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Davvero il salario minimo non costa nulla allo Stato?

| 30 agosto 2023
La dichiarazione
«Il salario minimo non costa un euro allo Stato»
Fonte: Domani | 30 agosto 2023
Ansa
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Verdetto sintetico
Il responsabile economia del PD la fa troppo semplice
In breve
  • In linea di massima è vero: il salario minimo è sostanzialmente una misura a costo zero per le casse pubbliche. TWEET
  • Ci possono essere però costi “nascosti” per lo Stato, per esempio la perdita di gettito nel caso in cui aumentasse il lavoro irregolare. TWEET
  • La proposta di legge dei partiti all’opposizione prevede poi la creazione di un fondo per compensare le aziende che dovranno aumentare i salari per raggiungere il minimo. Questo avrà un costo per le casse dello Stato. TWEET
Il 30 agosto, in un’intervista con Domani, il senatore del Partito Democratico Antonio Misiani ha dichiarato che il salario minimo orario, imposto per legge, «non costa un euro allo Stato». Secondo il responsabile economia del PD, infatti, «sono i datori che devono retribuire dignitosamente i lavoratori sottopagati».

Le cose però non stanno del tutto così: Misiani la fa troppo semplice sui costi del salario minimo.

I costi del salario minimo

Partiamo dal fulcro della questione: è vero che il salario minimo è sostanzialmente una misura a costo zero per le casse pubbliche. Questa misura non è un sussidio, ma è un obbligo imposto per legge che impone alle imprese di aumentare, fino a una determinata soglia oraria, le retribuzioni che pagano di tasca loro ai dipendenti. La proposta dei partiti di opposizione (eccetto Italia Viva) è quella di fissare il salario minimo a 9 euro lordi l’ora, un valore su cui c’è dibattito tra gli economisti e i partiti.

Detto questo, esistono comunque possibili costi “nascosti” per lo Stato, come sottolineato anche dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). 

In un’applicazione che potremmo definire “standard” del salario minimo, ossia imponendo una retribuzione minima oraria per legge senza alcun altro tipo di limitazione o incentivo, l’unico effetto negativo diretto sui conti pubblici sarebbe l’obbligo di aumentare gli stipendi pubblici in modo da adeguarli al salario minimo. Considerando il forte potere contrattuale dei sindacati nel settore pubblico, è però improbabile che in Italia ci sia una quota rilevante di lavoratori pubblici che guadagnano meno del minimo. È più probabile invece che aumentino i costi per il personale esterno a basso valore aggiunto, per esempio per i servizi di vigilanza negli ospedali o in altri edifici pubblici, con retribuzioni inferiori al minimo. Ma anche in questo caso non si tratterebbe di una percentuale di lavoratori rilevante rispetto al totale dell’occupazione nel pubblico.

C’è poi un secondo aspetto, questa volta indiretto, che potrebbe rivelarsi negativo per i conti pubblici: la perdita di gettito e l’aumento della spesa per sussidi dovuta alla crescita della disoccupazione e del lavoro nero. Se il valore del salario minimo viene fissato a un livello troppo elevato, si rischia di spingere le imprese meno competitive, ossia quelle che pagano salari molto bassi, a licenziare personale o a ricorrere al lavoro nero. Il salario minimo potrebbe rendere il lavoro legale troppo costoso e mandare fuori mercato l’impresa, soprattutto se ha margini troppo bassi.

La letteratura scientifica sul tema ha finora mostrato risultati variegati: in alcuni Paesi il salario minimo ha avuto un impatto negativo sull’occupazione, seppure contenuto, in altri positivo, in altri nullo. 

Supponiamo che in Italia si registri un aumento della disoccupazione a causa dell’introduzione del salario minimo. Il fatto che meno persone lavorino legalmente significa che meno persone pagheranno le imposte sul reddito e i contributi previdenziali, con un impatto negativo sul bilancio pubblico. Allo stesso tempo le persone che hanno perso il lavoro (o che hanno iniziato a lavorare in nero) chiederanno un sussidio di disoccupazione, aumentando le spese a carico dello Stato. Gli stipendi più alti delle persone che riceveranno il salario minimo, però, potrebbero almeno in parte compensare questa perdita di gettito. Anche in questo caso il costo indiretto del salario minimo sarebbe molto probabilmente irrilevante per i conti pubblici, sia perché l’impatto sull’occupazione sarebbe probabilmente nullo o ridotto, sia perché verrebbe eventualmente compensato da un aumento dei salari medi.

Il fondo di compensazione

È vero come dice Misiani che i costi principali del salario minimo ricadrebbero sulle imprese. Il responsabile economia del PD omette però di dire che cosa prevede la proposta di legge sul salario minimo presentata dai partiti di opposizione alla Camera (per cui è stata avviata anche una raccolta firme). L’articolo 7 della proposta di legge propone che con la legge di Bilancio per il 2024 il governo Meloni definisca un «beneficio in favore dei datori di lavoro, per un periodo di tempo definito e in misura progressivamente decrescente, proporzionale agli incrementi retributivi corrisposti ai prestatori di lavoro al fine di adeguare il trattamento economico minimo orario all’importo di 9 euro». 

In pratica si sta parlando della creazione di un fondo di compensazione per sostenere le imprese e aiutarle a raggiungere i livelli del salario minimo. Questo sarebbe un vero e proprio sussidio, che avrebbe più o meno l’effetto (e il costo) di una riduzione del cosiddetto “cuneo fiscale”, ossia la differenza tra il lordo e il netto in busta paga. 

Se l’obiettivo del salario minimo è anche quello di contrastare comportamenti delle imprese giudicati “immorali”, come il fatto che alcuni datori di lavoro paghino un salario orario considerato non dignitoso, un fondo di compensazione non farebbe altro che assolvere, seppur per un periodo di transizione limitato, quelle imprese che pagano molto poco i dipendenti, permettendo che continuino a farlo per la quota pagata direttamente dall’azienda, che verrebbe integrata con soldi pubblici per arrivare al minimo. Alla proposta di legge dei partiti di opposizione si potrebbe quindi obiettare, come fatto tra l’altro dall’ex senatore del PD ed economista Carlo Cottarelli in un’intervista sul Corriere della Sera, che «il salario minimo serve a evitare situazioni di sfruttamento in cui ci sono troppi profitti e troppi pochi salari». «Per adeguare il salario minimo si deve cambiare la distribuzione tra profitti e salari, non metterci dentro i soldi pubblici», ha aggiunto Cottarelli.

Oltre al ruolo di incentivo per mantenere bassi i salari pagati dalle imprese, un fondo di compensazione, sebbene provvisorio, rischierebbe di avere un costo non indifferente per lo Stato. Non ci sono stime ufficiali su questo punto, anche perché il costo dipenderà molto da quali settori saranno inclusi in questo fondo di compensazione, ma la cifra potrebbe essere nell’ordine dei miliardi di euro.

Il verdetto

Secondo Antonio Misiani «il salario minimo non costa un euro allo Stato». Il responsabile economia del PD la fa troppo semplice.

In linea di massima è vero: il salario minimo è sostanzialmente una misura a costo zero per le casse pubbliche. Ci possono essere però costi “nascosti” per lo Stato, per esempio la perdita di gettito nel caso in cui aumentasse il lavoro irregolare. La proposta di legge dei partiti all’opposizione prevede poi la creazione di un fondo per compensare le aziende che dovranno aumentare i salari per raggiungere il minimo. Questo avrà un costo per le casse dello Stato.

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