Negli ultimi giorni, con il nuovo governo Meloni, l’immigrazione è tornata al centro del dibattito politico e alcuni politici, sia dei partiti di maggioranza che all’opposizione in Parlamento, hanno colto l’occasione per puntare l’attenzione sulle operazioni di rimpatrio dei migranti irregolari. Il 16 novembre, per esempio, il leader di Azione Carlo Calenda ha correttamente ricordato che quando Matteo Salvini (Lega) era ministro dell’Interno, il numero di rimpatri è sostanzialmente rimasto uguale al passato, mentre nella sua informativa alla Camera dello stesso giorno il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che «l’Italia è favorevole a un piano complessivo di sostegno e sviluppo del Nord Africa», «condizionato a una maggiore collaborazione per la prevenzione delle partenze e per l’attuazione dei rimpatri».
Generalmente, quando si parla di “rimpatri” si fa riferimento all’allontanamento dall’Italia di cittadini stranieri, ma il quadro legale in questo ambito è in realtà molto complesso. In che cosa consistono, e come funzionano, queste procedure? E perché i numeri registrati negli anni sono stati inferiori rispetto alle promesse dei partiti?
Generalmente, quando si parla di “rimpatri” si fa riferimento all’allontanamento dall’Italia di cittadini stranieri, ma il quadro legale in questo ambito è in realtà molto complesso. In che cosa consistono, e come funzionano, queste procedure? E perché i numeri registrati negli anni sono stati inferiori rispetto alle promesse dei partiti?