Su queste pagine abbiamo già verificato dichiarazioni di Beppe Grillo che affrontavano il tema della ristrutturazione del debito o dell’abbandono dell’euro. In questo post di qualche giorno fa il leader M5S sostiene che queste siano le due alternative per risollevare le sorti dell’economia italiana. Sulla validità di questa valutazione non ci esprimiamo. Andiamo piuttosto dritti ai dati che cita per sostenere questa tesi e chiediamoci: sono corretti? e, sono coerenti con la conclusione che Grillo ne trae?
Partiamo dalla parte più facile, la situazione del debito pubblico in Europa nel primo trimestre del 2013. Grillo dice bene: abbiamo effettivamente il secondo rapporto debito/Pil più alto dell’Ue (130,3%) dopo la Grecia (160,5%). Segnaliamo per completezza che al mondo ci sono Paesi con rapporti debito/Pil più alti dell’Italia, come il Giappone, la Giamaica ed il Libano, e che in Europa appena dietro troviamo il Portogallo (127,2%) e l’Irlanda (125,1%).
Passiamo ora alla ricostruzione storica, partendo con un rapido ripasso dello Sme. Il Sistema Monetario Europeo nasce nel 1979 come un accordo precursore dell’Unione Economica e Monetaria, volto a mantenere una certa stabilità nei tassi di cambio tra le economie dell’allora Comunità Europea. Sostanzialmente il tasso di cambio di ciascuna valuta veniva fissato alla moneta di riferimento (l'”Ecu” – European Currency Unit, ovvero un paniere delle valute dello Sme) e ciascuna valuta aveva libertà di fluttuare del +/-2,25% rispetto alle altre valute, fatta eccezione per la lira italiana che poteva fluttuare del +/-6%.
In seguito alla riunificazione, la Germania si trova a dover far fronte ad un’inflazione relativamente alta, che la Bundesbank combatte con ingenti aumenti dei tassi d’interesse. Per l’Italia, con un debito pubblico già al 100% del proprio Pil, alzare i tassi d’interesse per tenere il cambio dentro i limiti stabiliti non era sostenibile, e la sera tra il 13 ed il 14 settembre 1992 la lira viene svalutata del 3,6% nel confronto del marco tedesco, passando da 765,4 a 793,32* lire al marco. In seguito la lira e la sterlina inglese sono soggette ad attacchi speculativi e la svalutazione “a conti fatti – rievoca Giuliano Amato, allora Presidente del Consiglio – si attestò tra il 20 e il 25 per cento”.
Uscita dallo Sme, la lira si è ulteriormente indebolita nei confronti del marco: come si può vedere nell’archivio dei cambi annuali della Banca d’Italia, il vecchio conio raggiunge nel 1995 il punto più basso – circa 1138 lire al marco – ovvero 44% del livello 1992 di 790 lire al marco (vedi grafico a destra).
Fino a qui, la ricostruzione di Grillo regge. Ma è vero che in seguito a questa svalutazione il debito pubblico è calato di quasi venti punti nel decennio successivo? Non proprio. Con i dati del Fmi sul rapporto debito/Pil dell’Italia dal 1992 ad oggi elaboriamo il grafico qui sotto e verifichiamo. Vediamo intanto che il debito nel 1992 non si attestava, come afferma Grillo, al 120% del Pil, ma era “solo” al 104,7%. E’ solo nel 1994 che il debito pubblico salirà fino al 121,2%. E’ più corretto invece il valore indicato per il 2003, quando il debito pubblico era pari al 104,1% del Pil (contro il 103% citato da Grillo).
Ma la cosa più importante da capire è se la riduzione del debito pubblico è frutto della svalutazione della lira o se è stata trainata da altri fattori. Sicuramente la pesante svalutazione ha avuto i suoi effetti positivi: come ricorda lo stesso Amato, “grazie all’accordo di luglio [con le parti sociali], tenemmo fermissimo il controllo dei costi interni, il che permise alle imprese di guadagnare 20-25 punti veri di competitività [in seguito alla svalutazione].”
Nel 1992 ci sono state, però, altre misure importanti volte a ridurre il debito pubblico, come le due manovre del governo Amato nei mesi caldi della crisi. La manovra del luglio 1992 includeva, tra le altre cose, un prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti. In autunno è poi arrivata la “maxi-manovra” da 93 mila miliardi (pari a 5,8% del Pil di allora), che il Sole24Ore giudica “la più imponente correzione dei conti mai realizzata fino ad allora (43.500 miliardi di tagli, 42.500 di nuove entrate, 7mila di dismissioni)”.
E altre manovre seguirono negli anni. Durante il governo Prodi I (1996-1998), ad esempio, viene imposto il contributo straordinario per l’Europa, volto ad avvicinare l’Italia agli obiettivi di Maastricht. La cosiddetta “eurotassa” era un contributo una tantum calcolato in maniera progressiva sul reddito imponibile Irpef. Come si può vedere nel grafico sotto (elaborato in base ai dati Eurostat su entrate e spesa pubblica e leggermente sfalsato dal fatto che nel 1993 l’andamento del Pil era in negativo di circa 0,9%) è stato durante il periodo 1996-2000 che si è verificata la principale azione di riassestamento dei conti dello Stato. Questo è avvenuto sia attraverso un contenimento relativo delle spese (cresciute meno del Pil in quel periodo e quindi calate di ‘peso’) sia attraverso un aumento delle entrate stesse, dove si notano proprio quei due punti guadagnati nel 1997 con la finanziaria che conteneva l’eurotassa. Queste manovre hanno portato l’Italia ad accumulare avanzi primari (al netto della spesa per interessi) sempre più ingenti: da appena l’1,3% del Pil nel 1992 a quasi il 6% nel 1997. Sono questi avanzi primari ad aver poi contribuito in maniera decisiva all’abbattimento del debito pubblico.
Dunque la svalutazione della moneta non dovrebbe essere considerata l’unica ragione per cui il debito è cominciato a calare dal 1996 in poi. Bisogna anche sottolineare che nel decennio che Grillo prende come riferimento, non abbiamo mantenuto la “sovranità monetaria” molto a lungo. Infatti già dal 1996 l’Italia rientra a far parte dello Sme: come si può vedere nel primo grafico sopra il cambio con il marco torna ad essere sostanzialmente bloccato. Appena tre anni dopo, nel 1999, l’Italia è tra i primi undici Paesi ad adottare l’euro, e la Bce diventa responsabile della politica monetaria dell’Ue.
Ricapitolando, dei dieci anni presi ad esempio da Grillo solo nei primi due si può dire che l’Italia avesse piena sovranità monetaria, mentre in altri quattro la situazione era identica a quella attuale. Come se non bastasse, proprio l’intenzione di adottare l’euro ha avuto un importante effetto depressivo sul rendimento medio del debito pubblico, e quindi sul costo del suo rifinanziamento. Come hanno ben spiegato gli economisti di noiseFromAmeriKa in questa analisi, da cui traiamo il grafico qui sopra, il tasso di interesse medio si è quasi dimezzato tra il 1996 e il 2003. Questo si è tradotto in un simile dimezzamento della spesa per interessi che l’Italia doveva sostenere, come mostra il grafico sotto elaborato dai dati della Ragioneria Generale dello Stato sulla Spesa dello Stato dal 1861 al 2009 (tavola 15 pagina 33).
Grillo azzecca quindi sostanzialmente la ricostruzione storica: l’Italia capitombola fuori dallo Sme nel 1992 e svaluta la lira in maniera significativa. Complice anche il segno meno del Pil nel 1993, il debito pubblico però esplode proprio nei due anni successivi, passando dal 104,7% del 1992 al 121,2% del 1994. La competitività guadagnata dalla libertà di svalutare la lira (di cui però non troviamo una quantificazione precisa nella letteratura) può aver svolto un ruolo nella crescita del Pil più marcata nel 1994 e nel 1995. Ci sono state però anche delle manovre importanti e molto sofferte (come nel 1992 e nel 1996) non troppo dissimili dalle misure di austerity che il leader del M5S periodicamente denuncia. Inoltre, la “sovranità monetaria” tanto ambita è stata in realtà solo temporanea. Complessivamente un “Nì” per Grillo: è utile imparare dalla storia, ma senza trarne conclusioni affrettate e fuorvianti.
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* Per vedere il cambio per i giorni in questione bisogna selezionare nel campo “data” le date di interesse, come “valuta” il marco tedesco e come “quotazione in” la lira.