Cosa dice la sentenza che ha condannato Delmastro e perché smentisce Donzelli

Secondo i giudici, le informazioni su Cospito erano riservate. Divulgarle ha messo a rischio la sicurezza degli agenti coinvolti
Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, insieme a Giovanni Donzelli – ANSA/ETTORE FERRARI
Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, insieme a Giovanni Donzelli – ANSA/ETTORE FERRARI
Il 26 maggio, in un’intervista a La Stampa, il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli ha difeso il compagno di partito e sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, condannato in primo grado lo scorso febbraio per aver divulgato notizie coperte da segreto d’ufficio riguardanti l’anarchico Alfredo Cospito. «Ci sarà il secondo e terzo grado di giudizio, che ristabiliranno la verità», ha detto Donzelli, aggiungendo che «i giudici non spiegano nelle motivazioni di quella sentenza per quale motivo quelle notizie fossero riservate».

Secondo la Costituzione, Delmastro è innocente fino a sentenza definitiva. Ma con questa intervista Donzelli dimostra di non aver letto le motivazioni della condanna. Oppure di averle lette, ignorando – o non comprendendo – proprio le spiegazioni che lui stesso sostiene manchino, ma che invece sono presenti.

Vediamo allora che cosa hanno scritto i giudici del Tribunale di Roma e perché hanno condannato il sottosegretario.

La sentenza

Il 21 maggio sono state pubblicate le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Roma ha condannato Delmastro a otto mesi di reclusione e a un anno di esclusione da incarichi pubblici, con pena sospesa, per rivelazione di segreto d’ufficio. Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, ha tra le sue deleghe quella al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP).

Il Tribunale lo ha riconosciuto colpevole per aver comunicato al deputato Giovanni Donzelli il contenuto di una nota riservata, redatta dal Nucleo investigativo centrale (NIC). La nota riportava alcune conversazioni di Alfredo Cospito con altri detenuti sottoposti nel carcere di Sassari al regime del “carcere duro” (previsto dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario), registrate dal Gruppo operativo mobile (GOM). Sia il NIC che il GOM sono reparti specializzati della polizia penitenziaria.

Secondo quanto scritto nella sentenza, la nota del NIC «era stata richiesta insistentemente dallo stesso Delmastro Delle Vedove al capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria». Il 31 gennaio 2023, Donzelli aveva poi divulgato alla Camera il contenuto della nota, per accusare alcuni deputati del Partito Democratico di aver fatto visita a Cospito nel carcere di Sassari, mentre era in sciopero della fame contro il 41-bis. «Il 12 gennaio 2023, mentre parlava con i mafiosi, Cospito incontrava anche i parlamentari Serracchiani, Verini, Lai e Orlando, che andavano a incoraggiarlo nella battaglia», aveva dichiarato il deputato di Fratelli d’Italia, chiedendosi «se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia». 

A sostegno delle sue dichiarazioni, Donzelli aveva citato «documenti che sono presenti al Ministero della Giustizia». Ma per i giudici, quelle informazioni non potevano essere rese pubbliche.

Per i giudici, le informazioni rivelate da Delmastro a Donzelli rientrano «nell’ambito del segreto d’ufficio» e «hanno la copertura penale prevista dall’articolo 326 del codice penale», che punisce il reato di “rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio”. Inoltre, secondo la sentenza, la comunicazione ha «comportato un concreto pericolo per la tutela e l’efficacia della prevenzione e repressione della criminalità». I giudici hanno aggiunto che Delmastro «non può essere ritenuto tanto leggero e superficiale, come per certi versi vorrebbero la Difesa e la Procura, da non aver considerato e non essersi reso conto della valenza e delicatezza, e in definitiva della segretezza, di quelle informazioni».

Al termine delle indagini, la Procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione del caso, sostenendo che mancassero le prove della consapevolezza, da parte di Delmastro, dell’esistenza del segreto d’ufficio su quelle comunicazioni, passate a Donzelli.

Il giudice per le indagini preliminari (GIP) di Roma, però, aveva respinto la richiesta, ordinando al pubblico ministero di formulare l’imputazione nei confronti di Delmastro (la cosiddetta “imputazione coatta”). Secondo il GIP, non era credibile la tesi secondo cui il sottosegretario non avesse compreso che gli atti da lui trasmessi a Donzelli – e poi resi pubblici in Parlamento – fossero coperti da segreto.

Il segreto d’ufficio

Ma perché, secondo i giudici, quelle informazioni erano davvero riservate?

Il Tribunale di Roma, nelle motivazioni, richiama l’interpretazione data dalla Corte di Cassazione al concetto di “segreto d’ufficio”. Questo tipo di segreto riguarda «una specifica informazione riguardante atti e fatti funzionalmente collegati all’attività istituzionale», la cui conoscenza deve essere limitata a chi, per ragioni di ufficio, è incaricato di trattarla. Possono essere anche più persone, ma tutte sono tenute «a non rivelarne il contenuto al di fuori dello stesso ufficio».

Se una persona vincolata al segreto comunica queste informazioni a un soggetto esterno (in questo caso Donzelli), la sua responsabilità non si riduce anche se è quest’ultimo a renderle pubbliche. «È evidente che il segreto d’ufficio vuole proprio evitare che la notizia riservata divenga di dominio privato o pubblico al di fuori delle finalità d’ufficio», hanno spiegato i giudici.

Il rispetto del segreto d’ufficio serve a tutelare il «buon funzionamento della pubblica amministrazione, che potrebbe rimanere pregiudicato dalla rilevazione del contenuto degli atti».

La segretezza delle informazioni

I giudici hanno spiegato perché le informazioni condivise da Delmastro rientrassero nel segreto d’ufficio.

Come detto, il segreto d’ufficio si configura quando le informazioni sono state «apprese in ragione e in forza del proprio ufficio». Nel caso di Delmastro, questo punto è «del tutto pacifico», hanno scritto i giudici: è lui stesso a dichiarare di aver chiesto al capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP) «le notizie in possesso del Dipartimento sul detenuto Cospito».

Secondo la sentenza, il carattere riservato di quelle informazioni non si desume soltanto «dal comune buon senso e dalla clausola di limitata divulgazione apposta dal capo del DAP» sulla nota. In base a quella clausola, il contenuto dell’atto «non può essere oggetto di indiscriminata diffusione ma è destinato solo a chi lo riceve o a chi deve conoscerlo per ragioni di ufficio».

Per i giudici, l’obbligo di segretezza risulta anche «dal complesso di norme che regolano il diritto di accesso agli atti amministrativi». Tra i documenti esclusi dalla consultazione da parte di terzi, la legge elenca quelli che riguardano «le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità», con particolare attenzione «alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini». 

In quest’ambito, secondo il Tribunale di Roma, rientra anche «l’occulta captazione, all’insaputa degli interlocutori, delle conversazioni che intercorrono tra esponenti della criminalità politica e mafiosa (latu sensu), poi riferiti a organi investigativi».

La natura riservata delle informazioni – hanno sottolineato i giudici – è confermata anche dal comportamento dello stesso Ministero della Giustizia. In particolare, il capo di gabinetto ha considerato quelle notizie «coperte da segreto e non liberamente ostensibili». Lo dimostra il fatto che, quando il deputato di Alleanza Verdi-Sinistra Angelo Bonelli ha chiesto di accedere agli stessi atti trasmessi da Delmastro a Donzelli, gli è stato negato «il diritto di visione e copia di quegli atti».

Infine, secondo i giudici, è poco credibile che Delmastro non fosse consapevole del carattere riservato delle informazioni. Il suo profilo personale lo rende «inverosimile»: Delmastro è «laureato in legge, avvocato penalista, sottosegretario con delega agli Istituti di pena», «parlamentare di lungo corso, attento e sensibile ai profili della sicurezza», «chiamato a ricoprire ruoli apicali nell’amministrazione della giustizia e specificamente nella gestione della polizia penitenziaria e degli istituti di pena». «Ebbene, date tutte queste premesse, suona abbastanza singolare che le informazioni contenute nella relazione dei GOM integralmente trasfuse nella scheda del NIC siano state dall’imputato ritenute liberamente divulgabili e non coperte dalla riservatezza del segreto d’ufficio», si legge nelle motivazioni della sentenza.

La difesa di Delmastro

Nel processo, la difesa del sottosegretario ha sollevato varie obiezioni, respinte dai giudici.

Secondo la difesa di Delmastro, le informazioni diffuse dal sottosegretario alla Giustizia non erano coperte da segreto d’ufficio perché sarebbero state già rese pubbliche dalla stampa, per esempio da la Repubblica. Ma per i giudici questa tesi «è priva di fondamento». L’articolo pubblicato da la Repubblica il 31 gennaio 2023 – giorno dell’intervento di Donzelli alla Camera – riportava soltanto che Cospito trascorreva l’ora d’aria «con un camorrista e due mafiosi di cosa nostra» e che condivideva con loro «idee e analisi».

«Si tratta di una notizia del tutto generica – hanno sottolineato i giudici nelle motivazioni della sentenza – la cui vaghezza balza immediatamente agli occhi se la si confronta con le notizie contenute nell’intervento dell’onorevole Donzelli», che gli erano state comunicate da Delmastro.

L’articolo di Repubblica non cita «i nomi dei detenuti per criminalità organizzata» e si limita a parlare «genericamente di condivisione di idee». Al contrario, le informazioni divulgate da Donzelli erano «precise, dettagliate e contestualizzate» e riportavano «precisamente il contenuto di quegli scambi di idee». Inoltre, hanno scritto i giudici, «ben diverso è che una notizia appaia in termini generici in un articolo di giornale rispetto alla diffusione a opera di una fonte qualificata e autorevole».

La difesa ha sostenuto anche che Donzelli, in quanto parlamentare, avesse diritto a conoscere le informazioni trasmesse da Delmastro. Ma, hanno osservato i giudici, non risulta che per i parlamentari «il diritto di accesso sia regolato diversamente e vi sia una contrazione del segreto d’ufficio». A conferma di ciò, la sentenza richiama il fatto che «rispetto a quelle medesime informazioni, pur se ormai di dominio pubblico, il diritto di accesso venne negato all’onorevole Bonelli». Peraltro, «appare contraddizione insanabile» – hanno scritto i giudici – giustificare l’operato di Delmastro «affermando che le informazioni erano pienamente libere e ostensibili», visto che la richiesta di accesso presentata da Bonelli fu respinta.

I giudici hanno rigettato anche un ulteriore argomento della difesa. È «privo del più elementare senso logico – si legge nella sentenza – ritenere che l’indicazione “limitata divulgazione” potesse avere valore solo all’interno del DAP, i cui componenti erano dunque tenuti alla riservatezza, e non avesse invece alcun valore all’esterno». In altre parole, non è credibile sostenere che chi, pur non appartenendo al DAP, fosse venuto a conoscenza di quelle informazioni, potesse poi divulgarle liberamente.

Le conseguenze, secondo i giudici

Secondo il Tribunale, la rivelazione del sottosegretario della Giustizia ha avuto conseguenze potenzialmente gravi.

Le informazioni trasmesse da Delmastro a Donzelli erano «in termini e modi tanto precisi da consentirne una riproduzione letterale» e «rivelavano che i detenuti erano controllati e ascoltati anche al di fuori delle previsioni normative e quanto da loro detto era oggetto di relazioni di servizio».

«Sarà anche stato un segreto di Pulcinella, come osserva nella sua memoria il difensore dell’imputato – hanno commentato i giudici – ed è certamente corretto ipotizzare che i detenuti temano e ritengano di essere ascoltati e osservati». «Tuttavia – prosegue la sentenza – un conto sono le ipotesi che più o meno fondatamente un soggetto formula, altro è la certezza, con collocazione del fatto in un preciso contesto spazio temporale». 

È infatti «certo che, a seguito del clamore mediatico dell’intervento in Parlamento di Donzelli, tanto Cospito che i detenuti di criminalità organizzata vennero a sapere che il loro colloquio era stato ascoltato e riferito».

In questo modo, hanno scritto i giudici, il sottosegretario ha messo a rischio l’efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità. Con il suo comportamento, Delmastro ha creato un «concreto pericolo per la tutela e l’efficacia della prevenzione e repressione della criminalità». Secondo la sentenza, «l’indicazione precisa e circostanziata delle frasi captate poteva mettere i detenuti in condizione di ricostruire il momento in cui le avevano scambiate e individuare, quantomeno a livello di sospetto, il personale che le aveva captate e riferite», esponendolo così a potenziali rischi.

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