cento comitati 

Al di là delle divisioni interne, resta da capire se i partiti di opposizione riusciranno a costruire un unico fronte con la società civile. Su questo punto, le posizioni sembrano già divergenti.

«Noi vogliamo distinguerci bene dai partiti. Non vogliamo trasformare la battaglia per il No alla separazione delle carriere come una battaglia di una parte politica», ha spiegato a Pagella Politica Enrico Grosso, presidente di “A difesa della Costituzione e per il No al referendum”, il comitato per il No al referendum sulla giustizia promosso dall’Associazione nazionale magistrati (ANM). L’ANM è l’associazione che rappresenta i magistrati in Italia e sin dall’inizio si è opposta alla riforma costituzionale sulla separazione delle carriere, accusando il governo di voler indebolire la magistratura.

«Faremo una campagna referendaria senza coinvolgere i partiti. Perché la questione della separazione delle carriere è una questione politica certamente, ma non possiamo ridurla a quella di una parte», ha aggiunto Grosso, che ha precisato come il comitato non sia solo dell’ANM, ma di tutti coloro che si vogliono battere contro la separazione delle carriere. «Spesso la politica parla di società civile in modo astratto. Io posso dire che in questi giorni mi stanno arrivando centinaia di mail da magistrati, avvocati, professori, anche persone comuni che vogliono unirsi alla nostra causa. Noi faremo in modo di portarla avanti, senza strumentalizzazioni di parte».

A proposito di società civile, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI) ha organizzato per il 14 novembre un evento in cui sono stati invitati esponenti della magistratura, delle associazioni, dei sindacati e dei partiti per parlare contro la riforma della separazione delle carriere.
Il volantino dell’evento promosso dall’ANPI a Roma sulla separazione delle carriere
Il volantino dell’evento promosso dall’ANPI a Roma sulla separazione delle carriere

In ordine sparso

La frammentazione sulla riforma prevale soprattutto nell’area centrista all’opposizione: Azione e Italia Viva, un tempo alleate, si muovono ora in direzioni diverse. 

Alle elezioni del 2022, i due partiti avevano presentato un programma comune che sosteneva la separazione delle carriere, considerata una misura per garantire parità tra accusa e difesa. Entrambi i partiti restano favorevoli in linea di principio, ma divergono sul giudizio alla riforma del governo.

In Parlamento, Azione ha sempre votato a favore della riforma costituzionale. «Votiamo la separazione perché riteniamo che il sistema delle correnti inquini l’autonomia della magistratura e la sua autorevolezza e perché la separazione tra Pm e giudice è una battaglia liberale e di civiltà», aveva spiegato Calenda a luglio in Senato. Ma Azione non intende impegnarsi nella campagna per il Sì al referendum. «Non parteciperemo e non faremo comitati referendari», ha chiarito lo stesso Calenda a Pagella Politica.

Una curiosità: tra i deputati della maggioranza che il 4 novembre hanno portato in Cassazione le firme raccolte per organizzare il referendum c’era anche Enrico Costa, che a settembre 2024 è passato proprio da Azione a Forza Italia.

Italia Viva, invece, si è astenuta in Parlamento, giudicando il testo sbagliato in diversi punti. Durante l’esame alla Camera, il deputato Roberto Giachetti ha criticato la scelta del sorteggio per la selezione dei membri “laici” dei due nuovi CSM, preferendo il sistema di elezione da parte del Parlamento. Il leader Matteo Renzi, nelle dichiarazioni di voto in Senato del 30 ottobre, ha attaccato il metodo con cui il governo ha portato avanti la riforma, «come fosse un decreto-legge». Il riferimento di Renzi è alla decisione da parte del governo e dei partiti di maggioranza di non permettere modifiche al testo: la versione della riforma approvata in via definitiva dal Senato, infatti, è identica a quella approvata dal Consiglio dei ministri a maggio 2024. 

Per quanto riguarda il referendum, fonti di Italia Viva hanno detto a Pagella Politica che il partito non farà un proprio comitato e al momento è improbabile che partecipi alla campagna referendaria.

La spaccatura 

Una divisione interna attraversa anche Più Europa, il partito fondato da Emma Bonino e oggi guidato da Riccardo Magi. Alla Camera conta due deputati, Magi e Benedetto Della Vedova, che hanno votato in modo opposto: il primo non ha partecipato al voto sulla riforma, il secondo ha sostenuto il Sì in entrambe le letture.

In un comunicato del 1° novembre, Magi ha ribadito di essere favorevole alla separazione delle carriere ma critico verso il metodo del governo, che non ha accettato «alcun dialogo con le opposizioni» e ha introdotto elementi, come la creazione di due CSM distinti, ritenuti problematici.

Tre giorni dopo, in un’intervista a Il Giornale, Della Vedova ha dichiarato invece che per lui la separazione delle carriere è «un passo importante» e che sul tema «non c’è mai stata una discussione o una decisione di partito». La linea ufficiale di Più Europa resta così incerta. «Io parlo per me, e per me è naturale votare Sì alla separazione delle carriere, come ho fatto sia alla prima che alla seconda lettura», ha spiegato Della Vedova, storico esponente radicale con un passato in Forza Italia.
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