Il Pil e gli occupati non crescono grazie all’abolizione del reddito di cittadinanza

Secondo il ministro Urso le revisione del sussidio contro la povertà sta già portando risultati «chiari», ma i numeri e i fatti dicono altro
ANSA
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Il 27 giugno, durante un convegno della Confederazione generale dei sindacati autonomi dei lavoratori (Confsal), il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) ha fatto alcune dichiarazioni piuttosto discutibili, fatti e numeri alla mano, sui risultati raggiunti dal governo Meloni in ambito economico. 

Secondo Urso nel 2022 in Italia c’erano «3 milioni di giovani Neet», un acronimo dall’inglese neither in employment or in education or training, che indica chi non ha un lavoro e non è iscritto a un corso di studi o di formazione professionale. Questo dato dimostrerebbe che «il reddito di cittadinanza ha diffuso la cultura che non era necessario lavorare». Urso ha poi detto che il governo ha approvato una «revisione del reddito di cittadinanza», il cui «risultato è chiaro a tutti»: «Siamo cresciuti di più, siamo cresciuti meglio, perché appunto, avendo abolito il reddito di cittadinanza, nella prima parte di quest’anno sono stati creati oltre mezzo milione di nuovi posti di lavoro in tre mesi».

Punto per punto, vediamo che cosa non torna in queste dichiarazioni del ministro delle Imprese e del Made in Italy. In breve: non ci sono prove per dire che l’aumento dell’occupazione e del Pil siano merito della sola annunciata revisione del reddito di cittadinanza, che oggi esiste ancora e sarà definitivamente abolito il prossimo anno.

La questione dei Neet

Partiamo dal numero dei giovani Neet in Italia. Secondo Eurostat negli ultimi tre mesi del 2022 i Neet nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni erano poco più di 1,5 milioni nel nostro Paese: la metà rispetto ai «3 milioni» citati da Urso. Il numero dei Neet in Italia è in costante calo dall’inizio del 2021 e nei primi tre mesi di quest’anno è sceso ulteriormente di circa 80 mila unità.

Al di là delle legittime posizioni politiche di Urso sul reddito di cittadinanza, è vero che il numero di Neet dimostra che il sussidio ha disincentivato i giovani a cercare lavoro? Su questo punto ci torneremo meglio più avanti, ma un dato mostra subito perché il ragionamento del ministro è poco solido. Negli ultimi tre mesi del 2018, ossia prima che venisse introdotto il reddito di cittadinanza a gennaio 2019, i Neet tra i 15 e 29 anni erano circa 2,1 milioni, una dato più alto di quello dell’anno scorso. Tra il 2013 e il 2014, più di cinque anni prima dell’introduzione del reddito di cittadinanza, il numero dei Neet aveva superato la quota di 2,4 milioni, quasi un milione in più rispetto al dato attuale. 

Secondo i dati Eurostat più aggiornati, in Italia il 16,6 per cento delle persone nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni non ha un lavoro e non lo cerca, la percentuale di Neet più alta tra i 27 Paesi dell’Unione europea. Tra il 2013 e il 2018 però questa percentuale era compresa tra il 26 e il 23 per cento, dunque era più alta prima dell’introduzione del reddito di cittadinanza. Negli ultimi anni un aumento dei Neet, sia in valori assoluti che percentuali, è stato registrato solo nel 2020, durante la pandemia di Covid-19, seguito come detto poi da un calo. Ma una dinamica simile è stata registrata in altri Paesi europei, come Spagna e Grecia, segno dell’impatto che la crisi economica dovuta alla pandemia ha avuto sul mercato del lavoro internazionale.

La revisione del reddito di cittadinanza

Prima di capire come leggere i numeri con attenzione, vediamo come funziona la revisione del reddito di cittadinanza, introdotto a gennaio 2019 come misura di contrasto alla povertà e di politica attiva del lavoro. Come abbiamo spiegato negli anni in molte analisi, e più di recente in un ebook per i nostri sostenitori, se i risultati migliori del reddito di cittadinanza sono stati ottenuti nel sostegno alle fasce più povere, quelli peggiori sono stati nell’ambito occupazionale, che hanno visto il coinvolgimento dei centri per l’impiego.

Con la legge di Bilancio per il 2023, approvata alla fine di dicembre dello scorso anno, il governo Meloni ha fissato una serie di limiti per i percettori del reddito di cittadinanza tra i 18 e i 59 anni senza minori, disabili e anziani a carico, annunciando che il sussidio sarebbe stato abolito nel 2024. Il 1° maggio il governo ha poi approvato un decreto-legge, al momento all’esame del Parlamento per la conversione in legge, con i dettagli sulle misure che sostituiranno il reddito di cittadinanza. Dal prossimo anno entrerà in vigore il cosiddetto “assegno per l’inclusione sociale”, un sussidio economico che integra il reddito delle famiglie in cui è presente almeno un minore, o una persona con più di sessant’anni di età, o un disabile. L’altra misura che sostituirà il reddito di cittadinanza si chiama “supporto per la formazione e il lavoro”: sarà destinata alle persone tra i 18 e i 59 anni di età con un Isee familiare inferiore a 6 mila euro e che non hanno i requisiti per accedere all’assegno di inclusione sociale. Il supporto per la formazione al lavoro sarà attivato già dal 1° settembre 2023.

Gli effetti sull’economia

Negli anni molti politici hanno attaccato il reddito di cittadinanza, accusandolo di incentivare i percettori a non voler lavorare, spesso con argomenti fuorvianti e dati ingannevoli. Tra i politici critici del reddito di cittadinanza c’è appunto il ministro Urso, che come abbiamo visto sostiene che senza il sussidio ora l’occupazione aumenta, invece che diminuire. Questa teoria ha però bisogno di numeri e di studi per poter essere ritenuta fondata.  

Quando si parla di politiche come il reddito di cittadinanza non basta, per individuare un rapporto di causa-effetto, notare che in contemporanea alla revisione del sussidio c’è stato un aumento degli occupati. Per individuare nessi causali è necessario stimare, con studi scientifici, la differenza tra l’andamento dell’occupazione senza la riforma del reddito di cittadinanza da parte del governo Meloni e l’andamento con la riforma. Ovviamente in questi mesi stiamo assistendo soltanto alla situazione in cui il reddito di cittadinanza è stato riformato. Proprio per questo motivo servono studi con metodi statistici rigorosi: senza un’analisi attenta si rischia di avere stime troppo grossolane. Per esempio l’aumento degli occupati potrebbe dipendere da molte cause diverse tra loro, e non semplicemente da una, come la revisione del reddito di cittadinanza. 

Due osservazioni mostrano però che la teoria del ministro Urso non sta in piedi, alla luce dei numeri e dei fatti. Prima osservazione: non è chiaro come un aumento dell’occupazione possa essere stato causato da un provvedimento, la revisione del reddito di cittadinanza, che non è ancora diventato effettivo. A oggi il reddito di cittadinanza esiste ancora e, con tutta probabilità, la sua revisione mostrerà effetti concreti quando diventerà ufficialmente operativa. 

Seconda osservazione: ma l’aumento degli occupati di cui parla Urso c’è stato davvero? La risposta è sì. Secondo Istat, nei primi tre mesi del 2023 gli occupati in Italia sono aumentati di 513 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2022, l’«oltre mezzo milione» di cui ha parlato il ministro al convegno della Confsal. La stessa Istat spiega però che questo è «l’ottavo trimestre consecutivo in cui si osserva un aumento tendenziale dell’occupazione»: dunque gli occupati crescono da oltre oltre due anni, un periodo che coincide con la fine della fase più dura della crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19. Anche qui assegnare il merito dell’aumento al solo annuncio della revisione del reddito di cittadinanza non ha senso (ricordiamo che le nuove misure che sostituiranno il sussidio sono state presentate a inizio maggio, quindi in un periodo non coperto dai dati Istat appena visti).

Lo stesso discorso vale per il Pil. Secondo i dati Istat più aggiornati nel primo trimestre del 2023 il Pil italiano è cresciuto dello 0,6 per cento rispetto ai tre mesi precedenti, una percentuale più alta delle attese. Fatta eccezione per l’ultimo trimestre del 2022, il Pil italiano è comunque sempre cresciuto di tre mesi in tre mesi da gennaio 2021 in poi. 

Ricapitolando: è vero che il Pil e gli occupati continuano a crescere negli ultimi mesi, ma al momento non ci sono prove per dire che questo è merito anche dell’annunciata revisione del reddito di cittadinanza, di cui tra l’altro Urso parla come se fosse già stato abolito.

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