Il 29 novembre, ospite a Mezz’ora in più su Rai3, il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni (Pd) ha dichiarato (min. 32:00) che la Commissione europea ha siglato accordi con sei aziende farmaceutiche per avere, potenzialmente, «quasi 2 miliardi di dosi» di vaccino contro la Covid-19.
Il numero citato dall’ex presidente del Consiglio italiano è corretto? E a che punto sono i vaccini che dovrebbero spettare all’Europa? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza su uno dei temi più discussi nelle ultime settimane.
Con chi ha fatto accordi l’Ue
Partiamo dai negoziati fatti dalla Commissione Ue con le aziende farmaceutiche che stanno cercando di trovare, in tempi record, un vaccino contro il coronavirus. Il dato dei «2 miliardi di dosi» citato da Gentiloni su Rai3 è sostanzialmente corretto.
A giugno scorso la Commissione Ue ha annunciato la decisione di attuare un’azione congiunta, a livello comunitario, per quanto riguarda i vaccini per la Covid-19. In pratica, si è optato per un approccio centralizzato, in cui l’Ue agisce per conto degli Stati membri sia per garantire l’approvvigionamento delle dosi di vaccino necessarie sia per fornire sostegno economico allo sviluppo di un vaccino.
Ad oggi la Commissione Ue ha sottoscritto sei contratti con altrettante case farmaceutiche, l’ultimo dei quali è arrivato il 25 novembre, con la statunitense Moderna. Secondo il tracker del New York Times sono oltre 50, al momento, i progetti di vaccino in sperimentazione sugli esseri umani.
L’accordo tra Ue e Moderna prevede una fornitura iniziale di 80 milioni di dosi, quando il vaccino sarà considerato sicuro ed efficace (ci torneremo meglio tra poco), più altre 80 milioni opzionali.
A queste 160 milioni di dosi «potenziali» – per usare le parole di Gentiloni – si aggiungono quelle concordate con altre cinque case farmaceutiche. A fine agosto la Commissione Ue ha negoziato con AstraZeneca l’acquisto di 300 milioni di dosi, più altre 100 milioni opzionali, mentre l’11 novembre è arrivata l’intesa con Pfizer-BioNTech, per complessive 300 milioni di dosi (200 + 100 opzionali).
Tra settembre e novembre l’Ue ha siglato anche accordi con Sanofi-Gsk, Janssen Pharmaceutica NV e CureVac, rispettivamente per 300 milioni di dosi, 400 milioni (200 + 200 opzionali) e 405 milioni (225 + 180 opzionali). In totale stiamo parlando di oltre 1,3 miliardi di dosi garantite, che salgono a quasi 2 miliardi se si contano gli acquisti opzionali.
Questo dato è oltre quattro volte il numero della popolazione europea: da un lato l’Ue sta cercando di aumentare le sue opportunità di ottenere un vaccino efficace in breve tempo; dall’altro lato, la stessa Ue ha già annunciato che se in futuro le avanzeranno delle dosi, potranno essere donate a Paesi a basso o medio reddito.
Il 15 ottobre la Commissione Ue ha pubblicato le linee guida che i vari Stati membri dovranno seguire per mettere a punto le loro strategie di vaccinazione nazionale contro la Covid-19. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, l’Italia – a cui dovrebbe spettare, vista la sua popolazione, oltre il 10 per cento delle dosi – sarebbe in ritardo sulla preparazione del proprio piano.
Al di là di questa osservazione, è necessario ricordare che tutti gli acquisti sono vincolati al fatto che deve essere comunque dimostrato – nonostante i tempi eccezionali della ricerca – che i vaccini siano sicuri ed efficaci. Ed è qui che le cose si fanno più complicate.
Vediamo quali progetti sono più avanti con i risultati e quali sono, ad oggi, le tempistiche più credibili per l’arrivo di un vaccino.
Quali sono i vaccini messi meglio
Al 30 novembre sono tre le aziende farmaceutiche, tra le sei indicate prima, che sono più avanti nella corsa a trovare un vaccino contro la Covid-19: Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca. Insieme, queste tre coprono il 44 per cento delle dosi complessive negoziate dall’Ue (circa 880 milioni su quasi 2 miliardi).
Pzifer e BioNTech
Il 9 novembre Pfizer e BioNTech hanno annunciato in un comunicato di aver ottenuto risultati incoraggianti all’interno dello svolgimento della Fase 3 della sperimentazione del loro vaccino, l’ultima prima della messa in commercio del prodotto (la Fase 4 viene condotta quando il vaccino è già disponibile sul mercato).
I ricercatori hanno calcolato che il loro vaccino ha un’efficacia del 90 per cento. Questo non significa necessariamente che 90 persone su 100 che si vaccinano non prenderanno la malattia: questa percentuale è una stima, per ora ottenuta su numeri ancora piccoli, che andrà poi valutata su larga scala, in condizioni di vita più vicine a quelle reali. Come spiegano sul loro sito i Centers for diseases and control prevention americani, un conto è l’efficacia trovata durante gli esperimenti clinici (la efficacy, in inglese), un conto è quella sperimentata, per così dire, “sul campo” (la effectiveness, in inglese). Per conoscere nei dettagli la seconda, serviranno i prossimi mesi.
Il 18 novembre Pfizer ha poi rivisto al rialzo le stime sull’efficacia del suo vaccino, salita oltre il 94 per cento al termine della Fase 3.
Moderna
Numeri simili sono stati annunciati in un comunicato stampa anche dalla casa farmaceutica Moderna, lo scorso 16 novembre, che ha poi aggiornato i suoi risultati il 30 novembre.
I vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna, come hanno spiegato più nel dettaglio i nostri colleghi di Facta, hanno una cosa in comune: sono entrambi vaccini genetici, basati sull’Rna messaggero. In parole semplici, questi vaccini puntano a introdurre nell’organismo di chi si vaccina una copia temporanea delle istruzioni genetiche utili a costruire una proteina virale – così da scatenare la risposta immunitaria – anziché utilizzare una forma indebolita dello stesso virus.
AstraZeneca e Università di Oxford
Di un altro tipo è invece il vaccino sperimentato fino ad ora da AstraZeneca, in collaborazione con l’Università di Oxford. In questo caso stiamo parlando di un vaccino basato su vettori virali, che – semplificando – usa un virus innocuo, in cui sono inserite le proteine del Sars-CoV-2, per stimolare la risposta immunitaria.
Il 23 novembre AstraZeneca ha annunciato che il suo vaccino aveva un’efficacia media di circa il 70 per cento, che variava dal 90 per cento (due dosi a distanza di un mese, con la prima con metà dosaggio rispetto alla seconda) al 62 per cento circa (due dosi complete, a distanza di un mese). Questi dati avevano creato subito curiosità all’interno della comunità scientifica, che si era chiesta come fosse possibile che una dose più bassa avesse ottenuto risultati migliori di una completa.
Pochi giorni dopo si è scoperto che il dosaggio diverso è stato frutto di un errore e che chi aveva ricevuto una dose più bassa aveva meno di 55 anni, danneggiando potenzialmente la coerenza dei risultati raccolti. Al momento sui traguardi raggiunti da AstraZeneca – su cui, tra l’altro, ha puntato molto la comunicazione del governo italiano – aleggia un grosso punto interrogativo.
Tempistiche e limiti
Arriviamo così alla domanda delle domande: quando saranno disponibili le prime dosi dei vaccini? Una risposta certa ancora non c’è, anche se le scadenze sembrano delinearsi con maggiore chiarezza all’orizzonte. Restano però ancora molti punti interrogativi.
Il 20 novembre Pfizer ha fatto richiesta alla Food and drug administration (Fda) – l’agenzia statunitense che, tra le altre cose, si occupa di valutare la sicurezza di farmaci e vaccini – di accedere alla procedura di emergenza (emergency use authorization, in inglese) per mettere al più presto in commercio le prime dosi del suo vaccino. Nell’approvare questa procedura, la Fda soppesa rischi e benefici sulla base delle evidenze scientifiche a disposizione, e tiene in considerazione anche tutte le problematiche riguardanti la logistica.
Dunque, nonostante i tempi per lo sviluppo di un vaccino siano stati notevolmente più ristretti rispetto a quelli del passato, e nonostante non sia mai stato fino ad oggi commercializzato un vaccino a base Rna, come quelli di Pfizer e Moderna (anche se alcuni studi clinici c’erano già stati), con la procedura di emergenza vengono comunque garantiti alti standard di sicurezza.
Resta il problema che, per il momento, i dati comunicati fino ad oggi sono contenuti per lo più nei comunicati stampa delle aziende che stanno sviluppando il vaccino, e il caso AstraZeneca ha mostrato quanto sia importante avere maggiore trasparenza nella comunicazione dei risultati e sulle modalità con cui sono stati ottenuti.
Il 10 dicembre una commissione della Fda si riunirà per discutere se autorizzare la procedura di emergenza per il vaccino Pfizer-BioNTech nella popolazione con più di 16 anni di età (Moderna ha fatto richiesta per la procedura il 30 novembre). Nel Regno Unito questa approvazione potrebbe arrivare addirittura qualche giorno prima.
Secondo le stime pubblicate dal New York Times qualche giorno fa, se la Fda consentisse di avviare le vaccinazioni, negli Stati Uniti potrebbero essere vaccinati entro la fine dell’anno circa 20 milioni di persone, tra personale sanitario e quello delle strutture residenziali per anziani.
Per quanto riguarda l’Europa, le procedure accelerate di approvazione dei vaccini spettano all’Agenzia europea per i medicinali (Ema), alle cui decisioni sono, tra l’altro, vincolati i contratti di acquisto della Commissione Ue. Al momento non è ancora chiaro quando arriveranno in Europa le prime dosi dei vaccini (e di quale azienda), ma secondo le stime fatte (min. 32:15) dal commissario europeo Gentiloni a Mezz’ora in più gennaio 2021 potrebbe già essere un mese plausibile.
«Ad oggi non è possibile sapere quando saranno approvati i vaccini contro la Covid-19 e quanto tempo richiederà questa procedura, dal momento che le tempistiche sono difficili da prevedere», spiega il sito dell’Ema. Secondo le indiscrezioni pubblicate dal Financial Times il 29 novembre, il via libera dell’Ema a Pfizer-BioNTech e Moderna potrebbe addirittura arrivare entro la fine del 2020, se i benefici della vaccinazione saranno maggiori dei rischi.
Oltre ai dubbi sulle tempistiche e a quelli sull’assenza di dati chiari, restano poi i punti interrogativi che riguardano la logistica – va per esempio ricordato che i vaccini a base di Rna vanno conservati a temperature bassissime – e l’efficacia e la sicurezza dei vaccini su larga scala, in condizioni reali.
Come ha sottolineato un editoriale pubblicato il 27 novembre su Science, dedicato al tema dei possibili effetti collaterali del vaccino (come la febbre, per esempio), una delle chiavi per affrontare questi limiti è la «trasparenza» da parte delle autorità nella comunicazione con il pubblico.
Conosciamo il Sars-CoV-2 da nemmeno un anno ed è normale che molte cose siano ancora poco chiare, a partire da quanto possa durare l’immunità al virus, sia attraverso un vaccino sia con un’infezione naturale.
In ogni caso, come ha evidenziato Reuters il 30 novembre, se tutto dovesse andare bene, le vaccinazioni su larga scala in Europa non inizieranno prima delle prossima primavera.
Il verdetto
Il commissario europeo agli Affari europei Paolo Gentiloni (Pd) ha ragione quando dice che la Commissione europea «ha negoziato con sei grandi case farmaceutiche» l’acquisto di «un totale potenziale di quasi 2 miliardi di dosi».
I sei accordi siglati tra agosto e novembre dall’Ue prevedono l’approvvigionamento garantito di oltre 1,3 miliardi di dosi – se si troveranno vaccini sicuri ed efficaci – che potranno arrivare a quasi 2 miliardi se si contano gli acquisti opzionali.
Bisogna comunque sottolineare che al momento un vaccino contro la Covid-19, approvato come sicuro ed efficace, non esiste. Negli Stati Uniti, a dicembre molto probabilmente saranno concesse le procedure di emergenza per utilizzare, su una parte molto ristretta della popolazione, i vaccini prodotti da Pfizer-BioNTech e Moderna.
Con entrambe queste aziende la Commissione Ue ha siglato degli accordi, per un totale di 480 milioni di dosi. Ad oggi però non sono note le tempistiche per l’arrivo delle prime dosi in Europa, anche se una data molto probabile potrebbe essere tra fine dicembre 2020 e inizio gennaio 2021.
In conclusione, ricordando ancora una volta l’invito alla cautela, Gentiloni si merita un “Vero”.
«Finalmente un primato per Giorgia Meloni, se pur triste: in due anni la presidente del Consiglio ha chiesto ben 73 voti di fiducia, quasi 3 al mese, più di qualsiasi altro governo, più di ogni esecutivo tecnico»
7 dicembre 2024
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