Separazione delle carriere dei magistrati: che cosa prevede la riforma approvata alla Camera

A favore hanno votato i partiti che supportano il governo, mentre quelli all’opposizione si sono divisi. La strada del disegno di legge è comunque ancora lunga
FILIPPO MONTEFORTE/ANSA
FILIPPO MONTEFORTE/ANSA
Il 16 gennaio la Camera ha approvato il disegno di legge, presentato dal governo Meloni, che propone di modificare la Costituzione e introdurre la separazione delle carriere dei magistrati. A favore del testo hanno votato i partiti che sostengono il governo (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati), insieme a due partiti che sono all’opposizione: Azione e Più Europa. Italia Viva si è astenuta, mentre il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra. 

Il percorso parlamentare della riforma è ancora lungo: essendo un disegno di legge di riforma costituzionale, deve essere approvato due volte sia dalla Camera sia dal Senato, e con tutta probabilità sarà poi sottoposto a referendum.

Perché si parla di separazione delle carriere

In Italia i magistrati possono svolgere due funzioni: quella giudicante e quella requirente. In un procedimento giudiziario, i magistrati giudicanti svolgono la funzione di giudice, mentre quelli requirenti corrispondono ai pubblici ministeri (i cosiddetti “Pm”), e rappresentano l’accusa. 

In base alle regole attuali, tutti i magistrati seguono lo stesso percorso formativo e nel corso della carriera possono decidere di cambiare funzione, passando dal ruolo di giudice a quello di Pm fino a quattro volte. Nel tempo sono stati introdotti vari limiti al cambio di funzione, una decisione che, secondo i dati, riguarda una minoranza dei magistrati sul totale. Tutti i magistrati sono inoltre sottoposti e rispondono a un unico organo, ossia il Consiglio superiore della magistratura (CSM), che è guidato dal presidente della Repubblica e vigila sul corretto operato dei magistrati stessi. 

La riforma costituzionale presentata dal governo propone di separare le carriere dei magistrati requirenti da quelli giudicanti: in questo modo, ogni magistrato dovrà scegliere all’inizio della propria carriera se assumere il ruolo di giudice o quello di Pm, senza la possibilità di cambiamenti successivi. 

Secondo i sostenitori della riforma, il divieto di passaggio da una funzione all’altra garantirebbe una maggiore indipendenza dei giudici. A detta loro, un magistrato che per anni si è occupato di formulare l’accusa nei processi, nel ruolo del Pm, rischierebbe di non essere imparziale nel caso in cui passasse alla funzione di magistrato giudicante. Secondo i critici della riforma, invece, la separazione delle carriere contribuirebbe a indebolire i magistrati stessi, esponendoli a una maggiore influenza del potere politico.

Due CSM diversi

La riforma approvata dalla Camera riscrive completamente gli articoli 104 e 105 della Costituzione, e modifica alcuni commi degli articoli 87, 106, 107 e 110. 

Il testo stabilisce la creazione di due Consigli superiori della magistratura distinti – il Consiglio superiore della magistratura requirente e il Consiglio superiore della magistratura giudicante – e introduce nuove regole per la scelta dei componenti dei due organi. 

Attualmente il CSM è composto da 33 componenti: oltre al presidente della Repubblica, ne fanno parte il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione, e gli altri 30 componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati d’Italia (i cosiddetti “membri togati”), e per un terzo dal Parlamento in seduta comune, cioè da tutti i deputati e i senatori (i cosiddetti “membri laici”). I membri laici del CSM sono scelti tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che hanno oltre quindici anni di attività. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento e i membri elettivi durano in carica quattro anni, non rieleggibili per un secondo mandato consecutivo. L’attuale vicepresidente del CSM è l’avvocato Fabio Pinelli, eletto come membro laico dal Parlamento, su proposta della Lega, a gennaio del 2023. 

In base alla riforma, i due nuovi CSM – quello giudicante e quello requirente – saranno guidati entrambi dal presidente della Repubblica e ne faranno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. A differenza del CSM attuale, gli altri membri dei due consigli saranno scelti attraverso un sorteggio. In pratica, i membri “togati” saranno estratti a sorte da un elenco di giudici per il CSM giudicante, mentre per il CSM requirente da un elenco di Pm. I membri “laici” di entrambi i CSM saranno invece estratti a sorte da un elenco di professori ordinari in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di attività. L’elenco dovrà essere stilato dal Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento della Camera e del Senato dopo le elezioni politiche. 

Secondo i sostenitori della riforma, il metodo del sorteggio per la nomina dei membri togati diminuirà il potere delle cosiddette “correnti” dell’Associazione nazionale magistrati (ANM). L’ANM è un’associazione che rappresenta gli interessi dei magistrati italiani, e al suo interno è divisa per l’appunto in varie correnti, ossia gruppi di magistrati che hanno opinioni simili dal punto di vista politico, alcune più a destra, altre più a sinistra. 

Negli anni si è parlato spesso del problema delle correnti nella magistratura, con una serie di denunce riguardanti nomine nel CSM influenzate proprio dall’operato delle correnti. Nei mesi in cui la Camera ha esaminato la riforma i vertici dell’ANM hanno spesso criticato il testo voluto da Nordio, sostenendo in sostanza che la separazione delle carriere comprometterebbe la libertà dei giudici.
Una riunione del Consiglio superiore della magistratura – Fonte: Ansa
Una riunione del Consiglio superiore della magistratura – Fonte: Ansa

L’Alta Corte disciplinare

Secondo la riforma voluta dal governo Meloni, i due nuovi CSM non avranno il potere di giudicare sulle eventuali responsabilità dei magistrati. 

I due consigli avranno infatti il compito di stabilire le assunzioni, i trasferimenti e le valutazioni dei rispettivi magistrati, mentre i procedimenti disciplinari spetteranno a un nuovo organo, ossia l’Alta Corte disciplinare. Quest’ultima è composta da 15 giudici: tre sono nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di attività; altri tre giudici sono estratti a sorte da un elenco di professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di attività stilato dal Parlamento in seduta comune; sei sono sorteggiati tra i giudici mentre altri tre sono estratti a sorte tra i Pm, in entrambi i casi con almeno vent’anni di esperienza. 

Il presidente dell’Alta Corte disciplinare è eletto tra i giudici nominati dal presidente della Repubblica o tra quelli estratti a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento.

Le posizioni dei partiti

Sulla riforma della separazione delle carriere dei magistrati i partiti che sostengono il governo Meloni hanno votato compattamente a favore in Parlamento. Questa riforma, infatti, è una delle promesse contenute nel programma elettorale firmato da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati prima delle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Da decenni nel nostro Paese si discute della possibilità di separare le carriere dei magistrati giudicanti e inquirenti, una proposta difesa più volte in passato dal fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi. 

A giugno 2022 si è tenuto un referendum abrogativo, promosso dalla Lega, con cui si è chiesto agli elettori di introdurre la separazione delle carriere. I sì sono stati la maggioranza (74 per cento), ma al voto ha partecipato il 21 per cento degli elettori: il quorum (fissato al 50 per cento degli elettori) non è stato raggiunto e così i risultati del referendum non sono stati validi.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio – Fonte: Ansa
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio – Fonte: Ansa
La riforma sulla separazione della carriere dei magistrati ha invece diviso i partiti all’opposizione del governo Meloni. Il PD, il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra hanno votato contro e durante le dichiarazioni di voto in aula alla Camera hanno espresso motivazioni diverse dietro a questa scelta. Per esempio, secondo la deputata del PD Debora Serracchiani, con un proprio CSM i Pm assumeranno «sempre più un ruolo centrale, cercando legittimazione e consenso popolare e il proprio organo di governo finirà per alimentare, sostenere e difendere proprio questo ruolo». Insomma, un effetto contrario a quello auspicato dai partiti al governo, che con la riforma puntano invece a un maggiore equilibrio tra il ruolo dei giudici e quello dei Pm. 

Il co-portavoce di Europa di Europa Verde Angelo Bonelli ha criticato il metodo del governo per approvare la riforma, ossia l’indisponibilità dei partiti a modificare la riforma. Durante l’esame in Commissione Affari costituzionali, infatti, i partiti della maggioranza ha bocciato tutti gli emendamenti presentati dai partiti all’opposizione e il testo è rimasto lo stesso presentato dal governo.

Al contrario, Azione e Più Europa hanno votato a favore della riforma, mentre Italia Viva si è astenuta. «Voteremo a favore perché molti di noi di Più Europa sono cresciuti politicamente, dal processo Tortora in poi, occupandosi, con il referendum, con le manifestazioni, di responsabilità civile dei magistrati, occupandosi delle elezioni del CSM per cercare di togliere lo stigma correntizio all’organo di autogoverno e occupandosi di separazione delle carriere», ha detto il deputato di Più Europa Benedetto Della Vedova, storico esponente del Partito Radicale di Marco Pannella.

Pur essendo favorevole alla separazione delle carriere, il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti ha motivato l’astensione del suo partito dicendo che la riforma ha bisogno di alcune modifiche. Per esempio, Italia Viva non è d’accordo alla selezione dei membri laici dei due nuovi CSM secondo il metodo del sorteggio, preferendo il metodo attuale, ossia l’elezione da parte del Parlamento.

Una strada non semplice

Al di là delle critiche dei partiti di opposizione e dell’ANM, al momento è molto difficile dire che effetti potrebbe avere la riforma sul sistema giudiziario, se positivi o negativi. 

La riforma sulla separazione delle carriere è infatti una riforma costituzionale e il processo richiesto per la sua approvazione definitiva è più lungo rispetto a quello di un disegno di legge normale. Il testo approvato dalla Camera dovrà essere approvato dal Senato e poi, dopo almeno tre mesi, dovrà tornare alla Camera per un’altra approvazione e in seguito di nuovo al Senato. Nel caso in cui nella seconda votazione alla Camera e al Senato non dovesse ottenere la maggioranza dei due terzi dei parlamentari, la riforma dovrà essere confermata da un referendum popolare.

Insomma, mancano ancora diversi passaggi prima che la riforma costituzionale sia approvata in via definitiva. In più, anche se così dovesse essere, sarà comunque necessario adeguare altre norme dell’ordinamento italiano. L’articolo 8 della riforma stabilisce infatti che entro un anno dall’entrata in vigore il governo e il Parlamento modifichino tutte «le leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare» per adeguarle alla riforma costituzionale. In particolare, come spiega un dossier della Camera, il Parlamento e il governo dovranno intervenire con altri provvedimenti per adeguare almeno sei tra leggi e decreti-legge che disciplinano le regole sulla giustizia. Tra questi, sarà necessario modificare per esempio la legge n. 195 del 1958, ossia quella che ha stabilito nel dettaglio le regole di funzionamento del CSM, che non avrebbero più senso se il CSM sarà sostituito dai due nuovi consigli, quello della magistratura giudicante e quello della magistratura requirente.
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