Le elezioni regionali già dividono i partiti, ma non si sa quando ci saranno

Quest’anno si dovrebbe votare in Veneto, Campania, Puglia, Toscana, Marche e Valle d’Aosta, anche se manca ancora la certezza. Sia il governo sia le opposizioni sono divise sui candidati
ANSA / CIRO FUSCO
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In questo inizio di 2025 una parte del dibattito politico si sta concentrando sulle prossime elezioni regionali, anche se ancora non sono state ufficializzate le date del voto. In teoria, quest’anno scade il mandato dei presidenti e dei consigli regionali in sei regioni: Veneto, Campania, Puglia, Toscana, Marche e Valle d’Aosta. Da settimane però varie fonti stampa riportano la possibilità che le elezioni possano essere posticipate al 2026. Una decisione di questo tipo permetterebbe ai partiti al governo e all’opposizione di prendere tempo e di risolvere le divisioni al loro interno su alcune questioni. Al momento questa resta solo un’ipotesi: a differenza di quanto avvenuto per le elezioni comunali, il governo Meloni non ha approvato ancora nessun provvedimento per posticipare le elezioni regionali in programma quest’anno. 

Nonostante l’incertezza sulle date, nelle ultime settimane i partiti hanno intensificato i confronti su chi sostenere tra i futuri candidati presidente di regione. I due casi più spinosi sono quelli di Luca Zaia (Lega) in Veneto e di Vincenzo De Luca (Partito Democratico) in Campania. Entrambi hanno detto più volte che vogliono ricandidarsi, anche se non potrebbero: la legge infatti vieta di candidarsi per più di due mandati consecutivi, già ricoperti sia da Zaia sia da De Luca. 

Anche il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha già svolto due mandati, sostenuto da una giunta di centrosinistra, e ha annunciato che non vuole ricandidarsi. Al contrario, in Toscana e nelle Marche i presidenti di regione uscenti Eugenio Giani (Partito Democratico) e Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia) stanno concludendo il primo mandato e i loro partiti sono intenzionati a sostenerli di nuovo. In Valle d’Aosta la situazione è diversa rispetto a tutte le altre regioni al voto.

Il governo è diviso sul Veneto

Dal 1995, ossia da quando i presidenti di regione sono eletti direttamente dai cittadini, il Veneto è sempre stato guidato da coalizioni di partiti di centrodestra. Per le prossime elezioni, la coalizione formata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – che in Parlamento sostiene il governo Meloni – è divisa e non è chiaro se i partiti che la compongono riusciranno a trovare un accordo sul nome di un solo candidato presidente. 

La Lega spinge da tempo per la ricandidatura di Zaia. Eletto presidente per la prima volta nel 2010, Zaia è stato rieletto per il terzo mandato consecutivo nel 2020, nonostante la legge nazionale preveda che i presidenti di regione possano svolgere al massimo due mandati consecutivi. Questo è stato possibile perché il Veneto ha applicato il limite dei due mandati nel 2012, con l’approvazione della legge elettorale regionale. Siccome la legge non può essere retroattiva, il primo mandato di Zaia – quello tra il 2010 e il 2015 – non è stato conteggiato nel computo totale. 

Terminato il mandato attuale Zaia non potrà ricandidarsi. Negli scorsi mesi la Lega ha cercato più volte di eliminare il limite dei due mandati per i presidenti di regione, proponendo vari emendamenti a provvedimenti esaminati in Parlamento. L’obiettivo è permettere a Zaia di candidarsi ancora, un’ipotesi che al momento vede contrari sia Fratelli d’Italia sia Forza Italia. 

Il partito di Giorgia Meloni ha superato la Lega in Veneto, diventando il partito più votato delle coalizione, e per questo motivo ha rivendicato il diritto di indicare un proprio esponente come candidato presidente. «Io penso che quella di Fratelli d’Italia sia un’opzione che deve essere tenuta in considerazione, ovviamente. Penso che su queste vicende però si debba discutere con grande serenità con gli alleati ed è quello che faremo», ha detto la presidente del Consiglio il 9 gennaio, durante la conferenza stampa di fine anno.

Anche Forza Italia ha espresso la volontà di indicare un proprio esponente come candidato alla presidenza della Regione Veneto. A novembre 2024 il segretario Antonio Tajani ha fatto il nome del parlamentare europeo Flavio Tosi, ex esponente della Lega ed ex sindaco di Verona, entrato in Forza Italia nel 2023.

Il 14 gennaio, durante una conferenza stampa, Zaia ha criticato l’opposizione di Fratelli d’Italia e Forza Italia a una sua ricandidatura. «È inaccettabile che si blocchino i mandati ad amministratori eletti dal popolo perché si creano centri di potere. È inaccettabile che la lezione venga da bocche sfamate da 30 anni dal Parlamento», ha detto l’attuale presidente, che non ha escluso di potersi candidare da solo nel caso in cui gli sia permesso. «Aspettiamo che sulla questione del terzo mandato si esprima la Corte Costituzionale, ma lo può fare anche il governo. Se mai dovesse arrivare lo sblocco dei mandati, io mi ricandiderei sicuramente».

Per quanto riguarda i partiti all’opposizione, fonti del centrosinistra in Veneto hanno spiegato a Pagella Politica che il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e gli altri partiti di centrosinistra si stanno consultando per trovare una candidatura condivisa. Secondo fonti stampa tra i nomi più probabili al momento ci sono il sindaco di Verona Damiano Tommasi e il sindaco di Padova Sergio Giordani. Tommasi e Giordani non sono iscritti a nessun partito del centrosinistra e una loro candidatura sarebbe in linea con quella del 2020. All’epoca il centrosinistra ha candidato il professore universitario Arturo Lorenzoni, che è stato sconfitto da Zaia con circa 60 punti di distacco.
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia – Foto: Ansa
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia – Foto: Ansa

Tutti contro tutti in Campania

Come abbiamo visto, Zaia ha fatto riferimento alla decisione che la Corte Costituzionale dovrà prendere sul ricorso del governo Meloni contro una legge approvata di recente dal Consiglio regionale della Campania, che consentirebbe all’attuale presidente di Regione De Luca di candidarsi per un terzo mandato consecutivo. 

De Luca, eletto per la prima volta alla guida della regione nel 2015 e confermato nel 2020, ha sempre detto di volersi ricandidare, sebbene gli stessi vertici del PD abbiano più volte escluso questa possibilità. «Noi siamo contrari al terzo mandato. Non è un giudizio di valore: abbiamo sostenuto il lavoro prezioso fatto in questi anni in Campania ma le assicuro che adesso è il momento di guardare avanti e costruire un’alternativa. Prima del consenso viene il buonsenso di costruire un’alternativa secondo le regole che ci siamo dati e che valgono per tutti», ha detto la segretaria del PD Elly Schlein il 14 gennaio, ospite di DiMartedì su La7. 

Lo scorso novembre il Consiglio regionale della Campania ha approvato una legge regionale che modifica la legge elettorale regionale, introducendo a tutti gli effetti il limite dei due mandati che la Campania non aveva mai applicato fino a questo momento. Visto che il provvedimento specifica che il conteggio dei mandati decorre a partire «da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge», tecnicamente il primo mandato di De Luca verrebbe escluso dal conteggio e così il presidente campano potrebbe correre una terza volta alle elezioni regionali.

Il 9 gennaio il governo Meloni ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro la norma adottata dalla Campania, perché violerebbe la legge nazionale che impedisce più di due mandati consecutivi per i presidenti regionali. 

La decisione del governo di fare ricorso non è stata condivisa dalla Lega, di cui fa parte il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli. «Durante la riunione del Consiglio dei ministri, il ministro Calderoli ha sottolineato di essere favorevole, come la Lega ha sempre ribadito, a una modifica della legge nazionale su cui per ora non c’è intesa nel governo», hanno fatto sapere dalla Lega al termine della riunione.

In Campania il PD e il Movimento 5 Stelle stanno valutando da tempo un’alternativa alla candidatura di De Luca e il nome più quotato è l’ex presidente della Camera Roberto Fico (Movimento 5 Stelle). Se la Corte Costituzionale dovesse dare ragione alla Campania sul terzo mandato, il PD e il Movimento 5 Stelle dovrebbero quindi cercare di convincere De Luca a farsi da parte. Dal canto suo, forte del suo consenso personale, De Luca potrebbe decidere di candidarsi in solitaria.

In Campania il centrodestra non ha problemi con il terzo mandato, dato che la regione è governata da dieci anni dal centrosinistra. La coalizione che sostiene il governo Meloni è divisa però sul possibile candidato alla presidenza. In diverse occasioni il segretario regionale campano di Forza Italia Fulvio Martusciello ha detto che spetta al suo partito il compito di indicare il candidato presidente della coalizione, ma Fratelli d’Italia si è sempre opposta. Per il partito di Meloni uno dei possibili candidati in Campania potrebbe essere l’attuale viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.
Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca – Foto: Ansa
Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca – Foto: Ansa

Le elezioni in Puglia 

Il presidente della Regione Puglia Emiliano è al suo secondo mandato consecutivo e a ottobre dello scorso anno ha già fatto sapere che non ha la pretesa di candidarsi nuovamente, sebbene la legge elettorale regionale lo consenta. A oggi la legge elettorale pugliese non prevede espressamente un limite ai mandati, e dunque l’attuale presidente potrebbe partecipare alle elezioni. In quel caso però la situazione in Puglia sarebbe identica a quella in Campania e il governo potrebbe fare ricorso anche contro questa regione, sollevando la questione alla Corte Costituzionale. 

Emiliano ha già espresso gradimento come suo possibile successore ad Antonio Decaro, oggi parlamentare europeo del Partito Democratico, ex sindaco di Bari ed ex presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Fino a oggi, la possibile candidatura di Decaro non è stata confermata da nessuno dei partiti del centrosinistra. 

Nemmeno nel centrodestra c’è un nome certo per la candidatura alla carica di presidente, ma nelle ultime settimane è emerso quello del giornalista Nicola Porro. Conduttore di Rete 4 e vicedirettore de Il Giornale, Porro è nato a Roma ma è di origini pugliesi e una sua eventuale candidatura è stata apprezzata da esponenti del centrodestra locale. «Abita a Roma, fa televisione. Ma è senz’altro espressione del territorio. Fosse lui il candidato presidente del centrodestra alle prossime elezioni regionali in Puglia, io lo sosterrei senza riserve e mi darei da fare in prima persona con il mio movimento, “Io Sud”», ha detto a fine dicembre la sindaca di Lecce Adriana Poli Bortone, in un’intervista con Il Foglio.

Al netto dei candidati, l’unica cosa certa è che prima delle elezioni il Consiglio regionale dovrà con tutta probabilità riformare la legge elettorale regionale in alcuni punti, per adeguarla alle norme nazionali. Oltre a non aver recepito il limite di mandati per il presidente di regione, la legge elettorale pugliese non prevede la cosiddetta “doppia preferenza di genere” per i candidati al consiglio regionale, come previsto dalle altre leggi regionali e come indicato dalle norme nazionali per la tutela della parità di genere negli organi amministrativi. La doppia preferenza di genere è l’obbligo per gli elettori di indicare i nomi di candidati di sesso diverso nella scheda elettorale al momento del voto, nel caso in cui decidessero di esprimere la preferenza per due candidati. La Puglia invece prevede la possibilità per gli elettori di esprimere solo una preferenza per i consiglieri regionali. In occasione delle precedenti elezioni regionali, quelle del 2020, era stato il secondo governo Conte a risolvere temporaneamente il problema, facendo convertire in legge dal Parlamento un decreto-legge che imponeva la doppia preferenza di genere in Puglia limitatamente per quelle elezioni. La questione può dunque ripresentarsi nella prossima tornata elettorale, ma negli ultimi giorni la maggioranza di centrosinistra che sostiene Emiliano in Consiglio regionale ha fatto sapere di essere intenzionata a uniformare una volta per tutte la legge elettorale pugliese alle regole nazionali prima del voto.
Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano – Fonte: Ansa
Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano – Fonte: Ansa

Le elezioni in Toscana e Marche

Rispetto a Veneto, Campania e Puglia, in Toscana e Marche ci sono meno problemi per quanto riguarda i nomi dei candidati. In queste due regioni infatti la questione del terzo mandato non si pone: il presidente della Toscana Giani (PD) è al suo primo mandato alla guida della regione e lo stesso vale per il presidente delle Marche Acquaroli. 

Già presidente del Consiglio comunale di Firenze e del Consiglio regionale, Giani è stato eletto presidente di regione per la prima volta nel 2020 e ad agosto 2024 il PD locale lo ha confermato come proprio candidato alle elezioni regionali del 2025. Cinque anni fa Giani era stato eletto presidente della regione con il sostegno del PD, di Italia Viva, di Sinistra Italiana ed Europa Verde, ma non del Movimento 5 Stelle, che all’epoca aveva sostenuto la candidatura di Irene Galletti, arrivata terza dietro a Giani e alla candidata del centrodestra Susanna Ceccardi. 

Non è chiaro se questa volta il partito di Giuseppe Conte sosterrà un’eventuale ricandidatura di Giani, ma durante il suo mandato l’attuale presidente ha cercato di instaurare un rapporto con il Movimento 5 Stelle, chiedendo di sostenere i candidati del centrosinistra in varie elezioni comunali in Toscana. Per quanto riguarda il centrodestra, il nome emerso in questi mesi è quello di Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, la cui candidatura non è stata ancora confermata definitivamente. 

Nelle Marche il presidente uscente Acquaroli è pronto a ricandidarsi per il centrodestra. La coalizione di centrosinistra non ha ancora scelto il suo sfidante, ma secondo fonti stampa potrebbe essere l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci, esponente del PD e oggi parlamentare europeo. Nel 2020 il PD e gli altri partiti di centrosinistra, a eccezione del Movimento 5 Stelle, hanno sostenuto la candidatura di Maurizio Mangialardi, già sindaco di Senigallia, che ha ottenuto il 37 per cento dei voti, arrivando secondo dietro ad Acquaroli (49 per cento).

Il caso della Valle d’Aosta

A differenza delle altre regioni al voto, alle elezioni regionali di quest’anno i cittadini della Valle d’Aosta non eleggeranno direttamente il loro presidente di regione. 

Come avviene nella provincia autonoma di Bolzano, la legge elettorale della Valle d’Aosta stabilisce infatti che i cittadini eleggano i membri del Consiglio, ma non il presidente di regione. Quest’ultimo viene scelto tra i membri del Consiglio regionale dopo le elezioni regionali, che deve ottenere il sostegno di una maggioranza all’interno del consiglio stesso. Attualmente il presidente della Regione è Renzo Testolin, esponente dell’Union Valdôtaine, il principale partito autonomista della regione che dal 1948 a oggi ha espresso la maggior parte dei presidenti di regione. A oggi Testolin è sostenuto da una maggioranza di centrosinistra, di cui fa parte anche il Partito Democratico, ma la situazione può cambiare. 

«Il nostro motto è “Ni droite, ni gauche”, ossia “Né destra, né sinistra”», hanno spiegato fonti di Pagella Politica nell’Union Valdôtaine. «Noi oggi governiamo con il centrosinistra, ma tutto dipenderà dai rapporti di forza che si determineranno dopo le prossime elezioni regionali. A oggi i nostri interlocutori privilegiati sono la sinistra moderata, e quindi il Partito Democratico, o la destra moderata, quindi per intenderci Forza Italia», ha concluso la nostra fonte.

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