È vero che il governo ha aumentato l’età della pensione?

Secondo Conte sì, ed è stato un tradimento delle promesse elettorali. Abbiamo controllato se dice la verità
ANSA/LUCA ZENNARO
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Uno dei temi al centro della discussione sulla nuova legge di Bilancio per il 2026, ora all’esame del Senato, riguarda le novità per il sistema pensionistico, come ormai avviene da anni. Durante la puntata di Porta a Porta su RAI1 del 5 novembre, per esempio, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha accusato il governo Meloni di aver aumentato l’età pensionabile, cioè l’età minima richiesta per ottenere la pensione di vecchiaia. «Questo governo ha preso i voti per tutt’altro», ha aggiunto.

Abbiamo verificato se ha ragione e, come spesso accade quando si parla di pensioni, la realtà è più complicata di una semplice accusa politica.

Come funziona l’età pensionabile

In base alle regole attuali, possono chiedere la pensione di vecchiaia i lavoratori che hanno almeno 67 anni di età e hanno versato i contributi previdenziali per almeno 20 anni. Il requisito dei 67 anni, però, non è fisso ma viene adeguato periodicamente a seconda dell’aumento della speranza di vita. 

Questo meccanismo di adeguamento è stato introdotto durante il quarto governo Berlusconi, prima dell’approvazione della cosiddetta “legge Fornero”, che alla fine del 2011 ha riformato in modo profondo il sistema pensionistico, alzando l’età di uscita dal lavoro e legando più strettamente l’erogazione della pensione ai contributi effettivamente versati.

L’adeguamento dell’età pensionabile all’aumento della speranza di vita serve a mantenere sostenibile il sistema pensionistico, bilanciando il numero di lavoratori e pensionati e garantendo assegni adeguati nel tempo.

In origine gli adeguamenti erano previsti ogni tre anni, a partire dal 1° gennaio 2013. Dal 2019 vengono aggiornati ogni due anni e valgono anche per gli assegni sociali, cioè le prestazioni economiche destinate alle persone con più di 67 anni che non hanno maturato contributi sufficienti, e per i requisiti contributivi della pensione anticipata, ossia il numero minimo di anni di contributi necessario per andare in pensione prima dell’età di vecchiaia.

Il compito di stabilire l’adeguamento è stato affidato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che deve tenere in considerazione i dati di ISTAT sulla speranza di vita a 65 anni di età, ossia il numero medio di anni che una persona di 65 anni può aspettarsi di vivere.

I primi tre adeguamenti, scattati nel 2013, 2016 e 2019, hanno fatto aumentare l’età pensionabile rispettivamente di tre, quattro e cinque mesi. Nel 2021, 2023 e 2025, invece, non ci sono stati ulteriori aumenti, perché secondo i calcoli dell’ISTAT la speranza di vita è diminuita – anche a causa della pandemia di COVID-19 – e quindi non si sono verificate le condizioni per un nuovo rialzo.

Che cosa cambierà dal 2027

Le cose adesso sono cambiate. Secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato, elaborate sulla base delle proiezioni demografiche pubblicate lo scorso luglio dall’ISTAT, la speranza di vita è tornata ad aumentare. In base alle regole, dal 1° gennaio 2027 l’età pensionabile dovrebbe aumentare di tre mesi. Ma il governo è intervenuto per limitare questa novità.

Il disegno di Bilancio per il 2026, ora all’esame del Senato, propone che l’età pensionabile aumenti solo di un mese – e non di tre – nel 2027, mentre l’aumento pieno – quello di tre mesi – scatterà nel 2028. Saranno comunque escluse dall’aumento dell’età pensionabile alcune categorie di lavoratori, come quelli che svolgono mansioni gravose o usuranti.

La misura avrà un costo per lo Stato, stimato in oltre 1,1 miliardi di euro nel 2027, perché permettere a più persone di andare in pensione prima comporta un aumento della spesa per gli assegni previdenziali. A questi si aggiungono alcune decine di milioni l’anno per la deroga concessa ad alcuni lavoratori.
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Il rinnovo dell’APE sociale

A proposito di pensioni, il disegno di legge di Bilancio per il 2026 propone di prorogare fino alla fine del 2026 la cosiddetta “APE sociale” (la sigla “APE” sta per “anticipo pensionistico”), una misura che scadeva quest’anno e garantisce un sostegno economico a chi è vicino alla pensione ma si trova in condizioni di fragilità. Potranno beneficiarne, a partire dai 63 anni e mezzo di età e con almeno 30 anni di contributi, persone disoccupate, invalidi civili e lavoratori impegnati in mansioni gravose. L’assegno, di natura assistenziale, è erogato dall’INPS fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia, per un importo massimo di 1.500 euro lordi al mese. 

Per il 2026 sono stimati circa 24.000 nuovi beneficiari, con un costo per lo Stato di 170 milioni di euro, destinato a crescere negli anni successivi.

Le misure non prorogate

Il disegno di Bilancio per il 2026, però, non ha riconfermato due misure temporanee che erano state rinnovate dalla legge di Bilancio per il 2025 e permettevano ai lavoratori di andare in pensione prima del previsto. 

Se la nuova legge di Bilancio sarà approvata così com’è, non sarà più possibile andare in pensione con “quota 103”, che consentiva l’uscita a 62 anni di età e 41 di contributi, né con “Opzione donna”, riservata alle lavoratrici con almeno 61 anni e 35 di contributi appartenenti a categorie fragili come assistenti familiari, invalide o licenziate.

Entrambe le misure permettevano di anticipare la pensione rispetto ai requisiti ordinari, ma con un ricalcolo meno favorevole dell’assegno della pensione, e con costi per le casse dello Stato.

Le promesse elettorali

Nel programma per le elezioni politiche del 25 settembre 2022, i partiti di destra e centrodestra che sostengono il governo Meloni avevano promesso «flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione, favorendo il ricambio generazionale».

I programmi dei singoli partiti erano stati più specifici e ambiziosi. La Lega aveva proposto di introdurre la pensione anticipata con 41 anni di contributi per tutti e di abbassare a 63 anni l’età pensionabile per le donne, riconoscendo un anno di contributi figurativi per ogni figlio. Fratelli d’Italia, tra le altre cose, aveva scritto di volere lo «stop all’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita» e il «rinnovo della misura “Opzione donna”».

Dopo oltre tre anni di governo Meloni, nessuna di queste proposte è diventata realtà.

In conclusione

In sintesi, Conte ha ragione nel dire che l’età pensionabile aumenterà, se il disegno di Bilancio per il 2026 sarà approvato così com’è, ma questo aumento è dovuto a un meccanismo automatico legato al miglioramento della speranza di vita. Il governo Meloni ha scelto di limitarne l’effetto, rinviando di un anno l’aumento pieno e mantenendo alcune deroghe per i lavori più gravosi.

Diverso è il caso di “quota 103” e “Opzione donna”, misure temporanee non prorogate con la manovra: una scelta che riduce le possibilità di pensionamento anticipato, pur non modificando le regole ordinarie. 

Nel complesso, il quadro che emerge è più prudente di quanto promesso in campagna elettorale, quando i partiti di maggioranza avevano annunciato maggiore facilità per andare in pensione prima del previsto.

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