Non è vero che i giudici vogliono bloccare i rimpatri

Lo ripetono vari esponenti del governo Meloni, criticando le decisioni del Tribunale di Roma sui centri in Albania. Le cose, però, non stanno così
ANSA
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Da settimane vari esponenti del governo Meloni ripetono che le decisioni del Tribunale di Roma di non convalidare il trattenimento dei migranti portati nei centri costruiti dall’Italia in Albania impediscono, di fatto, di espellere i migranti irregolari. Per esempio l’11 novembre, durante un comizio elettorale in Emilia-Romagna, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini (Lega) ha detto che «l’ennesimo pronunciamento» della Sezione immigrazione del Tribunale di Roma «impedisce all’Italia di espellere alcuni immigrati irregolari, in questo caso egiziani e bengalesi».

Norme alla mano, questa argomentazione è scorretta, come ha spiegato tra l’altro lo stesso Tribunale di Roma, che l’11 novembre ha disposto che sette migranti trattenuti in Albania fossero riportati in Italia. Il Tribunale di Roma, così come hanno fatto altri tribunali italiani negli scorsi giorni, si è rivolto alla Corte di giustizia dell’Unione europea, chiedendo di chiarire se il nuovo decreto-legge approvato dal governo sui cosiddetti “Paesi sicuri” sia compatibile o meno con le norme europee. Ma procediamo con ordine.

La procedura accelerata di frontiera

La provenienza di un richiedente asilo da un Paese considerato “sicuro” fa sì che la sua domanda di protezione internazionale sia esaminata con la cosiddetta “procedura accelerata di frontiera”. Il 24 ottobre è entrato in vigore il decreto-legge con cui il governo ha riscritto la lista dei Paesi sicuri, prima contenuta in un decreto del Ministero degli Esteri. Ora i Paesi considerati sicuri sono 19 (prima erano 22) e tra questi ci sono Bangladesh ed Egitto, i Paesi di provenienza dei migranti portati in Albania il cui trattenimento non è stato convalidato dai giudici. 

Come suggerisce il nome, la “procedura accelerata di frontiera” ha tempi più veloci rispetto alla procedura ordinaria, o standard, con cui si esaminano le richieste d’asilo in Italia. E data la sua natura, questa procedura accelerata comporta alcune conseguenze per quanto riguarda i diritti fondamentali del migrante. 

Tra queste conseguenze, secondo i giudici del Tribunale di Roma, rientra il trattenimento del richiedente asilo «in appositi spazi situati alla frontiera o nelle zone di transito», comprese le aree in territorio albanese. La legge che ha ratificato l’accordo tra il governo italiano e albanese, infatti, equipara i centri in Albania alle zone di frontiera italiane. Il trattenimento, hanno scritto i giudici, è una «condizione di privazione della libertà personale garantita dall’articolo 13 della Costituzione italiana, dall’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». 

Il decreto di trattenimento del richiedente asilo che proviene da un Paese sicuro va inviato entro 48 ore dal questore all’autorità giudiziaria, che a propria volta ha 48 ore di tempo per convalidare il trattenimento (per i migranti in Albania la competenza è della Questura e del Tribunale di Roma). Qualora sia passato questo termine senza che il provvedimento sia stato emesso, la misura restrittiva cessa di avere effetto.

Un’altra conseguenza della procedura accelerata di frontiera, hanno sottolineato i giudici del Tribunale di Roma, è «la particolare celerità del procedimento, con conseguente compressione dei diritti della difesa». Qui i giudici fanno riferimento alla «drastica riduzione» dei tempi per presentare ricorso contro un’eventuale bocciatura della domanda d’asilo da parte delle commissioni territoriali e «all’esclusione dell’effetto automaticamente sospensivo» di questo ricorso. In parole semplici, se con la procedura accelerata di frontiera la richiesta d’asilo viene respinta e il richiedente asilo fa ricorso, può comunque essere espulso.

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Un Paese “sicuro” per tutti

In base alla sentenza della Corte di giustizia dell’Ue del 4 ottobre scorso, interpretata dalla già citata ordinanza del Tribunale di Roma, un Paese non può essere considerato sicuro «se tale non è per gruppi di individui, sia che ciò dipenda dalla porzione di territorio in cui si trovano o potrebbero trovarsi», «sia che dipenda dalla “categoria” di soggetti alla quale appartengono». Detta altrimenti, la valutazione di un Paese come sicuro deve estendersi a tutte le sue parti di territorio, senza eccezioni, e a tutti i gruppi di cittadini che ci vivono. Secondo i giudici di Roma, dunque, l’applicazione della procedura accelerata di frontiera non può essere consentita quando ci sono «situazioni di persecuzione, discriminazione e maltrattamento come quelle relative a categorie di persone» nel Paese di origine del richiedente asilo. 

La spiegazione di questa scelta è la seguente: la verifica che il singolo richiedente asilo rientri in una delle categorie a rischio non può essere effettuata con una procedura stringata come quella di frontiera, ma soltanto nell’ambito di una «approfondita istruttoria», come quella svolta «nelle procedure amministrative ordinarie di esame della domanda di protezione». Secondo il Tribunale di Roma, solo queste procedure «permettono tempi adeguati di analisi e valutazione della posizione individuale del richiedente e sono soggette eventualmente a impugnazione attraverso ricorsi in sede giurisdizionale esperibili entro termini di decadenza non stringenti».

In altre parole, secondo il Tribunale di Roma la procedura accelerata di frontiera non si può applicare a chi proviene da Paesi che non sono considerabili sicuri per ogni categoria di persone perché accertare che il migrante appartenga a una di queste categorie sarebbe pressoché impossibile nei tempi ristretti in cui si svolge la procedura accelerata di frontiera.

I rimpatri

Torniamo alla domanda iniziale: la decisione dei giudici che non hanno convalidato il trattenimento dei migranti in Albania, in quanto provenienti da Paesi non sicuri, significa che nei loro riguardi è preclusa ogni possibilità di rimpatrio? La risposta è no.

Una volta che sono stati portati in Italia, ai richiedenti asilo si applica la procedura standard di esame della domanda di asilo, in cui è possibile vagliare, in tempi più idonei, se i richiedenti appartengano o meno a una delle categorie i cui diritti sono violati nel Paese d’origine oppure se ci siano gravi motivi di pericolo personale in caso di rimpatrio. Se non sussiste nessuna di queste ipotesi, gli stranieri possono essere rimpatriati nel loro Paese d’origine, sempre che il governo italiano abbia stipulato accordi di rimpatrio con questi Paesi. In mancanza di accordi di questo tipo, i rimpatri non possono avvenire.

Ricapitolando: la mancata convalida dei trattenimenti da parte dei giudici impedisce solo di sottoporre alla procedura accelerata di frontiera chi proviene da un Paese non totalmente sicuro, ferma restando l’applicabilità della procedura standard condotta in Italia, al termine della quale i migranti potranno essere rimpatriati.

Questa conclusione è stata confermata dallo stesso Tribunale di Roma in un comunicato stampa, commentando l’ordinanza dell’11 novembre. «La designazione di Paese di origine sicuro è rilevante solo per l’individuazione delle procedure da applicare; l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio e/o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta o che comunque sia priva dei requisiti di legge per restare in Italia», hanno scritto i giudici. Insomma, il comunicato stampa ha confermato la spiegazione che avevamo dato in un nostro precedente articolo, dopo la precedente mancata convalida dei trattenimenti dei migranti in Albania da parte del Tribunale di Roma.

Secondo alcuni, la circostanza che i migranti possano comunque essere rimpatriati una volta tornati in Italia, a seguito della procedura ordinaria di esame delle loro domande di asilo, dimostrerebbe che i giudici vogliono ostacolare l’attuazione dell’accordo con l’Albania. Questa conclusione dimostra la mancata conoscenza di quanto abbiamo esposto in precedenza e non tiene conto del fatto che basterà aspettare la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea e quella della Corte di Cassazione (chiamata anche lei in causa e la cui decisione è attesa per il prossimo 4 dicembre) per chiarire definitivamente la situazione e non andare incontro a nuove mancate convalide di trattenimento dei migranti in Albania decise dal Tribunale di Roma.

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