Dal “premierato” ai record: il fact-checking degli appunti di Giorgia

Abbiamo verificato sei dichiarazioni della presidente del Consiglio, che non l’ha raccontata sempre giusta
Pagella Politica
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Il 10 novembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato sui social network una nuova puntata della videorubrica “Gli appunti di Giorgia”, dove in mezz’ora circa ha elencato quanto fatto dal governo nelle ultime settimane.

Dalla riforma costituzionale per l’elezione diretta del presidente del Consiglio ai primati nel mondo del lavoro, passando per la sanità e gli asili nido, abbiamo controllato sei dichiarazioni di Meloni per vedere quali corrispondono al vero e quali no. La presidente del Consiglio non l’ha raccontata sempre giusta.

La durata dei governi

«Dalla nascita della repubblica noi abbiamo avuto 31 presidenti del Consiglio,  68 governi in 75 anni. Significa a spanne un presidente del Consiglio ogni due anni e mezzo, un governo ogni anno e qualche mese dall’inizio della Repubblica […]. Nessun governo è rimasto in carica cinque anni e un solo presidente del Consiglio è rimasto in sella per un’intera legislatura: Silvio Berlusconi, una volta sola, ma con due governi diversi»

Partiamo dalla prima parte della dichiarazione: i numeri sui governi indicati da Meloni sono corretti. Dal 1946 in poi alla guida del Paese si sono succeduti 68 governi, compreso quello attuale: in media i governi italiani sono durati 416 giorni, ossia circa 14 mesi. I presidenti del Consiglio, compresa Giorgia Meloni, sono stati fino a oggi 31: in media uno ogni 29 mesi. 

Non è vero invece, come ha detto Meloni, che Berlusconi è stato l’unico presidente del Consiglio a rimanere in carica per un’intera legislatura. L’ex leader di Forza Italia ci è riuscito nella quattordicesima legislatura, tra maggio 2001 e aprile 2006, a capo di due governi. Ma lo stesso traguardo è stato raggiunto anche da Alcide De Gasperi nella prima legislatura, a capo però di tre governi tra maggio 1948 e luglio 1953.

La riforma del “premierato”

«La riforma [del “premierato”] è semplice: tocca appena quattro articoli su 139 della Costituzione […]. Prevede che i poteri del presidente della Repubblica non vengono toccati, salvo ovviamente il fatto che l’incarico di formare il governo viene automaticamente assegnato al candidato che si è affermato nelle urne»

È vero che il disegno di legge di riforma costituzionale approvato il 3 novembre dal governo propone di modificare quattro articoli della Costituzione: gli articoli 59, 88, 92 e 94. Il governo vuole introdurre in Costituzione l’elezione diretta del presidente del Consiglio (una forma del cosiddetto “premierato”): il presidente della Repubblica non avrà più così il potere di «nominare» il capo del governo, come previsto ora dalla Costituzione, ma si limiterà a «conferire» al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il governo. Il potere di nomina rimarrà invece per i singoli ministri. 

È scorretto però dire che questo sarà l’unico potere del presidente della Repubblica “toccato” dalla riforma. Come ha spiegato la stessa Meloni nel video, il disegno di legge propone altre modifiche alla Costituzione che avranno conseguenze sui poteri del capo dello Stato. In base alla proposta del governo, se il presidente del Consiglio eletto non ottiene la fiducia del Parlamento, il presidente della Repubblica gli rinnova l’incarico per una seconda volta, sciogliendo le camere solo in caso di ulteriore sfiducia. In caso di dimissioni, impedimento o sfiducia delle camere, il presidente della Repubblica dovrà affidare l’incarico di formare un nuovo governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare della maggioranza, ma solo per realizzare il programma di governo e le dichiarazioni programmatiche approvate dal presidente inizialmente eletto. Solo se il governo non ottiene la fiducia, il capo dello Stato può sciogliere le camere. Il presidente della Repubblica non potrà così più affidare l’incarico di formare un governo a figure tecniche.

Il capo dello Stato verrà poi privato di un altro potere, se la riforma dovesse essere approvata definitivamente: non potrà più infatti nominare i senatori a vita. In generale alcuni costituzionalisti hanno fatto notare che un presidente del Consiglio eletto direttamente dagli elettori avrà una legittimazione maggiore del presidente della Repubblica, che rimarrà eletto dal Parlamento.

Il rinnovo del taglio del cuneo fiscale

«Noi confermiamo per l’intero 2024 il taglio dei contributi a carico dei lavoratori dipendenti che hanno redditi fino a 35 mila euro, con un aumento mensile in busta paga che si aggira intorno ai 100 euro»

È vero: con il disegno di legge di Bilancio per il 2024, ora all’esame del Senato, il governo vuole prorogare temporaneamente, solo per il prossimo anno, il taglio del cosiddetto “cuneo fiscale” già in vigore quest’anno. Il cuneo fiscale è la differenza tra il lordo e il netto in busta paga: la proposta del governo è confermare un taglio di 7 punti percentuali dei contributi per i lavoratori con una retribuzione fino a 25 mila euro e di 6 punti percentuali per i lavoratori con una retribuzione fino a 35 mila euro. 

Secondo le stime, grazie al taglio del cuneo fiscale i lavoratori beneficeranno fino a un massimo di 100 euro al mese. Non sono però soldi in più rispetto a quelli percepiti quest’anno: in altre parole, i beneficiari del taglio del cuneo fiscale avranno in busta paga lo stesso beneficio avuto quest’anno, non più alto.

I soldi per gli asili nido

«Abbiamo aumentato i fondi per gli asili nido per andare nella direzione di rendere il nido gratuito dopo il primo figlio. Portiamo a 3.600 euro l’anno il “bonus nido” per i nuclei familiari che hanno un Isee fino a 40 mila euro e nei quali sia già presente almeno un figlio di età inferiore ai 10 anni»

Al netto che il disegno di legge di Bilancio per il 2024 non è ancora stato approvato definitivamente, è vero che nel testo il governo ha proposto di aumentare il “bonus asilo nido”. La presidente del Consiglio ha però omesso almeno due informazioni importanti. 

La prima omissione: potranno beneficiare di un “bonus asilo nido” più alto le famiglie che avranno un secondo figlio a partire dal 1° gennaio 2024. Per intenderci, una famiglia che ha già un figlio di due anni e ne ha avuto un altro nel 2023, non potrà beneficiare di un “bonus asilo nido” più ricco per il secondo figlio. 

La seconda omissione: in alcune città il “bonus asilo nido”, anche se aumentato, non basterà per coprire le rette intere per le iscrizioni alle strutture.

I soldi per la sanità

«Il governo stanzia oltre 3 miliardi aggiuntivi per la spesa sanitaria che nel 2024 supererà i 136 miliardi di euro, cifra mai raggiunta prima. E diciamo all’incirca di 10 miliardi superiore a quello che c’era negli anni del Covid»

Nel disegno di legge di Bilancio per il 2024 il governo ha stanziato per il Servizio sanitario nazionale 3 miliardi di euro in più nel 2024, 4 miliardi nel 2025 e 4,2 miliardi dal 2026 in poi. Questi soldi serviranno per rinnovare i contratti del personale sanitario e per ridurre le liste d’attesa. Il prossimo anno la spesa sanitaria si aggirerà così intorno ai 136 miliardi di euro, la cifra indicata da Meloni, che è in effetti la più alta mai raggiunta. Stiamo parlando di circa 10 miliardi di euro in più rispetto al 2020 e di oltre 8 miliardi di euro in più rispetto al 2021

Ma la presidente del Consiglio ha omesso di dire una cosa importante: tra il 2020 e oggi c’è stato un forte aumento dell’inflazione e dunque gli aumenti serviranno, nella migliore delle ipotesi, proprio a cercare di compensare l’aumento dei prezzi.

I record sul mondo del lavoro

«In questi 12 mesi il mercato del lavoro ha fatto registrare una serie di record occupazionali; maggior numero di occupati di sempre; maggior numero di occupati donna di sempre; maggior numero di lavoratori a tempo indeterminato di sempre; tasso di occupazione più elevato di sempre; […] il tasso di disoccupazione è sceso a livello più basso degli ultimi 14 anni»

Secondo i dati Istat più aggiornati, a settembre 2023 in Italia c’erano quasi 23,7 milioni di occupati, il numero più alto da quando abbiamo a disposizione le serie storiche mensili. Le donne occupate erano quasi 10 milioni, anche in questo caso il dato più alto. Gli occupati a tempo indeterminato erano oltre 15,6 milioni e il tasso di occupazione era pari al 61,7 per cento, altri due record. Il tasso di disoccupazione era pari al 7,4 per cento, una percentuale che non si vedeva dal 2009 (già comunque registrata nel mese di giugno 2023).

Come abbiamo spiegato in altri fact-checking, il miglioramento dei dati sull’occupazione non è iniziato con il governo Meloni, ma è in atto da tempo, almeno dall’inizio del 2021. Già durante il governo Draghi, in vari mesi erano stati raggiunti primati, poi aumentati ancora durante il governo Meloni.

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