Il fact-checking del discorso di Meloni in Parlamento

Abbiamo verificato dieci dichiarazioni della presidente del Consiglio, intervenuta in vista del Consiglio europeo
Pagella Politica
Nel pomeriggio di martedì 18 marzo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tenuto in Senato le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo. Nel vertice che si terrà a Bruxelles, in Belgio, i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell’Unione europea discuteranno di competitività, immigrazione, del bilancio dell’Ue e del sostegno militare all’Ucraina. 

Per vedere se sono supportate dai numeri e dai fatti, abbiamo verificato dieci dichiarazioni su questi temi di Meloni, che in aula ha replicato poi agli interventi dei senatori.

La classifica dell’export

«Tra le notizie buone, c’è che proprio lo scorso anno siamo diventati il quarto Paese esportatore al mondo»

Non è vero, come abbiamo spiegato a febbraio in un altro fact-checking. Secondo i dati più aggiornati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel 2024 le esportazioni di merci italiane hanno raggiunto un valore pari a 623,5 miliardi di euro (-0,4 per cento rispetto al 2023). L’anno scorso le esportazioni di sei Paesi hanno raggiunto un valore più alto di quello italiano. In più, la Corea del Sud ha sorpassato l’Italia.
Questa classifica tiene conto solo dell’export delle merci, e non di quello dei servizi, dove l’Italia è ancora più indietro in graduatoria.

L’andamento degli sbarchi

«Nel 2024 gli sbarchi si sono ridotti del 60 per cento rispetto al 2023 e di oltre il 35 per cento rispetto al 2022. E a differenza di quello che ho sentito sostenere, attualmente i numeri di quest’anno sono in linea con quelli del 2024, con piccole oscillazioni»

Le percentuali citate da Meloni sono sostanzialmente corrette. Secondo il Ministero dell’Interno, nel 2024 sono sbarcati oltre 66 mila migranti in Italia, il 58 per cento in meno rispetto ai quasi 158 mila migranti sbarcati nel 2023 (primo anno intero in cui ha governato il governo Meloni). Rispetto al 2022 il calo è stato del 37 per cento.
Dal 1° gennaio al 18 marzo 2025 sono sbarcati in Italia 8.743 migranti, un centinaio in più rispetto allo stesso periodo del 2024.

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I morti in mare

«L’Organizzazione mondiale per le migrazioni ci dice che nel 2024, sulla rotta del Mediterraneo centrale, a fronte di circa 66 mila arrivi, si sono registrati 1.695 morti e dispersi. Nel 2023, con oltre 157 mila arrivi irregolari, i morti e i dispersi sono stati 2.526. Nel 2014, l’anno dell’operazione “Mare Nostrum”, che nasceva per salvaguardare la vita in mare, gli arrivi furono circa 170 mila e si contarono 3.126 morti e dispersi»

I numeri indicati da Meloni sono corretti (in realtà i morti e i dispersi nel 2024 sono stati 1.719), e si possono consultare sul portale del progetto Missing Migrants, curato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).

I centri extra-Ue per i rimpatri

«Al di là della propaganda, penso sia chiaro a tutti che se nella nuova proposta di regolamento si propone di creare centri per i rimpatri in Paesi terzi, è grazie al coraggio dell’Italia che anche su questo ha fatto da apripista»

Meloni ha fatto questa dichiarazione a proposito dei centri per migranti costruiti dall’Italia in Albania, di fatto mai diventati operativi per le sentenze del Tribunale di Roma. La presidente del Consiglio ha detto che «il governo è determinato a portare avanti» questo progetto, ma il riferimento al nuovo regolamento europeo è fuorviante.

L’11 marzo la Commissione europea ha annunciato un nuovo regolamento che ha l’obiettivo di facilitare i rimpatri dei migranti irregolari presenti nell’Ue. Tra le altre cose, il testo prevede la possibilità di trasferire migranti irregolari, che hanno ricevuto un ordine di espulsione, in centri costruiti in Paesi non europei (chiamati return hubs), da cui poi sarebbero effettuati i rimpatri. 

I centri costruiti in Albania sono una cosa diversa. In base alle intenzioni del governo, qui vanno portati migranti salvati nel Mar Mediterraneo dalle autorità italiane, provenienti da alcuni Paesi considerati “sicuri” dal governo. La loro richiesta d’asilo viene esaminata con una procedura più veloce rispetto a quella ordinaria. Come abbiamo visto, invece, i centri di cui parla il regolamento europeo sono centri di rimpatrio.

La guerra in Ucraina

«Dopo più di tre anni di guerra, di sofferenze indicibili per la popolazione civile e perdite ingenti di uomini e mezzi, la Russia controlla circa il 19 per cento del territorio ucraino»

È difficile stabilire con certezza a chi appartenga il controllo dei territori sui quali è in corso una guerra, ma la percentuale citata da Meloni è attendibile, come abbiamo spiegato in un altro fact-checking.

L’articolo 5 del Trattato NATO

«I termini dell’articolo 5 del Trattato NATO non prevedono, come si dice, l’automatica entrata in guerra in caso di aggressione di uno Stato membro. Prevedono l’assistenza alla nazione aggredita con l’azione che si reputa più necessaria»

L’articolo 5 del Trattato della NATO stabilisce che un attacco armato contro uno Stato membro dell’alleanza militare sia considerato un attacco contro tutta l’alleanza. L’articolo precisa, però, che ciascun Paese della NATO può fornire assistenza al Paese aggredito intraprendendo l’azione che ritiene «necessaria», «compreso l’uso della forza armata». Dunque, pur essendoci un obbligo di reazione collettiva, non esiste un vincolo legale che imponga in modo automatico una dichiarazione di guerra o il coinvolgimento militare diretto di ogni singolo Paese. La scelta sulle misure più adeguate da adottare è lasciata alla valutazione nazionale.

Allo stesso tempo, è importante sottolineare che lo spirito dell’articolo 5 è quello della difesa collettiva. Nella pratica, è molto probabile che se uno Stato membro della NATO subisca un’aggressione, gli altri Paesi dell’alleanza reagiscano anche militarmente.

I soldi del ReArm Europe

«La presidente von der Leyen ha indicato in 800 miliardi di euro la sua dimensione complessiva. Credo che sia molto utile precisare, a beneficio del Parlamento e ancor più dei cittadini che ci ascoltano, che questi 800 miliardi di euro non sono né risorse che vengono tolte da altri capitoli di spesa né risorse aggiuntive europee […] Non si tratta di spendere 800 miliardi di risorse attualmente esistenti nei bilanci degli Stati Membri, magari tagliando servizi ai cittadini per poter reperire quelle risorse o smettendo di investire sugli altri capitoli. Si tratta invece della possibilità di ricorrere a deficit aggiuntivo, rispetto a quanto normalmente previsto dal Patto di stabilità»

Al momento non si conoscono ancora molti dettagli del piano ReArm Europe, annunciato a inizio marzo dalla Commissione Ue per aumentare le spese militari dei Paesi europei. In base agli annunci della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, quanto dice Meloni è corretto.

In breve: la cifra degli 800 miliardi di euro fa riferimento alle risorse che in totale potrebbe mobilitare il piano. La Commissione Ue ha annunciato prestiti fino a 150 miliardi di euro da investire in difesa, mentre l’allentamento dei vincoli di bilancio concesso per le spese militari potrà consentire agli Stati Ue di recuperare risorse, a debito, fino a 650 miliardi di euro.

Queste sono stime e dichiarazioni di intento, è bene ribadirlo. In ogni caso, è scorretto sostenere che le risorse del ReArm Europe sono tolte da altri capitoli di spesa, come la sanità e l’istruzione.

Lo stato dei conti pubblici

«Secondo l’ultimo Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale, l’Italia è l’unica nazione del G7 a essere tornata dopo il COVID in avanzo primario»

La dichiarazione di Meloni è corretta. L’avanzo primario fa riferimento alla differenza positiva tra le entrate e le spese delle amministrazioni pubbliche, al netto della spesa per pagare gli interessi sui debiti contratti (quando la differenza è negativa si parla di disavanzo primario).

Secondo l’ultimo rapporto Fiscal Monitor dell’OCSE, pubblicato lo scorso ottobre, nel 2025 l’avanzo primario dell’Italia sarà pari [1] allo 0,2 per cento del PIL. Negli altri Paesi del G7 – Stati Uniti, Canada, Giappone, Francia, Germania e Regno Unito – questo indicatore sarà ancora negativo.

L’andamento dello spread

«Lo spread è stabilmente almeno cento punti al di sotto del livello che registravamo al nostro insediamento»

È vero: come dice Meloni, questo indicatore è migliorato da quando si è insediato il governo, anche se questo miglioramento va contestualizzato.

Lo spread indica la differenza tra il rendimento dei BTP, ossia i titoli di Stato italiani con scadenza a dieci anni, e quello dei suoi corrispettivi tedeschi, i Bund. Semplificando un po’, il rendimento di un titolo di Stato rappresenta il guadagno che un investitore ottiene acquistandolo e tenendolo fino alla scadenza. Di norma, un aumento dello spread è interpretato come un peggioramento della fiducia nei titoli di Stato italiani da parte degli investitori, mentre un calo dello spread è letto come un aumento della fiducia.

Il governo Meloni si è insediato il 22 ottobre 2022. All’epoca lo spread valeva 233 punti base, ossia c’era una differenza del 2,33 per cento tra il rendimento dei titoli italiani e quello dei titoli tedeschi. Il 18 marzo – giorno delle comunicazioni di Meloni in Senato – lo spread valeva circa 110 punti base (Grafico 1).
Grafico 1. Andamento dello spread durante il governo Meloni – Fonte: Il Sole 24 Ore
Grafico 1. Andamento dello spread durante il governo Meloni – Fonte: Il Sole 24 Ore
I numeri, però, mostrano che negli ultimi due anni il calo dello spread è dovuto più all’aumento del rendimento dei titoli di Stato tedeschi rispetto al miglioramento del rendimento dei BTP italiani, che comunque c’è stato.

Conte e le spese militari

«Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in più di un’occasione ha sottoscritto l’impegno ad arrivare al 2 per cento del prodotto interno lordo in difesa»

Meloni ha ragione: quando era presidente del Consiglio, nel 2018 e nel 2019 Conte ha sottoscritto l’impegno di rispettare l’obiettivo fissato dalla NATO e di portare le spese militari italiane a un valore pari al 2 per cento del PIL. 

Va detto comunque che il presidente del Movimento 5 Stelle rivendica quella decisione. Il 14 marzo, ospite dell’Associazione della stampa estera a Roma, Conte ha respinto la descrizione secondo cui il suo partito sarebbe composto da «pacifisti che vorrebbero girare con i fiori in mano, quando governano il Paese, ma non è stato così». «Non è questione di non poter migliorare l’efficientamento del nostro sistema di difesa. Non è questione che non puoi investire di più, sulla base di nuove tecnologie», ha aggiunto Conte, aggiungendo che, secondo lui, «il problema è investire bene».

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