Il referendum sul “matrimonio egualitario” non convince tutta la comunità LGBT+

Il quesito, che vuole modificare la “legge Cirinnà”, ha già raccolto oltre 300 mila firme. Ma ci sono dubbi sulla sua efficacia
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Questo articolo è uscito il 20 maggio nella newsletter Politica di un certo genere
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Nove anni fa, il 20 maggio 2016, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella firmava la legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, la cosiddetta “legge Cirinnà”, dal nome della promotrice, l’allora senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà. Con questa legge, l’Italia è stata l’ultima dei sei Paesi fondatori dell’Unione europea a regolarizzare le unioni civili. Secondo i dati ISTAT più aggiornati, dal 2017 al 2023, in Italia ne sono state celebrate 19 mila, in media meno di tremila all’anno (a confronto, nello stesso periodo si sono celebrati in media circa 175 mila matrimoni all’anno).

Oggi l’Italia è l’unico Paese dell’Europa occidentale in cui non esiste il matrimonio egualitario, cioè tra persone dello stesso sesso. Esistono solo le unioni civili, che pur condividendo alcuni diritti e doveri con il matrimonio, non sono equivalenti. Tra le differenze principali, le unioni civili non garantiscono gli stessi diritti in ambito di adozione, né permettono di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita. 

Per avvicinare le unioni civili e i matrimoni il comitato Uguali! – che fa capo a Volt Italia, la sezione italiana del partito paneuropeo progressista Volt – il 5 maggio ha depositato un quesito referendario che vorrebbe intervenire proprio sulla “legge Cirinnà”. L’obiettivo del quesito è annullare le differenze tra unioni civili e matrimoni, garantendo alle coppie omosessuali gli stessi diritti delle coppie eterosessuali.

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Sulla piattaforma online del Ministero della Giustizia, nella mattina di martedì 20 maggio il quesito aveva già superato le 330 mila firme, avvicinandosi così alle 500 mila necessarie per presentare la richiesta di referendum. Il raggiungimento di questa soglia, comunque, non comporterà in automatico l’indizione di un nuovo referendum. I referendum abrogativi servono a cancellare, in tutto o in parte, una legge – in questo caso una parte della “legge Cirinnà” – e una volta raccolte le firme il quesito dovrà essere esaminato dalla Corte di Cassazione. Se la Cassazione lo ammetterà, toccherà poi alla Corte Costituzionale stabilire se è ammissibile. Solo in caso di doppio via libera, si andrà al voto, e solo in caso di raggiungimento del quorum i risultati del referendum sarebbero validi.
Mappa 1. Dove sono legali i matrimoni egualitari nell’Ue – Fonte: Elaborazioni di Pagella Politica
Mappa 1. Dove sono legali i matrimoni egualitari nell’Ue – Fonte: Elaborazioni di Pagella Politica
«Noi abbiamo sempre avuto una comunità LGBT+ molto forte in Volt. Abbiamo cominciato a pensare come muoverci per fare qualcosa di concreto vagliando diverse ipotesi ed è venuta fuori l’idea del quesito referendario», ha detto a Pagella Politica Francesca Romana D’Antuono, presidente di Volt Europa. «Avevamo valutato la possibilità di una legge di iniziativa popolare, ma il rischio era che finisse dimenticata nei cassetti. Quindi, abbiamo deciso per il referendum: è uno strumento imperfetto, ma ci sembrava forte chiamare tante persone a dire “Sì”».
Al di là degli aspetti tecnici, la proposta del comitato Uguali! in questi giorni ha suscitato alcune critiche, molte delle quali all’interno della stessa comunità LGBT+. Vediamo quali sono gli obiettivi del comitato promotore e quali invece i dubbi.

Il quesito referendario propone di modificare parte della “legge Cirinnà” «per abrogare le distinzioni tra l’istituto delle unioni civili e il matrimonio civile, di fatto estendendo l’accesso al matrimonio civile anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso», si legge sul sito del Ministero della Giustizia. In altre parole, l’obiettivo del quesito è dare alle coppie omosessuali gli stessi diritti delle coppie eterosessuali. In particolare, il quesito chiede l’abrogazione dei commi dal 20 al 26 dell’articolo 1 della “legge Cirinnà”, che riguardano vari aspetti dell’unione civile, come l’adozione piena (cioè l’adozione di un bambino o una bambina al di fuori della coppia), lo scioglimento dell’unione in caso di cambio di sesso di uno dei due partner o in caso di morte. Ma secondo diversi attivisti e giuristi, questi obiettivi non sarebbero pienamente realizzabili attraverso il referendum così com’è strutturato.

«Ci sono arrivate segnalazioni di persone che pensavano che con l’esito positivo di un referendum conseguente a questo quesito si sarebbe potuti arrivare a un matrimonio in Italia tra persone dello stesso sesso. Ma non è così», ha spiegato a Pagella Politica Vincenzo Miri, avvocato e presidente di Rete Lenford, un’associazione di avvocate, avvocati e persone esperte di diritto con un focus su tematiche LGBT+. Secondo l’avvocato, l’abrogazione di una parte della “legge Cirinnà” non basta a istituire il matrimonio egualitario, né a garantire automaticamente alle coppie dello stesso sesso gli stessi diritti delle coppie eterosessuali. A questa obiezione, Francesca Romana D’Antuono risponde che «con questo referendum non si può istituire il matrimonio per le coppie omosessuali, ma si può creare un’uguaglianza di fatto». Secondo la presidente di Volt, infatti, l’abrogazione dei commi costituirebbe comunque un passo in avanti concreto.
Rete Lenford ha pubblicato un approfondimento che analizza tutti i commi coinvolti nel quesito referendario, e da cui emergono alcune perplessità. Un esempio riguarda la procreazione medicalmente assistita (PMA), che continuerebbe a essere vietata per le coppie dello stesso sesso. La legge che la regola (la n. 40 del 2004) consente l’accesso solo alle «coppie di maggiorenni di sesso diverso». Il quesito non interviene su quella legge, ma solo sulla “legge Cirinnà”. Quindi, secondo Rete Lenford, anche se il referendum passasse, la norma sulla PMA rimarrebbe invariata.

Lo stesso discorso vale per le adozioni. «Per come è strutturato il quesito rimarrebbe in piedi una disposizione che continuerebbe a vietare l’adozione piena», ha aggiunto Miri, secondo cui il quesito rischia anche di essere dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. «Il quesito può sempre essere dichiarato inammissibile – ha risposto D’Antuono – ma non è che se c’è questa possibilità allora non lo facciamo». Inoltre, la raccolta di un numero elevato di firme rappresenterebbe un «grande segnale politico».

Insomma, per il comitato promotore l’eventuale approvazione del referendum rappresenterebbe un miglioramento per i diritti delle coppie omosessuali. «Sarei contenta se lo sforzo diventasse collettivo e magari complementare. Se ci sono altre idee di azioni che si possono fare noi siamo a disposizione. Unire le forze in questi casi è fondamentale», ha aggiunto D’Antuono. Dall’altro lato Rete Lenford – come anche altri gruppi, associazioni e persone attive nella comunità LGBT+ – ha espresso perplessità. «Per quanto il quesito abbia riacceso un dibattito importante sull’uguaglianza, una lettura attenta rende evidente che non ci sarebbe una piena parificazione di effetti. Si rischia un disordine legislativo, e possibili arretramenti di tutela», ha spiegato Miri. Ma proprio perché ritiene – esattamente al pari di Uguali! – che le coppie LGBT+ abbiano diritto a maggiori tutele, Rete Lenford ha annunciato che promuoverà una proposta di legge di iniziativa popolare per tutelare tutte le forme familiari, collaborando con la società civile e con tutte le realtà che ne condividono gli obiettivi. 
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