Che cosa ci insegna la storia dei dazi

La nuova politica commerciale di Trump rischia di avere conseguenze già viste
EPA/SHAWN THEW
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Dopo l’introduzione dei nuovi dazi da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, le principali borse europee e internazionali hanno registrato sùbito grosse perdite. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito «sbagliata» la scelta di Trump, pur invitando a non alimentare l’«allarmismo» sulle sue possibili conseguenze negative. Intanto, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha già annunciato che l’Unione europea reagirà alla nuova politica commerciale statunitense, anche se non è ancora chiaro in che modo.

Ma che cosa sono esattamente i dazi? Come sono stati usati storicamente? E che cosa dicono gli studi sui loro effetti economici? Per capirlo, bisogna guardare al passato.

Che cosa sono i dazi

Un dazio è un’imposta che si applica ai beni importati quando entrano in un Paese. Può essere calcolato in percentuale sul valore del bene (in questo caso si parla di dazio ad valorem) oppure in cifra fissa per unità di merce.

L’obiettivo principale dei dazi è aumentare il prezzo dei prodotti esteri, rendendo più competitivi quelli nazionali. In parallelo, generano entrate fiscali per lo Stato. In pratica, tassare un prodotto importato lo rende più costoso: se il venditore non riesce ad assorbire il costo aggiuntivo, questo si trasferisce sul consumatore, rendendo il bene straniero meno conveniente rispetto a quello locale.

Da un punto di vista economico, i dazi sono barriere al commercio: proteggono i produttori interni dalla concorrenza estera, ma penalizzano i consumatori e le imprese che dipendono da fornitori internazionali per mantenere bassi i costi.

Come sono cambiati i dazi

Fino alla prima metà del Novecento, i dazi erano un normale strumento di politica economica. Un esempio celebre sono le Corn Law del Regno Unito: nell’Ottocento, il grano importato veniva tassato per proteggere i proprietari terrieri locali. Furono abolite nel 1846 sotto la pressione dei settori industriali e popolari, segnando un passaggio decisivo verso il libero scambio.

Negli Stati Uniti, fin dai primi anni dopo l’Indipendenza, i dazi doganali sono stati una delle principali fonti di entrata pubblica, utilizzati per proteggere l’industria manifatturiera. Per buona parte dell’Ottocento, il bilancio federale fu finanziato soprattutto attraverso queste imposte.

Le cose sono cambiate all’inizio dello scorso secolo. Nel 1913 il presidente del Partito Democratico Woodrow Wilson abbassò i dazi, introducendo un’imposta federale sui redditi per compensare il calo di entrate. Ma nel 1922 il Congresso statunitense decise di ripristinare i dazi, riportandoli a un livello più alto rispetto a dieci anni prima.

Nel 1913, il presidente democratico Woodrow Wilson abbassò i dazi e introdusse un’imposta federale sul reddito per compensare la perdita di gettito. Ma nel 1922 il Congresso tornò ad alzare i dazi, superando i livelli precedenti. Il picco del protezionismo fu raggiunto nel 1930 con l’approvazione di un provvedimento volto a sostenere i prezzi agricoli: i dazi arrivarono in media al 40 per cento del valore dei beni importati. Gli altri Paesi reagirono imponendo barriere simili sui prodotti americani. Il risultato fu un crollo del commercio globale: sia le importazioni sia le esportazioni statunitensi si ridussero drasticamente.

Nel 1934, questi effetti spinsero il presidente Franklin Delano Roosevelt a cambiare rotta: da quel momento gli Stati Uniti iniziarono a negoziare accordi per abbassare i dazi e aprire progressivamente il proprio mercato in cambio dell’accesso a quelli stranieri.

Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti furono tra i principali promotori di un sistema commerciale internazionale regolato da norme condivise. A quell’epoca, i dazi medi a livello globale erano pari al 22 per cento. Nel 1999, grazie a decenni di trattative, questa media era scesa al 5 per cento. Negli Stati Uniti, in particolare, si è passati da una media del 10% negli anni Cinquanta al 2 per cento attuale. I nuovi dazi introdotti da Trump segnano un ritorno ai livelli del periodo pre-bellico, secondo il centro studi statunitense Tax Foundation.