Perché si discute del terzo mandato di sindaci e presidenti di regione

Se n’è tornato a parlare in vista della ripresa dei lavori in Parlamento. Abbiamo messo un po’ di ordine sul dibattito e sulle posizioni in campo
Ansa
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Martedì 5 settembre il Parlamento tornerà a riunirsi dopo la pausa estiva e la Commissione Affari costituzionali del Senato dovrà esaminare un emendamento, presentato dal senatore Meinhard Durnwalder (Südtiroler Volkspartei), per concedere la possibilità ai sindaci di candidarsi per un terzo mandato consecutivo. L’emendamento è stato presentato al disegno di legge di Fratelli d’Italia per reintrodurre l’elezione diretta dei presidenti delle province, all’esame in commissione. 

In Italia, seppur con alcune eccezioni, i sindaci non possono infatti ricandidarsi per più di due mandati. E lo stesso vale in linea generale per i presidenti di regione, sebbene in quest’ultimo caso la questione sia più complessa e dibattuta. In base alle verifiche di Pagella Politica, al momento i sindaci di città capoluogo di regione già al secondo mandato sono otto: il sindaco de L’Aquila Pierluigi Biondi (centrodestra), quello di Bari Antonio Decaro (centrosinistra), quello di Firenze Dario Nardella (centrosinistra), quello di Genova Marco Bucci (centrodestra), quello di Milano Giuseppe Sala (centrosinistra), quello di Perugia Andrea Romizi (centrodestra), quello di Trieste Roberto Dipiazza (centrodestra) e quello di Venezia Luigi Brugnaro (centrodestra). Tutti questi sindaci non potrebbero ricandidarsi alle prossime elezioni comunali e dovrebbero attendere dunque altri cinque anni (la durata naturale di un mandato) per potersi ripresentare. 

Negli ultimi mesi diversi sindaci di comuni capoluogo di regione, tra cui quello di Firenze Nardella, ma anche quello di Pesaro Matteo Ricci (centrosinistra), si sono detti favorevoli a eliminare il limite dei due mandati, sostenendo in sostanza che questo limite bloccherebbe la loro attività di amministratori e non permetterebbe ai cittadini di votarli nuovamente, nel caso avessero apprezzato il loro operato. Una posizione simile è stata espressa anche in varie occasioni dall’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), che rappresenta i sindaci italiani, e dal suo attuale presidente, il sindaco di Bari Decaro.

A oggi l’unica eccezione al limite dei due mandati riguarda i sindaci dei comuni più piccoli. La cosiddetta “legge Delrio”, approvata dal Parlamento nel 2014, ha previsto infatti che i sindaci dei comuni con meno di 5 mila abitanti possano svolgere fino a tre mandati consecutivi.

La questione dei presidenti di Regione

Il discorso è diverso e più complicato per i presidenti di regione. «A differenza dei sindaci, per cui vale la legge dello Stato, la Costituzione prevede che le regole per l’elezione dei consigli regionali e dei presidenti di regione siano determinate dalle regioni stesse, sulla base di principi generali stabiliti dalla legge statale», ha spiegato a Pagella Politica il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia. In questo caso la norma di riferimento è l’articolo 122 della Costituzione: questo stabilisce che i presidenti di regione vengano eletti direttamente dai cittadini, tranne nei casi in cui gli statuti e le leggi regionali prevedano forme diverse di elezione, senza particolari limiti di mandato. 

Nel 1995, durante il governo di Lamberto Dini, è stata approvata la legge “Tatarella” che ha fissato le regole generali per l’elezioni dei consigli regionali e dei presidenti di regione, da applicare nei casi in cui una regione non abbia adottato regole proprie. Nel 2004, durante il secondo governo Berlusconi, il Parlamento ha poi approvato la legge che ha fissato il limite dei due mandati consecutivi per i presidenti di regione, affidando il compito di attuare questo limite alle singole regioni. Da quel momento in poi, però, il limite dei due mandati è stato nei fatti spesso disatteso. 

Per esempio questo è stato il caso di Roberto Formigoni, presidente di centrodestra della Regione Lombardia per quattro mandati consecutivi dal 1995 al 2013. Nel 2010, all’epoca della sua ultima rielezione, i Radicali italiani e l’allora candidato presidente del Movimento 5 Stelle Vito Crimi fecero ricorso al tribunale di Milano contro l’elezione di Formigoni, sostenendo che quest’ultimo fosse arrivato al suo terzo mandato da quando la legge sul limite dei due mandati era stata approvata, ossia dal 2004. In quel caso il tribunale di Milano stabilì invece che la legge sul limite dei mandati non era retroattiva e che valeva solo dalle elezioni regionali successive al 2004. In pratica: i primi due mandati svolti da Formigoni, quello dal 1995 al 2000 e quello dal 2000 al 2005, non potevano essere considerati nel computo totale. In più secondo i giudici il limite dei due mandati fissato dalla legge nazionale non poteva essere applicato in quel caso, perché fino a quel momento la Lombardia non aveva ancora una propria legge elettorale regionale (che sarebbe stata approvata nel 2012) e si applicava dunque la legge “Tatarella”, che non prevede invece limiti di mandato. Un caso simile a quello di Formigoni è stato quello di Vasco Errani (centrosinistra), eletto per tre mandati di fila come presidente dell’Emilia-Romagna dal 2000 al 2014, e su cui nel 2010 era stato respinto un altro ricorso dei Radicali.

I casi di Zaia, De Luca ed Emiliano

Un caso più recente è invece quello dell’attuale presidente del Veneto Luca Zaia (Lega). Eletto per la prima volta nel 2010, Zaia è stato rieletto per il terzo mandato consecutivo nel 2020. Questo è stato possibile perché il Veneto ha applicato il limite dei due mandati nel 2012, con l’approvazione della legge elettorale regionale: siccome la legge non può essere retroattiva il primo mandato di Zaia, quello tra il 2010 e il 2015, non viene dunque conteggiato nel computo totale. 

Terminato il mandato attuale, Zaia non potrà comunque più candidarsi, dato che avrà terminato il suo secondo mandato dal momento in cui è stata applicato il limite in Veneto. Altre due situazioni simili sono quelle di Vincenzo De Luca (Partito Democratico), al secondo mandato consecutivo come presidente della Regione Campania, e di Michele Emiliano (centrosinistra), al secondo mandato alla guida della Regione Puglia. I mandati di Zaia, De Luca ed Emiliano termineranno nel 2025, tra meno di due anni, e negli ultimi mesi tutti e tre i presidenti hanno chiesto di eliminare il limite dei due mandati. 

Per quanto riguarda De Luca, in varie occasioni il presidente della Campania ha detto che sulla possibilità di ricandidarsi alle prossime elezioni regionali, in programma nel 2025, deciderà liberamente senza «il permesso di qualcuno». Al di là del limite previsto dalla legge nazionale, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha più volte ribadito di essere contraria a concedere a De Luca la possibilità di candidarsi nuovamente. 

Il 1° settembre, in un’intervista con il Corriere del Mezzogiorno, anche il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha espresso una posizione sostanzialmente contraria sull’eliminazione del limite dei due mandati. «Noi, dal canto nostro, abbiamo sempre pensato che la politica non debba diventare una professione ma sono le professionalità di ogni cittadino a dover essere al servizio della Repubblica» ha detto Conte.

Sul fronte opposto, quello del centrodestra, l’unico ad avere preso una posizione ufficiale è il leader della Lega Matteo Salvini. A fine giugno il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha detto di essere favorevole a concedere la possibilità di candidarsi per un terzo mandato consecutivo sia ai sindaci che ai presidenti di regione. «Io sono a favore del terzo mandato per governatori e sindaci. Sono a favore non per De Luca, per Tizio o per Caio, io sono contro i tagli lineari», ha detto Salvini. «Se uno è bravo e viene scelto dai cittadini e ha fatto due mandati, si può ricandidare e i cittadini poi sceglieranno».

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