Davvero Trump ha messo dazi del 107 per cento sulla pasta italiana?

L’accusa è stata rilanciata, tra gli altri, da Giuseppe Conte e Più Europa. Ecco che cosa c’è di vero e che cosa no
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L’8 ottobre, in una diretta YouTube, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha detto che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump vuole fare uno «scherzo» alla pasta italiana, che «adesso subirà dazi al 107 per cento». «Sarebbe una catastrofe», ha aggiunto Conte, sottolineando che «esportiamo tantissima» pasta negli Stati Uniti.

Tre giorni prima, il 5 ottobre, anche Più Europa aveva fatto un’accusa simile. «Dal 1° gennaio la nostra pasta avrà dazi del 107 per cento negli Stati Uniti. Obiettivo? Favorire le imitazioni e la delocalizzazione della produzione negli Stati Uniti. Risultato? Sarà quello di estromettere le nostre aziende da quel mercato», aveva scritto su Instagram il partito guidato da Riccardo Magi.

Abbiamo controllato se queste accusa stanno in piedi. In breve, le dichiarazioni di Conte e Più Europa sono fuorvianti.

L’indagine negli Stati Uniti

Lo scorso 4 settembre il Dipartimento del commercio degli Stati Uniti – l’equivalente di un ministero del commercio e dello sviluppo economico – ha pubblicato un documento preliminare nell’ambito di un’indagine commerciale sulla pasta importata dall’Italia. Questa indagine era stata avviata ad agosto 2024 – quando Trump non era ancora stato rieletto presidente – su richiesta di aziende statunitensi per accertare se alcune aziende italiane avessero esportato pasta negli Stati Uniti a prezzi più bassi di quelli considerati “normali” dal mercato.

Nel linguaggio del commercio internazionale questa pratica si chiama dumping: significa vendere un prodotto all’estero a un prezzo più basso rispetto a quello praticato nel proprio Paese o addirittura al di sotto dei costi di produzione, così da conquistare quote di mercato danneggiando i concorrenti locali. Quando un Paese ritiene che si stiano praticando prezzi troppo bassi, può reagire imponendo dazi “antidumping”, cioè tariffe aggiuntive sulle importazioni pensate per riequilibrare il prezzo dei prodotti stranieri.

L’inchiesta coinvolgeva diverse aziende italiane esportatrici di pasta, ma il Dipartimento del commercio statunitense ha scelto di analizzare in modo approfondito solo due di queste, ritenute le più significative per il mercato americano: La Molisana e Garofalo.

Secondo il Dipartimento, tra luglio 2023 e giugno 2024 La Molisana e Garofalo avrebbero venduto pasta negli Stati Uniti a un prezzo inferiore a quello considerato “normale”, cioè al valore di mercato che riflette i costi reali di produzione. Poiché le due aziende non hanno fornito dati completi, è stato applicato un metodo “punitivo” che assegna automaticamente un margine di dumping molto alto: un dazio provvisorio del 91,74 per cento per entrambe.

Perché allora Conte e Più Europa parlano di un dazio del 107 per cento? A questa percentuale si arriva sommando il dazio antidumping del 91,74 per cento proposto in via preliminare dal Dipartimento del commercio al 15 per cento di dazi generali che gli Stati Uniti applicano già su tutti i prodotti provenienti dall’Unione europea.

In attesa della decisione definitiva, che dovrebbe arrivare a gennaio, lo stesso tasso è stato temporaneamente esteso anche ad altre società italiane coinvolte nell’indagine ma non analizzate singolarmente, mentre per cinque aziende la revisione è stata chiusa per motivi tecnici, perché non avevano esportazioni da esaminare o avevano ritirato la richiesta di revisione.

L’impatto economico

Le aziende italiane coinvolte nella valutazione del Dipartimento del commercio hanno contestato l’accusa di dumping. «La nostra azienda, come altre, deve provvedere a fornire una memoria difensiva, e la presenteremo in questi giorni, per rispondere a tutti i punti che ci vengono contestati», ha detto ad Adnkronos Massimo Menna, amministratore delegato di pasta Garofalo. «Siamo consapevoli che si tratta di contestazioni infondate per aver praticato il sottocosto negli Stati Uniti rispetto ai prezzi che vengono praticati in Italia per la stessa tipologia di prodotto».

L’amministratore delegato de La Molisana Giuseppe Ferro ha dichiarato che la sua società è «pronta ad aprire uno stabilimento di produzione negli Stati Uniti». «Cercheremo di discutere con l’amministrazione statunitense perché con dazi al 107 per cento per noi non è possibile lavorare», ha aggiunto Ferro.

Le posizioni delle due aziende mostrano quanto la questione abbia un impatto concreto soprattutto sul settore della pasta e non sull’economia italiana nel suo complesso. Secondo ISTAT, nel 2024 l’Italia ha esportato pasta negli Stati Uniti per oltre 670 milioni di euro, circa l’1 per cento dei 65 miliardi di valore complessivo dell’export verso il mercato statunitense. Questa percentuale sale a circa l’8 per cento sul valore dell’export verso gli Stati Uniti relativo al solo settore agroalimentare, pari a quasi 8 miliardi.

La replica del governo italiano

Negli ultimi giorni vari esponenti del governo italiano sono intervenuti sulla vicenda.

«Il Ministero degli Esteri sta lavorando, in stretto raccordo con le aziende interessate e d’intesa con la Commissione Europea, affinché il Dipartimento degli Stati Uniti riveda i dazi provvisori stabiliti per le nostre aziende», ha scritto il 4 ottobre in un comunicato stampa il ministero guidato da Antonio Tajani (Forza Italia). 

Il giorno dopo, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida (Fratelli d’Italia) ha pubblicato una foto su Facebook insieme a Marco Peronaci, l’ambasciatore dell’Italia negli Stati Uniti. «Seguiamo con attenzione i dossier legati alla presunta azione antidumping che farebbe scattare un meccanismo iperprotezionista verso i nostri produttori di pasta del quale non vediamo né la necessità né alcuna giustificazione», ha dichiarato Lollobrigida. «Il governo e i nostri diplomatici sono in contatto costante con gli uffici governativi statunitensi per affrontare questo e altri dossier utili a garantire rapporti commerciali floridi e sempre più proficui».

Tiriamo le somme

Ricapitolando: Conte e Più Europa hanno attribuito a Trump una misura che non ha deciso lui, ma un ufficio tecnico del Dipartimento del commercio, nell’ambito di una procedura avviata prima della sua rielezione. Hanno descritto come certo un dazio che è ancora solo preliminare e potrà essere modificato nei prossimi mesi. Hanno anche fatto credere che riguardi tutta la pasta italiana, mentre per ora interessa solo alcuni marchi specifici. E, nel caso di Più Europa, l’idea che lo scopo dei dazi sia «favorire le imitazioni e la delocalizzazione» resta una congettura politica, non qualcosa che emerga dai documenti ufficiali.
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