L’11 ottobre, durante un appuntamento elettorale nel sesto municipio di Roma, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha criticato (min. 1:06) la revisione del catasto, inserita dal governo Draghi nel disegno di legge delega sulla riforma del fisco. In particolare, Meloni ha dichiarato che questo intervento «comporta in automatico» un aumento delle imposte sugli immobili, come l’Imu sulle seconde case.

La presidente di Fratelli d’Italia sbaglia, per almeno due motivi. Da un lato, una revisione del catasto si può fare anche a parità di entrate fiscali, con un aumento delle imposte per alcuni contribuenti, ma anche un calo per gli altri. Dall’altro lato, il governo ha esplicitamente scritto nel disegno di legge delega che l’eventuale aggiornamento del catasto non potrà avere effetti su come vengono calcolate le imposte.

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Perché non c’è nessun automatismo

Da parecchi anni in Italia i partiti dibattono sulla necessità di riformare il catasto, come abbiamo spiegato in un approfondimento più dettagliato sul tema. Il problema principale del catasto italiano è che è fermo a circa settant’anni fa. Con il tempo, a causa del mancato intervento dei governi, le rendite catastali – ossia il valore reddituale che il catasto assegna ai singoli immobili – non sono più allineate con i valori di mercato delle abitazioni.

Questa discrepanza, a cascata, ha causato la nascita di forti incongruenze, non solo a livello di reddito. A partire dalle rendite catastali sono infatti calcolate le basi imponibili su cui gravano le imposte sugli immobili, come l’Imu sulle seconde case (le prime, salvo eccezioni, sono escluse), le imposte di registro o quelle di successione. Dal momento che ad oggi le rendite catastali sono “sballate”, ossia non rispecchiano più i reali valori delle abitazioni, si ha come conseguenza che alcuni contribuenti pagano di più di quello che dovrebbero in imposte sui propri immobili, e altri di meno.

L’obiezione più diffusa a un aggiornamento delle rendite catastali, come dimostra anche la posizione di Meloni, è sempre stata quella secondo cui una loro modifica comporterebbe in automatico un aumento delle imposte sulla casa. Ma questo automatismo non esiste, come ha confermato di recente a Pagella Politica anche Simone Pellegrino, professore di Scienza delle finanze all’Università degli Studi di Torino.

Se un governo decide di riformare il catasto e di aggiornare le rendite catastali, poi può decidere di rimodulare le aliquote delle imposte sugli immobili (o gli accessi a sussidi che tengono conto del valore catastale degli immobili, come l’Isee) e far sì che il gettito fiscale, nel complesso, non aumenti rispetto a prima, raggiungendo la cosiddetta “invarianza o parità di gettito”. Per esempio questo obiettivo era fissato dalla legge delega fiscale del 2014, rimasta perlopiù inattuata.

Il raggiungimento della parità di gettito non impedirebbe comunque che vi possa essere una crescita o una diminuzione delle imposte immobiliari tra singoli comuni (nel caso potrebbero essere introdotti dei meccanismi compensativi) o tra singoli contribuenti. In questo secondo scenario, se a riforma avvenuta un cittadino pagherà di più, significa che oggi sta pagando meno di quello che dovrebbe. Viceversa, se un cittadino pagherà di meno, vuol dire che oggi sta pagando di più del dovuto, a causa di una catasto non aggiornato.

In ogni caso, a catasto riformato, non sarebbe vero, come sostiene Meloni, che ci sarebbe un aumento automatico e indiscriminato delle imposte.

Questi scenari ipotetici, almeno per i prossimi cinque anni, sono comunque stati esplicitamente esclusi dal progetto presentato dal governo Draghi.

La legge delega esclude aumenti delle imposte

L’articolo 7 del disegno di legge delega sulla riforma fiscale – approvato il 5 ottobre in Consiglio dei ministri – è dedicato alla “Modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e revisione del catasto fabbricati”.

Qui il governo ha chiesto al Parlamento la possibilità di introdurre misure, attraverso i decreti legislativi, per individuare gli immobili «non censiti» dal catasto (i cosiddetti “immobili fantasma”) e di «attribuire a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato».

Tradotto in parole semplici: il governo chiede di poter approvare nuove misure – i cui dettagli sono ancora da stabilire – per ottenere nuove rendite catastali “attualizzate”, cioè più vicine ai valori di mercato. E in più chiede di poter introdurre meccanismi che consentano di mantenere aggiornate le rendite catastali ai valori delle unità immobiliari in base alle fluttuazioni del mercato.

Come abbiamo anticipato prima, può sorgere subito il dubbio che se cambiano le rendite catastali, allora dovrebbero cambiare anche le basi imponibili per le imposte sugli immobili, destinate dunque a salire (come sostiene Meloni). Il disegno di legge delega però fa un’affermazione piuttosto forte per garantire che non ci saranno aumenti di tasse.

Il governo infatti ha scritto nel testo che le nuove informazioni ottenute con le nuove rendite catastali non potranno essere «utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali». Detta altrimenti: si aggiorneranno le rendite catastali, ma per il calcolo delle imposte rimarranno in vigore i valori precedenti. Se con un decreto legislativo il governo non dovesse rispettare questa indicazione, rischierebbe di andare incontro a un giudizio di illegittimità costituzionale.

A tutto questo va aggiunto che le disposizioni sul catasto, previste da un’eventuale futura riforma del fisco, dovranno essere adottate entro 18 mesi dall’approvazione del disegno di legge delega da parte del Parlamento, ma dovranno «decorrere dal 1° gennaio 2026», dunque tra oltre quattro anni. Se a quella data il governo di turno deciderà di usare le nuove rendite catastali (qualora disponibili), per rivedere anche la basi imponibili, potrà farlo. Ma senza alcun automatismo, come invece sostiene Meloni.

Il verdetto

Secondo Giorgia Meloni, una revisione delle stime catastali comporta in automatico l’aumento delle imposte immobiliari, come l’Imu sulle seconde case. Questo non è vero, per almeno due motivi.

In primo luogo, una revisione delle rendite catastali si potrebbe ottenere anche con la parità di gettito, non aumentando nel complesso le entrate fiscali e modulando le aliquote sulle imposte immobiliari. In questo scenario, potrebbero esserci dei contribuenti che pagherebbero di più, ma anche dei contribuenti che pagherebbero di meno.

In secondo luogo, nel disegno di legge delega sulla riforma del fisco il governo Draghi ha esplicitamente scritto che la revisione del catasto non potrà avere effetti sul calcolo delle imposte.

In conclusione, Meloni merita un “Pinocchio andante”.