In mezzo alla discussione sulla futura legge elettorale (tra gli altri, Di Battista, Beppe Grillo e Renzi) si fa avanti il capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, che parla della relazione tra il tipo di sistema elettorale (maggioritario o proporzionale) e l’andamento di tasse e spesa pubblica.



In realtà, come appare più chiaramente da questo articolo, Renato Brunetta si limita a sintetizzare i risultati di uno studio condotto da Torsten Persson e Guido Tabellini, dal titolo “Constitutions and Economic Policy” (“Costituzioni ed Politica Economica”) e pubblicato nel 2004 dal Journal of Economic Perspectives. Come si legge dall’abstract, lo studio mira ad analizzare la relazione tra la legge elettorale e la forma di governo di uno Stato e le sue politiche economiche (pag. 76), attraverso una rassegna delle principali ricerche teoriche ed empiriche condotte sull’argomento. Nella maggior parte dei casi i risultati si sono rivelati abbastanza significativi da essere “economicamente interessanti”, sia dal punto di vista della corruzione politica che delle politiche fiscali.



Suggerendo agli interessati di leggere l’intero articolo per maggiori dettagli, riassumiamo qui i principali punti che riguardano la verifica della dichiarazione di Renato Brunetta.



La frase è probabilmente tratta dalle pagine 84-85 del paper dove si afferma che “governi democratici che usano una legge elettorale maggioritaria tagliano le tasse, così come la spesa pubblica, durante gli anni di elezione […]. In democrazie proporzionali i tagli alle tasse sono meno pronunciati e non ci sono tagli alla spesa pubblica osservati. Questi risultati sono coerenti con la migliore accountability dei sistemi maggioritari che permette agli elettori di punire i governi con prevedono più alte tasse e spesa”.



Più nel dettaglio, lo studio afferma che sia la legge elettorale che la forma di governo influenzano effettivamente il potere di controllo degli elettori (inteso sia come controllo su eventuali abusi di potere che abilità di selezionare il candidato “migliore”). Secondo lo studio, è vero che il potere di controllo degli elettori è più forte nei sistemi maggioritari, dove i candidati tendono ad avere un comportamento più corretto nei confronti dei propri elettori in quanto ad ogni aumento – anche piccolo – della probabilità di vincere, corrisponde l’opportunità di acquistare un numero significativo di seggi in più (viceversa, nei sistemi proporzionali è necessario uno sforzo maggiore per acquisire numeri significativi di seggi). Questo meccanismo virtuoso è più incentivato in sistemi dove il voto è uninominale e le liste sono aperte (ovvero non si parla di “liste di partito” le quali scoraggiano la trasparenza perché non influenzano la possibilità di ri-elezione o meno del singolo candidato).



E’ stato, inoltre, osservato che gli Stati che si fondano su sistemi proporzionali tendono ad avere una spesa pubblica più alta, perché i partiti sono spinti ad una maggiore competizione per cercare una base di supporto più larga, soprattutto in periodo elettorale. Viceversa, nei sistemi maggioritari, la competizione è inferiore e si gioca soprattutto nelle circoscrizioni in cui c’è incertezza circa il candidato vincente. Durante gli anni di governo, tale trend viene confermato, in quanto i cosiddetti governi di coalizione, di fronte alla più ampia scelta elettorale dei cittadini, hanno meno interesse a perseguire politiche pubbliche efficienti, che non nei sistemi maggioritari, dove la scelta è limitata tra due partiti (e quindi è più semplice identificare la responsabilità politica). L’inefficienza nella scelta delle politiche pubbliche conduce ad un aumento anche della spesa pubblica.



Renato Brunetta ha fatto bene i compiti a casa e ha correttamente riportato lo studio di Persson e Tabellini: Pagella Politica lo promuove a pieni voti con un “Vero”!