La Lega criticava l’astensionismo ai referendum, ora lo promuove

Alcuni politici del partito di Salvini hanno invitato a non votare ai quesiti di giugno. Tempo fa, lo stesso leader e Calderoli la pensavano all’opposto
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
«I cittadini chiamati a esprimersi sul quesito referendario devono essere consapevoli dell’importanza del loro voto e questo è possibile solo portandoli nelle urne e non cavalcando l’onda dell’astensionismo». Questo non è un invito al voto ai referendum dell’8 e 9 giugno da parte della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, né una critica del presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte al recente invito all’astensione fatto dai partiti che sostengono il governo Meloni. Il virgolettato, invece, è tratto dalla relazione con cui, a giugno 2018, l’allora senatore della Lega Roberto Calderoli – attuale ministro degli Affari regionali e delle Autonomie del governo Meloni – aveva presentato una proposta di riforma costituzionale per eliminare il quorum dei referendum abrogativi.

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Secondo la Costituzione, i risultati di un referendum abrogativo sono validi solo se partecipa la maggioranza degli aventi diritto di voto (se si raggiunge il quorum, appunto). Negli ultimi giorni, i partiti che sostengono il governo – che sono contrari sia al referendum sulla cittadinanza sia a quelli sul lavoro – hanno invitato i cittadini ad astenersi e a non andare a votare. «La nostra linea è quella dell’astensione. Non è certo un segnale di disimpegno, anzi: è il massimo dell’impegno. Puntiamo a fare in modo che non si raggiunga il quorum. È una posizione prevista a livello costituzionale», ha dichiarato per esempio Igor Iezzi, capogruppo della Lega in Commissione Affari costituzionali della Camera.

Eppure, in passato la Lega la pensava diversamente sull’astensione ai referendum, tanto che lo stesso leader Matteo Salvini aveva definito «ladri di democrazia» chi invitava gli elettori a non votare ai referendum sulla giustizia promossi dal suo partito nel 2022.

La proposta di Calderoli

A questo si aggiunge per l’appunto il disegno di legge di Calderoli, presentato al Senato nel 2018, quando era in carica il primo governo Conte, sostenuto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. Il testo di Calderoli era formato da un solo articolo e chiedeva di modificare il quarto comma dell’articolo 75 della Costituzione. Quest’ultimo recita: «La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». 

Il testo del senatore leghista proponeva di eliminare l’inciso: «se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto», eliminando così il quorum oggi richiesto affinché i referendum siano validi. «Oggi più che mai è necessario mettere in moto dei meccanismi virtuosi che facciano sentire i cittadini partecipi nei processi decisionali, in primo luogo attraverso l’espressione del voto», si legge nella relazione introduttiva del disegno di legge di Calderoli. «Il quorum necessario per la validità, combinato all’alto livello di astensionismo che si registra nelle tornate elettorali, si traduce nei fatti nella vanificazione di uno strumento di espressione popolare importantissimo, come quello del referendum».
Un estratto della relazione introduttiva alla proposta di riforma costituzionale di Calderoli – Fonte: Senato.it
Un estratto della relazione introduttiva alla proposta di riforma costituzionale di Calderoli – Fonte: Senato.it

L’idea del “referendum propositivo”

Seppure in contraddizione con l’attuale linea del partito, per il deputato della Lega Stefano Candiani la proposta di Calderoli aveva un suo senso. «Il disegno di legge di Calderoli voleva rivitalizzare lo strumento dei referendum, perché se tu togli il quorum, dai ovviamente più potere al referendum di incidere, di avere un effetto», ha detto a Pagella Politica Candiani, che tra giugno 2018 e luglio 2019 è stato sottosegretario al Ministero dell’Interno del primo governo Conte. «Detto questo, all’epoca abbiamo optato con il Movimento 5 Stelle per una proposta di riforma costituzionale più complessiva, che oltre a rivedere il quorum, introduceva il referendum propositivo, ma purtroppo tutto è finito nel nulla con la caduta del governo».

L’ex sottosegretario ha fatto riferimento alla proposta di riforma costituzionale presentata alla Camera a settembre 2018 dall’allora deputato del Movimento 5 Stelle Francesco D’Uva, e sottoscritta da altri deputati sia del Movimento 5 Stelle sia della Lega. Il testo, approvato dalla Camera a febbraio 2019, chiedeva di introdurre nel nostro ordinamento la possibilità di indire i cosiddetti “referendum propositivi”, ossia quelli sulle proposte di legge dei cittadini stessi. In Italia i cittadini possono presentare proposte di legge di iniziativa popolare se raccolgono almeno 50 mila firme. Questo non vuol dire però che le proposte debbano essere esaminate dal Parlamento, né tantomeno che siano approvate.

La proposta di riforma del Movimento 5 Stelle e della Lega introduceva l’obbligo per il Parlamento di esaminare le proposte di iniziativa popolare che avessero ottenuto almeno 500 mila firme. Se il Parlamento non le avesse esaminate entro 18 mesi dalla loro presentazione, doveva essere indetto un “referendum propositivo” per chiedere ai cittadini di esprimersi sulla proposta, ossia se farla diventare legge o meno. Durante l’esame alla Camera, è stato approvato un emendamento del Partito Democratico che ha stabilito [1] la riduzione del quorum per la validità dei referendum abrogativi a un quarto degli aventi diritto anziché il 50 per cento più uno. La stessa soglia sarebbe valsa per i referendum propositivi. Il 21 febbraio 2019 la proposta di riforma è stata comunque approvata dalla Camera solo con i voti favorevoli del Movimento 5 Stelle e della Lega. Nonostante il via libera al suo emendamento, nella votazione finale il PD aveva votato contro, così come Forza Italia, mentre Fratelli d’Italia e Liberi e Uguali si erano astenuti.

Dopo il via libera alla Camera, la proposta è passata al Senato ma si è bloccata a luglio 2019 in seguito alla caduta del primo governo Conte. «Volevamo rivitalizzare lo strumento dei referendum. Oramai ha perso molta forza, e non credo perché ci sia qualcuno che invita all’astensionismo. I motivi sono secondo me un crescente individualismo e un sempre maggiore disinteresse per la politica», ha detto Candiani.

I «complotti» sul referendum sulla giustizia

In ogni caso, è bene ricordare che dichiarare pubblicamente che un referendum è inutile, e che è meglio non partecipare, non è un reato. E anche i titolari di cariche pubbliche possono esprimere questa opinione, purché non abusino del loro ruolo. 

In passato, la Lega aveva comunque criticato altre volte l’astensionismo ai referendum. Per esempio, a giugno 2022 il segretario del partito Matteo Salvini aveva definito «ladri di democrazia» i «giornalisti, politici e magistrati di sinistra» che invitavano a non partecipare ai referendum sulla giustizia promossi quell’anno dalla Lega e dal Partito Radicale. All’epoca, Salvini aveva criticato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l’allora presidente del Consiglio Mario Draghi, che a suo dire avevano parlato poco dei referendum sulla giustizia e «per ricordare agli italiani che votare è un diritto ma è anche un dovere, se il Parlamento non fa certe riforme».
Alla fine i referendum sulla giustizia promossi dalla Lega si sono tenuti il 12 giugno 2022, ma non hanno avuto successo perché l’affluenza è stata in media di circa il 21 per cento degli aventi diritto, nettamente sotto il quorum. Il 13 giugno, commentando i risultati, Calderoli attribuì il fallimento di quei referendum a un presunto «complotto» per spingere i cittadini italiani all’astensionismo. «Non ho il minimo problema a dire che secondo me c’è stato veramente un complotto che abbia agito con singoli soggetti, magari non in forma associativa o collegati, ma ciascuno ci ha messo del suo perché questo quorum non potesse essere raggiunto», aveva detto Calderoli, secondo cui la responsabilità della scarsa partecipazione ai referendum era in parte alla Corte Costituzionale e in parte all’allora governo Draghi. Tra le varie cose, Calderoli aveva criticato la Corte Costituzionale per non aver ammesso il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, che secondo lui avrebbe spinto più persone alle urne, e aveva contestato il governo per la scelta della data del referendum.
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