L’altra faccia dell’export verso gli Stati Uniti riserva sorprese

L’Italia esporta più servizi rispetto a quanti ne importa, mentre l’Ue è in forte disavanzo. Come si spiegano questi numeri?
ANSA
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Lo scorso 2 aprile, poche ore dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato l’introduzione di dazi per oltre cento Paesi del mondo, è emerso che le nuove imposte erano state decise sulla base di uno strano calcolo, criticato da molti economisti. In breve, per ogni Paese il governo statunitense aveva calcolato il rapporto tra il disavanzo commerciale con quel Paese (ossia la differenza tra esportazioni e importazioni) e le importazioni provenienti da quel Paese. Il risultato, diviso per due, determinava il valore in percentuale dei nuovi dazi.

Per i Paesi dell’Unione europea, i nuovi dazi ammontano al 20 per cento, ma la loro entrata in vigore è stata poi sospesa per tre mesi. Nel 2024, gli Stati Uniti hanno registrato un disavanzo commerciale con i Paesi europei di circa 236 miliardi di euro, che ora Trump vuole cercare di ridurre. Il disavanzo degli Stati Uniti con l’Italia, invece, è di quasi 39 miliardi di euro.

Tutti questi numeri però, così come il calcolo usato da Trump per stabilire i nuovi dazi, considerano solo le esportazioni di merci, che rappresentano una parte del commercio mondiale. L’altra parte riguarda i servizi, per esempio le assicurazioni, le consulenze e i prodotti digitali. Proprio i numeri di quest’altra faccia del commercio mondiale riservano alcune sorprese.

L’avanzo commerciale dell’Italia

Partiamo dall’Italia. Secondo i dati Eurostat più recenti, nel 2023 il nostro Paese ha esportato verso gli Stati Uniti servizi per 13,8 miliardi di euro, e ne ha importati per 11,5 miliardi. L’Italia ha quindi registrato un avanzo commerciale con gli Stati Uniti pari a 2,3 miliardi. Negli ultimi 14 anni, solo nel 2010 e nel 2020 l’Italia ha importato più servizi di quanti ne abbia esportati.
Che le esportazioni di merci italiane verso gli Stati Uniti siano maggiori delle importazioni di merci statunitensi non sorprende. Ma com’è possibile che l’Italia esporti anche più servizi, se si considera, per esempio, le attività delle aziende tecnologiche statunitensi nel nostro Paese? Semplificando, i motivi principali sono due.

Nel 2023, 6,5 miliardi di euro delle esportazioni di servizi italiani verso gli Stati Uniti rientrano in una categoria specifica: quella dei “viaggi”. Come spiega l’Organizzazione mondiale del commercio, infatti, le spese dei turisti internazionali – in questo caso dei turisti statunitensi in Italia – sono considerate export di servizi perché comportano l’acquisto, da parte di stranieri, di beni immateriali come alloggi, ristoranti o visite guidate nel Paese che visitano. Queste spese generano entrate per l’economia locale e, per questo motivo, rientrano nel commercio internazionale di servizi. Lo stesso discorso vale al contrario: nel 2023 gli Stati Uniti hanno esportato in Italia servizi legati ai “viaggi” per 3,2 miliardi di euro, un valore inferiore alla metà delle esportazioni italiane in questo settore. In altre parole, i turisti italiani negli Stati Uniti hanno “pesato” meno dei turisti statunitensi in Italia.

Basta il turismo per spiegare perché l’Italia è in avanzo con gli Stati Uniti nel commercio dei servizi? La risposta è no, ed è qui che entra in gioco una seconda spiegazione.

Il commercio con l’Ue

Allargando lo sguardo e considerando tutti i 27 Paesi dell’Unione europea, si scopre che l’Ue è in disavanzo commerciale con gli Stati Uniti per quanto riguarda il commercio di servizi. Nel 2023, la differenza negativa tra le esportazioni di servizi verso gli Stati Uniti e le importazioni di servizi dagli Stati Uniti ha raggiunto i 108 miliardi di euro. Questa cifra, però, nasconde grandi differenze tra i singoli Stati membri.

Come mostra il grafico, nel 2023 18 Paesi Ue su 27 erano in avanzo commerciale con gli Stati Uniti per quanto riguarda l’export di servizi. Al primo posto c’era la Francia, con una differenza positiva tra esportazioni e importazioni di 16,7 miliardi di euro, seguita dalla Spagna con 8,8 miliardi.
I Paesi europei con i disavanzi commerciali più elevati erano l’Irlanda (-133,8 miliardi di euro), i Paesi Bassi (-14,5 miliardi) e il Lussemburgo (-11 miliardi). Questi tre Stati hanno in comune almeno una cosa: grazie alle loro politiche fiscali, ospitano numerose sedi europee di multinazionali statunitensi, soprattutto nel settore digitale e farmaceutico (e per questo motivo, negli anni sono stati accusati da più parti di essere una sorta di paradiso fiscale).
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Che cosa c’entra l’Irlanda

Il caso dell’Irlanda è il più emblematico. Nel 2023 ha importato 186 miliardi di euro di servizi dagli Stati Uniti. Secondo il Central Statistics Office irlandese – l’equivalente dell’italiana ISTAT – 115 miliardi dei servizi importati riguardano royalty e licenze, cioè compensi pagati per l’uso di brevetti, marchi e software, e altri 50 miliardi circa rientrano nella voce “altri servizi alle imprese”, ossia servizi gestionali, pubblicitari e finanziari forniti da una società a un’altra.

Come si legge in un recente rapporto del governo irlandese, questi numeri si spiegano in buona parte con il fatto che grandi aziende tecnologiche statunitensi hanno stabilito la loro sede in Irlanda, grazie ai vantaggi fiscali. Tra queste ci sono Google, Microsoft, Meta – l’azienda proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp – e Apple.

Da un lato, dunque, l’Irlanda è una grande importatrice di servizi dagli Stati Uniti. Ma dall’altro è anche il Paese Ue, dopo la Germania, che esporta più servizi: nel 2023, quasi 400 miliardi di euro, contro i 137 miliardi di esportazioni di servizi italiane (nono dato più alto dell’Ue). Buona parte delle esportazioni irlandesi dirette verso altri Paesi europei riguarda, appunto, servizi tecnologici.

Semplificando, questo aiuta a spiegare anche perché l’Italia ha un avanzo commerciale con gli Stati Uniti nei servizi. Molte grandi aziende statunitensi vendono i loro servizi digitali in Europa partendo dalla loro sede in Irlanda. Così, quando questi servizi arrivano in Italia, non risultano come importazioni dagli Stati Uniti, ma come acquisti dall’Irlanda. Nel 2023, l’Italia ha registrato un disavanzo commerciale di quasi 6 miliardi di euro con l’Irlanda per quanto riguarda i servizi. Al contrario, le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti – come quelle legate al turismo o ad altri servizi – sono registrate direttamente. Per questo i conti con gli Stati Uniti risultano in attivo.

Alla luce di questi numeri, non sorprende la posizione assunta dal capo del governo irlandese Micheál Martin. Il 12 aprile, in un’intervista con The Irish Times, Martin ha dichiarato che l’Irlanda si opporrà a un’eventuale tassa dell’Ue sulle aziende tecnologiche statunitensi, come misura di ritorsione nella guerra commerciale con gli Stati Uniti. Martin ha sottolineato che questa tassa danneggerebbe un «settore significativo» dell’economia irlandese e ha espresso preoccupazione per l’irritazione già diffusa tra le aziende tecnologiche nei confronti dell’Europa, percepita come eccessivamente regolamentata e ostile.

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