Niente referendum abrogativi nel 2026: perché le firme online non bastano

Nessuna delle 21 proposte presentate quest’anno ha raggiunto le 500 mila sottoscrizioni necessarie 
ANSA/TINO ROMANO
ANSA/TINO ROMANO
Nel 2026 non si terrà alcun referendum abrogativo in Italia: nessuna delle 21 proposte presentate nei mesi scorsi è infatti riuscita a raccogliere le 500 mila firme necessarie, nonostante da alcuni anni sia possibile sostenerle anche online, con lo SPID o la carta d’identità elettronica. Salvo sorprese, sarà organizzato invece il referendum costituzionale sulla riforma della separazione delle carriere dei magistrati, che deve ricevere il via libera definitivo del Senato. 

Questo risultato smentisce, almeno in parte, chi sostiene che ormai sia diventato troppo facile organizzare un referendum abrogativo, un’accusa tornata di attualità dopo il voto di giugno, quando cinque quesiti – quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza – erano arrivati alle urne ma con un’affluenza molto bassa, pari al 29,9 per cento. In quell’occasione, nessuno dei referendum ha superato il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto, a conferma di quanto sia difficile non solo promuovere, ma anche rendere effettiva la partecipazione dei cittadini.

In base ai dati della piattaforma del Ministero della Giustizia, resi disponibili dall’associazione OnData, la raccolta firme che ha avuto maggiore successo è stata quella per introdurre il matrimonio egualitario, che tra il 5 maggio e il 4 agosto ha raggiunto 362 mila sottoscrizioni. Molto più distanti tutte le altre iniziative: la proposta per abolire gli allevamenti intensivi si è fermata a 54 mila firme, quella per vietare la caccia a 39 mila e quella per abolirla del tutto a 34 mila. Seguono tre quesiti mirati a cancellare parti della legge sull’obbligo vaccinale del 2017, con risultati compresi tra le 26 mila e le 18 mila firme.

Le regole

In Italia per tenere un referendum abrogativo servono le firme di almeno 500 mila elettori o il sostegno di cinque consigli regionali. I promotori hanno tre mesi di tempo per raccoglierle e devono depositarle alla Corte di Cassazione tra il 1° gennaio e il 30 settembre. Da quel momento si apre la fase di verifica: entro il 31 ottobre l’Ufficio centrale per il referendum controlla la regolarità delle firme, poi la Corte Costituzionale, entro il 10 febbraio dell’anno successivo, decide se il quesito è ammissibile. Solo dopo questo doppio vaglio può essere indetta la votazione, in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Dal 2021 le firme possono essere raccolte anche online tramite SPID o carta d’identità elettronica, e dal 2024 esiste una piattaforma gestita dal Ministero della Giustizia dedicata a referendum e leggi di iniziativa popolare. Quando la procedura digitale fu introdotta, permise di raggiungere in pochi giorni le 500 mila firme per i referendum su eutanasia e cannabis, poi dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale. All’epoca si temeva che firmare online rendesse troppo semplice promuovere un referendum, ma i dati più recenti mostrano che non è così.

Dal 1974 a oggi 39 referendum abrogativi su 77 hanno raggiunto il quorum. L’ultima volta è avvenuto nel 2011.
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